Questa superstizione popolare ha origine evidentemente da remote contrapposizioni economiche e invidie sociali: nell’Antichità i tanti poveri invidiavano il costosissimo pepe dei pochissimi ricchi o nobili. Anche per questo il gusto piccante, allora collegato soltanto al pepe ma oggi identificato nel peperoncino, si è diffuso così tanto.
Così, il peperoncino piccante ha finito per modificare la gastronomia e il costume alimentare d’ogni Paese, migliorando, nobilitando e rendendo interessanti pietanze povere, squallide, insapori. Pensiamo solo al curry e alle centinaia di cibi piccantissimi, tutti a base di peperoncino, di cui gli Indiani, i Cinesi e gli altri Orientali, gli Africani e tutto il Sud del Mondo oggi non potrebbero fare a meno. E come sono esigenti in Europa gli originari del Centro e Sud-America nel richiedere certe “loro” varietà ultra-piccanti (altrimenti neanche l’acquistano)! Attualmente il Carolina Reapert è considerato il peperoncino più piccante del mondo: 1.569.300 gradi della scala Scoville, e se la batte col Bhut Jaolokia (v. tabella accanto). Per capire quanto siano piccanti basta considerare che un jalapeno arriva al massimo a 8.000 punti. Quando si mangia un peperoncino del genere, è bene masticarlo a lungo, mettendo in conto bruciore insopportabile, lacrimazione, perfino conati di vomito, per evitare danni allo stomaco. Pazzie da battitori di primati.
E anche la nostra Calabria non si sente seconda a nessuno: a sentire le vanterie degli opuscoli sembra quasi che il peperoncino sia stato scoperto sulla Sila! Suvvia, un minimo di ragionevolezza. D’accordo, il cibo si modifica con gli scambi commerciali e l’estensione delle colture agricole, però dovrebbero ogni tanto meditare sul fatto che non è un loro cibo originario, ma è culturalmente importato, frutto della prima “globalizzazione” (quella innescata dalla scoperta dell’America), insomma una tradizione abbastanza “recente”. E allora c’è davvero da chiedersi: ma come diavolo avranno condito i cibi per migliaia di anni, prima che l’italiano Colombo facesse conoscere il peperoncino?
Sono state create numerosissime varietà locali, in una stupida corsa dei popoli e relativi agronomi, a creare “la varietà più piccante di tutte” (v. tabella), ovviamente a scopo pseudo-salutistico, cioè commerciale, non scientifico biologico, perché negli esperimenti di laboratorio i ricercatori usano la capsaicina pura.
Nell’uso culinario, il peperoncino è usato sia come frutto intero, fresco o essiccato, sia in polvere. Però, a differenza del peperone dolce, ugualmente di origine americana, non è un alimento, ma una spezia, da usare in tracce, tutt’al più a grammi. E sempre a crudo. A proposito, non perché si degradino molto capsaicina e capsaicinoidi, anzi, relativamente piuttosto stabili, quanto perché la cottura rovina il suo sapore.
LA PICCANTISSIMA CAPSAICINA, STRANO, MA NON HA UN SUO SAPORE. Il gusto bruciante del peperoncino, il senso del piccante, è dovuto alla reazione di difesa del corpo umano all’alcaloide capsaicina (8-metil-N-vanillil-6-nonenamide) e in minor misura al suo derivato diidrocapsaicina e ad altri capsacinoidi minori. Ma per un curioso paradosso la capsaicina è di per sé priva sia di odore che di sapore. La reazione del corpo umano (gli uccelli, p.es. non l’hanno) avviene con un meccanismo biologico molto complesso, che inizia quando la capsaicina va a colpire i recettori vanilloidi TRPV1 posti sui neuroni delle terminazioni nervose libere presenti all’interno delle papille gustative sulla lingua e anche nel resto della cavità orale, faringe e pelle del viso, tutte collegate al nervo trigemino (Paliotto S., tesi Univ. Padova).
La capsaicina e quindi lo stesso peperoncino hanno una fortissima azione irritante sulle mucose (per contatto diretto), comprese quelle dell’occhio: perciò la capsaicina è oggi usata come spray per auto-difesa (acceca e immobilizza temporaneamente, a causa del dolore provocato). Ma l’azione irritante sulle mucose interne può avere qualche vantaggio, perché stimola una potente reazione adattativa del corpo, che aumenta le secrezioni protettive dei fluidi (naso-bronchiali, digestivi ecc.) aiutando a liberare le vie nasali, a fluidificare il muco (come si spiega meglio più avanti), a eliminare virus e batteri, a facilitare la digestione gastrica.
QUAL E’ LA PARTE PIU’ PICCANTE DEL PEPERONCINO? La capsaicina si trova in concentrazione più alta, però, non nei semi, come vuole una diceria popolare (anzi i semi ne sono i più poveri), ma nell’ovario o placenta (quella caratteristica membrana – si veda la figura – che sorregge i semi). I semi curiosamente hanno le sostanze capsacinoidi in superficie ma non all’interno. E se il piccolo studio citato (v. tabella) riguarda soprattutto varietà in uso nell’Europa Centro-Orientale, la tendenza è comunque generale, e tocca quasi tutte le varietà di peperoncino: la capsaicina, cioè la sostanza più piccante, decresce dall’ovario o placenta alla polpa inferiore, alla polpa superiore, ai semi. Anche il famoso jalapeño messicano e statunitense mostra all’analisi della gascromatografia che la capsaicina è 0,21 mg/100g nella parete esterna e ben 18.37 mg/100g nelle membrane interne (Huffman et al. 1978). Questo vecchio studio sullo jalapeño ci dice anche che esiste un “sapore” del peperoncino, a parte la capsaicina, attribuito a 2-isobutil-3-metoxipirazina. E anche questa sostanza è distribuita in modo non uniforme: da 0 nel seme a 88,33 ng/g nelle pareti esterne (peso a secco). La cottura altera gravemente questo sapore. Mentre altri studi sostengono che capsaicina e capsaicinoidi sono chimicamente piuttosto stabili: restano inalterati per lungo tempo, anche dopo cottura – immaginiamo moderata – e congelamento.
Cade, comunque, la leggenda popolare che basti eliminare i semi per privare il peperoncino della sua componente più piccante e tossica. Quindi gli amanti del piccante che criticano il peperoncino in polvere perché a differenza di quello intero comprende anche i semi, a loro dire “dannosi”, sbagliano. E, d’altra parte, nel peperoncino fresco noi gettiamo via istintivamente proprio i filamenti interni e i semi, riducendo così i rischi.
QUALI SONO I CIBI CHE VEICOLANO E “SPENGONO” IL PICCANTE. In caso di ingestione avventata di troppo peperoncino o di pietanza troppo piccante, che fare? L’acqua non serve a spegnere il bruciore, lo imparano subito i ragazzi, a proprie spese. La capsaicina è sostanza non idrosolubile ma liposolubile, cioè solubile nei grassi (p.es. un pezzetto di burro o un cucchiaio di olio di oliva). Ma è più gradevole ricorrere a yogurt, latte (e più grassi sono, cioè al 3,5%, meglio è), panna e formaggi molli (stracchino, robiola, mascarpone, gorgonzola ecc.) che si sciolgono in bocca rapidamente formando uno strato protettivo grasso che smorza immediatamente (in realtà impedisce di sentire) la sensazione dolorosa del piccante. Sono i soli cibi che ci permettono di assumere peperoncino e pepe lontano dai pasti. Invece, la mollica di pane non è adatta: è lenta a “spegnere l’incendio” perché comincia a essere un po’ efficace solo dopo essere stata ben masticata, cosa che nel caso dei cereali (da soli) può richiedere anche più d’un minuto. Lo stesso per tutti i cereali e i fiocchi di avena puri, cioè non conditi. Infatti, la pastasciutta e il riso vanno bene non perché cereali, ma per il loro condimento o salsa grassa. Come rimedio immediato, se ci troviamo alla fine del pasto, va benissimo anche la cioccolata, ottimo veicolo per ingerire, coprendo abbastanza bene il sapore piccante, incredibili quantità di pepe, peperoncino e zenzero quando non si sa come assumerli lontano dai pasti (v. tradizione di panforti e panpepati), solo un po’ meno bene i datteri, (v. nell’antica Roma i datteri cosparsi o farciti di pepe), pochissimo adatti invece i fichi secchi, che vogliono lunga masticazione.
Così, diluendo o accompagnando con cibi adatti il peperoncino e le altre spezie piccanti, salviamo lingua, bocca ed esofago, che sono ancora più delicati dello stomaco rispetto al piccante, non avendo mucose così ben protette. Infatti, il peperoncino e altre spezie piccanti non devono trovarsi mai a contatto diretto con le mucose digestive, se non vogliamo cadere nel rischio di irritazioni che col tempo potrebbero diventare lesioni, ma sempre devono essere ben amalgamate (se in polvere) o inserite (se a pezzi o in semi) in un veicolo grasso (olio, burro, yogurt, formaggi molli, a sua volta diluito in una pietanza. Quindi, mai a stomaco vuoto o lontano dai pasti, se non ricorrendo ai cibi detti, in emergenza.
ASPETTI ANTROPOLOGICI E PSICOLOGICI. In Oriente sono molti coloro che senza saperlo sono seguaci di Mao Tse Tung, che amava il piccante per tre motivi: in quanto orientale, maschio, e rivoluzionario. E anche il suo allievo latino-americano Che Guevara, nonostante che fosse medico (o forse proprio per questo), credeva che il piccante fosse una miracolosa e quasi gratuita medicina, tipica degli Eroi della “Revoluciòn”.
Un machismo come un altro: “rivoluzionari” o no, i maschi di mezzo mondo in cuor loro si sentono eroi di una strana supremazia virile, quella che consiste nel restare insensibili al dolore da bruciore. Anche i nostro lontani Antenati nelle più lontane campagne erano convinti che tutto ciò che brucia, che fa soffrire, “tempra”, rafforza fisico e carattere. Altro che femminucce sensibili… Controprova? I Cinesi oltre al piccante amano anche il bollente: tè e zuppe, ma anche semplice acqua bollente, che bevono al posto del tè. Ma la scienza è meno eroica, e infatti patiscono per queste due fissazioni derivanti da pregiudizi paesani molti tumori a bocca, esofago e stomaco.E poi ci sono i sostenitori fanatici autonominatisi “esperti” del peperoncino piccante, capaci anche se non leggono gli studi e odiano la scienza, di scrivere opuscoli che ne elencano senza il minimo senso critico mirabolanti proprietà, sempre ignorando o tacendo sui suoi effetti secondari gravi. GLI EFFETTI SULLA SALUTE. EVIDENZE SCIENTIFICHE DEL PRO E CONTRO. Una sintetica ma fondamentale review passa in rassegna gli studi più seri sul peperoncino e sulla capsaicina, sulla base di 50 riferimenti scientifici, mostrando che questo condimento, analogamente al suo principio attivo, ha “due facce”, come il dr. Jekyll-Mr.Hide. In alcuni casi sembra protettivo, cioè previene, ma in molti altri casi agisce in senso opposto, cioè aumenta il rischio, addirittura di cancro (la pubblicazione è specializzata in questo campo), specialmente in presenza di promotori del cancro. E gli studi che provano questa pericolosità sembrano leggermente prevalenti. QUANDO IL PICCANTE SERVE A COPRIRE UNA PESSIMA CUCINA SENZA SAPORI NE’ AROMI… Piace a tutti, certo, insaporire con un sapore deciso un piatto evidentemente scondito. Ma perché è insapore, perché è scondito? Questo è il fondamentale punto da sottolineare: non si usano per ignoranza e ineducazione le tante erbe aromatiche e i tanti sapori delicati offerti dalla Natura, e si preferisce coprire tutto con un solo sapore pungente, rozzo e invadente che fotografa in modo impietoso la mancanza di gusto e raffinatezza del cuoco.
Fateci caso: i grandi utilizzatori del piccante in genere non capiscono nulla di gastronomia, sono gente di bocca buona. Il piccante anestetizza la lingua e il gusto (v. sotto, l’effetto di assuefazione legato alla distruzione dei neuroni delle papille gustative, anestesia da cui però discende anche un uso terapeutico anti-dolorifico di questa spezia). Quindi chi usa regolarmente o troppo peperoncino finirà per non apprezzare più i buoni e delicati sapori dei vari alimenti.
Ormai si può dire che la cucina italiana di massa cade in tre eccessi: è tutta rossa e acidula di pomodoro, verde e amara di rucola, piccante di peperoncino. Un appiattimento mai verificatosi in passato. E i mille sapori delle pietanze, e i gusti delicati, e le sfumature e gli accostamenti? Spariti. Come le mezze stagioni.
Per fortuna tutti e tre questi invadenti alimenti sono antiossidanti e benèfici. Il peperoncino, però, lo è solo se consumato con prudenza. Perché? Perché, anche un bambino lo capisce, è diverso dagli altri cibi con proprietà protettive e antiossidanti: è molto piccante, anzi è il cibo più piccante che esiste.
Ma alla luce dell’ecologia, dell’evoluzione e anche della tossicologia e della biologia dell’uomo, il piccante ha sempre un valore negativo. In Natura il sapore piccante è interpretato come un segnale di pericolo, un avvertimento della specie al predatore (e l’uomo, tanto più se vegetariano o naturista, dopo gli animali erbivori è il “predatore” per antonomasia di vegetali), proprio come gli aculei d’un istrice o le affilate unghie d’un gatto dovrebbero dissuadere i loro attaccanti carnivori. La differenza è che il piccante “avverte” in tempo il predatore: si pensi ai tanti funghi velenosi di sapore piccante.
E che il peperoncino possa non solo far bene (è, tra l’altro efficace antidolorifico e mucocinetico), ma anche far male, non è frutto di chissà quali revisionismi anti-Natura di oggi: è ingenuo, sottoculturale e anti-naturista idealizzare la Natura come “buona” in ogni caso, come ben sapeva il saggio Socrate mentre beveva la cicuta. Del resto la selezione dei cibi tra tutti quelli possibili, spezie comprese, è interamente opera dell’Uomo. Già nel mio Manuale di Terapie con gli Alimenti (1995) sulla base di numerosi studi, anche di ricercatori indiani, che di piccante s’intendono e vedono ogni giorno numerosissimi cancri alla bocca, allo stomaco e al fegato (l’Estremo Oriente è primo al Mondo!) si poneva il problema dei danni da cibi piccanti. Come, p.es, lo studio di oncologi di Bombay (India) sui topi, il quale evidenzia che «chilli acts as a promoter in stomach and liver carcinogenesis», cioè il peperoncino agisce come un promotore della carcinogenesi in stomaco e fegato (Agrawal et al.), lo studio di Toth e coll. che avevano osservato tumori duodenali in animali trattati con capsaicina, e lo studio degli indiani Chitra e coll.
Ma i primi giudici sono gli scienziati indiani, visto il quotidiano e larghissimo consumo di peperoncino in India. Ebbene, in studi caso-controllo in India è risultato che il consumo di cibi piccanti e peperoncino portava a un più alto rischio di cancro gastro-intestinale (Mathew et al. 2000; Phukan et al.2001). Una ricerca ha suggerito che le spezie possano o aumentare la permeabilità intestinale epiteliale attraverso un allentamento dei contatti tra cellule (p.es. nel caso di paprika, pepe di cayenna, peperoncino) o diminuire la permeabilità (p.es. pepe nero, noce moscata), probabilmente attraverso il rigonfiamento cellulare. Sembra che le spezie Solanacee (appunto, il peperoncino) aumentino la permeabilità delle cellule alle macromolecole (Jensen-Jarolim et al.1998). Anche se questi dati riguardavano l’insorgenza di allergie alimentari e intolleranze, potrebbero valere anche per il potenziale effetto sul cancro, conclude una review sulla più importante rivista scientifica di nutrizione clinica (Lampe 2003).
Come spiegare questa ambivalenza del peperoncino, o forse questo limite della ricerca? Gli studiosi Bode & Dong avanzano varie ipotesi, tra cui i metodi stessi degli esperimenti, negli studi di laboratorio e clinici la differenza tra studi col peperoncino-alimento, cioè al naturale, e studi con la capsaicina pura standardizzata; ma negli studi epidemiologici anche la scelta non razionale dei soggetti e delle aree geografiche. In uno studio condotto in Nord Italia risultava la non tossicità della spezia; ma hanno avuto buon gioco i ricercatori dell’America Latina, che conoscono bene i “loro polli”, a contestare lo studio affermando che nel Nord Italia non si consuma così tanto peperoncino come nel Centro e nel Sud America, dove invece i danni sono evidenti.
Consigliamo, perciò, gli appassionati del peperoncino di leggere – è nel facile inglese scientifico – la citata review di Bode & Dong: è integrale, piuttosto breve, non è difficilissima, e può essere scorsa anche da medici di base e pubblico non specializzato. Rivela, tra l’altro, che perfino le creme antidolorifiche alla capsaicina (per uso topico, cioè per applicazione esterna, tipico il massaggio sulla pelle), se usate per lunghi periodi, come in certi dolori da diabete o da artrite, aumentano i rischi di cancro, sotto forma di tumori della pelle, probabilmente favoriti dall’irradiazione solare che agisce come cancer promoter.
ALTRI STUDI, DALLO STOMACO AL FEGATO, ALL'APPARATO URINARIO. Un problema dibattuto è se aumenti o diminuisca il rischio ulcera gastrica, e irriti o lesioni fegato e reni. Su questo ci sono studi con esiti diversi: alcuni (Myers e coll). hanno documentato danni al DNA e sanguinamenti nello stomaco simili a quelli ottenuti con l’aspirina; altri dopo un pasto “messicano” con 30 g di peperoncino jalapeño in 12 volontari non hanno visto erosioni allo stomaco (Graham e coll.).
Del resto, tutte le spezie se usate in eccesso, cronicamente e insieme tra loro (il che spesso amplifica gli effetti, positivi e negativi), danno rischi. Come la yaji, popolare salsa ricca di spezie (peperoncino, pepe nero, chiodo di garofano e zenzero) usata quotidianamente in Nigeria, che ha fatto mettere le mani nei capelli ai biopatologi nigeriani in uno studio che riporta il maggior rischio di necrosi del fegato (Nwaopara e coll.) e altri danni tra cui una potente reazione immunitaria, infiammazioni, e nei casi più gravi nefropatie, lesioni cutanee, fibrosi, cirrosi epatica (A.A. Eddy). Ma sono evidentemente, come nella dieta di alcuni strati popolari urbani in Asia e Africa, casi legati ad alimentazione carente di cibi antiossidanti, poco o nulla riferibili alla nostra alimentazione. Però denunciano quello che potrebbero fare le spezie se assunte in modo sbagliato e in diete sbagliate, come può accadere anche da noi in anziani, malati, giovani, soggetti culturalmente isolati ed emarginati.
Più vicini a noi i rischi di irritazione e infiammazione nell’ultimo tratto intestinale e ancor più alle vie urinarie, e talvolta – nei casi di abusi prolungati – con maggior rischio di prostatite (la prostata è molto sensibile alle spezie irritanti) e perfino, a lungo andare, di tumore della prostata.
Il pungente peperoncino aiuta come efficace mucocinetico a eliminare il catarro bronchiale, ma intanto provoca quel sintomo leggero e passeggero chiamato ialoproctite (bruciore anale). Per uso topico, cosparso in soluzione oleosa sulla parte dolorante, è un potente antidolorifico (infatti era presente nel rimpianto “Linimento Sloan”), perché interrompe la trasmissione del dolore attraverso le fibre nervose periferiche (ma in alcuni casi agisce perfino sui neuroni centrali, ha provato la rivista Pain), attutendo o facendo cessare dolori e pruriti post-erpetici che magari duravano da anni (“fuoco di S.Antonio” o herpes zoster).
Ma in individui e diete a rischio può provocare nuovi e gravissimi dolori, quelli da tumori della bocca, della gola, dell’esofago ecc. Vale la pena abusarne? No, decisamente no. E talvolta non vale neanche la pena usarne. Ai primi problemi, ai primi sintomi anomali, meglio smettere del tutto, e ricorrere semmai ad altre spezie. Oltretutto il peperoncino ha sapore, ma non ha odore. Che per una spezia non è il massimo.
RISCHI DA ECCESSI, PROSTATA E RENI. UROLOGI PREOCCUPATI. Il peperoncino, stando ai tanti studi pubblicati e alle inesorabili statistiche mediche, si comporta proprio come un "condimento del diavolo": fa insieme bene (piccole quantità e uso sporadico) e male (grandi quantità e uso quotidiano). Come si usa fare in Oriente e solo in poche zone d’Italia (Calabria, Abruzzo). Consumarlo spesso o in abbondanza, e senza accompagnarlo nel medesimo pasto da molti cibi protettivi (dal peperoncino!), come insalate crude abbondanti e frutta e perfino latte, fa solo male. Parlano gli studi epidemiologici in Asia e Sud del Mondo, ma anche i consigli degli urologi. Si sapeva già del maggior rischio di irritazione alle vie urinarie e di tumori alla bocca e alle alte vie digestive. Ora emerge anche il rischio prostata.
''Il peperoncino – spiega il prof. Vincenzo Mirone, presidente della SIU (Società Italiana di Urologia) – usato spesso come Viagra dei poveri, non deve essere consumato in eccesso, se si vogliono evitare guai e rischi di tumore alla prostata. Un uso sconsiderato infatti infiamma la ghiandola, stimolando il desiderio nell'uomo da una parte, ma facendo venire anche la prostatite, legata ai tumori, così come dimostrano gli ultimi studi scientifici'' (Giornata europea di informazione sulle malattie della prostata. Ansa, 12 settembre 2007). E il tumore della prostata è la principale causa di morte per tumore nella popolazione maschile, dopo quello al polmone. “Il peperoncino non va consumato più di due volte a settimana", raccomanda l'esperto. "Una notizia, questa – commenta con ironia il prof. Franco Cuccurullo, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e rettore dell'Università di Chieti – che in molte Regioni del Meridione potrebbe condurre alla pubblica lapidazione chi le diffonde. Ma non bisogna avere paura di dire la verità quando di mezzo c'è la salute". Perciò occorre maggiore divulgazione: “Al sud – ha ricordato – si fa un uso smodato di peperoncino. Dobbiamo dire a tutti che non è senza conseguenze” (Agi, 12 settembre 2007).
E il prof. Fabrizio Iacono, urologo dell’università «Federico II» di Napoli, conferma: «I cibi piccanti, contrariamente ai luoghi comuni sul loro valore afrodisiaco, sono da evitare perché creano infiammazione» (interv. M. Pappagallo, Corr. Sera. 20 agosto 2012). E soprattutto «Il peperoncino abbinato a un superalcolico potrebbe essere causa di défaillance imbarazzanti: o nulla o troppa velocità (eiaculatio praecox)». Insomma, la vox populi e tutti gli opuscoli e articoletti sul web e i dépliant del Capsor sbagliano. E meno male che Iacono, Mirone e Cuccurullo sono tutti uomini di scienza meridionali! Essendo intelligenti prendono le distanze dalle superstizioni tipiche del Sud.
Triste parabola del piccante. Un tempo il pepe, altra spezia utile ma irritante, importato via Samarcanda da Giava e Malabar, era un costosissimo condimento da Re. Nei forzieri del Tesoro pubblico dell'antica Roma imperiale c'erano sacchi di pepe, come se fosse oro, per tacere degli Horrea piperataria. Per millenni i poveri hanno invidiato ai ricchi due sapori che non potevano facilmente avere: il dolce e il piccante. Ma il secondo è il più raro in Natura. Grazie a Cristoforo Colombo che lo importò dall'America, col peperoncino, che è economicissimo e cresce dappertutto, anche sul davanzale d’una finestra, finalmente anche i poveri potevano conoscere il sapore piccante. E si sentirono tutti Re.
Ma nel piccante c'è il tranello. Già il sapore – ripetiamo – dovrebbe mettere sull’avviso. Il piccante, come l’amaro, in una visione evoluzionistica dei rapporti trofici tra animali e piante, è una sostanza repellente per gli animali, insomma ha la funzione di allarme. Nella lotta incessante tra piante e animali predatori, la Natura sembra “difendere” le piante con pesticidi antibiotici o antinutritivi o fitormonali o comunque tossici, che allontanano o puniscono la specie degli invasori. Ma che pensare d’un veleno di difesa che "tradisce" la specie vegetale che dovrebbe difendere facendosi "scoprire" per il suo sapore piccante? Gli etologi e gli entomologi ci diranno se insetti e bruchi siano in grado di percepire il piccante. E i predatori mammiferi? E l’Uomo, che a differenza degli animali, consumatori eventuali e casuali, ne è talvolta un grande consumatore? Quel che è certo, è che gli uccelli non sentono il piccante del peperoncino, e infatti hanno contribuito mangiandone le bacche a diffonderne i semi in varie parti del mondo.
NON SEMPRE FA DIMAGRIRE, ANZI, PUO’ FAR INGRASSARE. Uno studio prospettico cinese ha osservato per circa 7 anni 487.375 persone dai 30 ai 79 anni che avevano riempito liberamente un questionario su dieta e salute. Si è visto che alla fine del periodo quelli che – secondo le risposte del questionario – consumavano abitualmente (3-6 giorni su 7) più cibi piccanti, tra i quali preponderante era il peperoncino, avevano un rischio di morte minore del 14% rispetto a quelli che lo facevano solo 1-2 giorni a settimana (Lv et al. 2015). Ma è una ricerca soltanto «osservativa», insufficiente, basata sulle affermazioni e la memoria dei soggetti stessi, che necessita di ulteriori studi e approfondimenti – come ammettono gli autori – per poter consigliare un cambio nello stile alimentare, e capire se il consumo di cibo piccante è in grado da solo di migliorare la salute e ridurre la mortalità, oppure se è solo il segno di altri fattori come dieta o stile di vita.
Anche perché sulla medesima platea di volontari cinesi il gruppo di ricercatori ha scoperto che il consumo abituale di cibo piccante è collegato a maggiore adiposità della popolazione adulta, specialmente addominale nei maschi, cioè a valori più alti di body mass index (BMI), percentuale di grasso corporeo (BF%), giro-vita (WC) e rapporto tra giro-vita e altezza (WHtR). Insomma, sembra che in Cina il piccante aiuti il sovrappeso (Sun et al. 2014).
Ma come, il peperoncino non faceva perdere peso? In effetti, in Occidente alcuni studi, però su un minor numero di soggetti, avevano al contrario collegato peperoncino e cibo piccante a un miglior controllo del sovrappeso, perché il peperoncino sembra mobilitare e ossidare i depositi di grasso bruno aumentando la termogenesi (Yoneshiro et al. 2012; Ludy e Mattes 2011, Waiting et al. 2012).
Com’è possibile questo diverso effetto? Premesso che peperoncino e condimenti piccanti rendono più piacevoli pietanze altrimenti insipide e quindi aumentano l’appetito (Nilius et al 2013; Reinbach et al 2010; Ludy & Mattes 2011), e che gli Asiatici sono predisposti all’obesità addominale, probabilmente – interpretano Sun e colleghi – in Occidente il piccante è usato su cibi per lo più carnei, mentre in Oriente su amidacei (riso insipido), che se piccanti sono più appetibili e mangiati di più, e su pietanze grasse. Per di più si è portati a “spegnere” il piccante con dolci e bevande. Così la marginale tendenza alla perdita di peso favorita dal piccante (l’aumento della spesa energetica è stimato in appena 50 kcal/die) può essere neutralizzata. Inoltre, come nel caso del polimorfismo dell’enzima catechol-O-metil transferasi a proprosito degli effetti dimagranti del tè verde, è probabile che esistano sensibilità diverse agli effetti di perdita di peso dipendenti da variabilità genetica. Tutto questo può portare paradossalmente a sovrappeso e obesità anche col peperoncino. Nelle donne obese, invece, cioè nei valori più alti di BMI, il peperoncino e il piccante sono negativamente associati al giro-vita, forse perché le donne consumano notoriamente più frutta e verdura e meno cibi grassi. Fatto sta che in Corea, in adulti sovrappeso una tradizionale pasta di soia al peperoncino ha ridotto il grasso viscerale e migliorato i profili lipidici, non si sa se per la soia o il piccante (Cha et al 2013).
IL CASO DEL VECCHIETTO DI 80 ANNI, ovvero l’uso "topico", cioè locale del peperoncino. Dopo la pubblicazione del mio "Manuale di Terapie con gli Alimenti" della Mondadori, distrutto dallo stress e ancora timoroso su come un librone di 760 pagine, con 3200 riferimenti scientifici (una cosa che neanche esisteva nelle università Usa, figuriamoci in quelle italiane), sarebbe stato accolto dal largo pubblico italiano, mi rinfrancai solo grazie ad una commovente lettera d'un anziano di 80 anni che mi ringraziava come se io fossi stato un taumaturgo. Il poveretto soffriva da 10 anni di herpes zoster ("fuoco di S.Antonio") con dolori lancinanti e-o prurito. Sul mio libro aveva letto, alla voce "Dolore" lo studio con cui i ricercatori avevano provato che la capsaicina – il principio attivo pungente del peperoncino – attraverso l’inibizione della sostanza P delle terminazioni nervose locali riesce, in un complesso meccanismo d'azione, a interrompere la trasmissione del dolore. [Il che spiega anche l’assuefazione al peperoncino dei grandi amanti del piccante: la distruzione dei neuroni nelle papille gustative e nel cavo orale provocata dall’eccesso di peperoncino piccante – che è “visto” dall’organismo come un tossico – fa perdere sensibilità ai recettori vanilloidi VR1]. In sostanza, il vecchio si era preparato da sé o aveva commissionato in farmacia, seguendo le indicazioni del mio libro, un "olio al peperoncino" non molto diverso da quello per uso alimentare, lo aveva spalmato sulla parte dolorante, massaggiando bene. E, riferiva che per la prima volta in 10 anni il dolore e il prurito erano del tutto scomparsi.
L'uso alimentare è ben noto. Porta vantaggi, come una capacità mucocinetica, ovvero tale da umidificare l'albero respiratorio ed espellere il muco. Alle volte, quando si è un po' raffreddati e intasati, un brodo piccante con peperoncino ci fa bene. Ed ha anche una potente azione antiossidante, limitata solo dal fatto che essendo una droga piccante la si può consumare solo a grammi, non a etti (“particolare” a cui non pensano mai i suoi propagandisti). Ho letto studi che lo considerano addirittura anticancro, ma evidentemente non verso gli organi che irrita. Ha anche un curioso effetto paradosso: secondo alcuni, stimolando a reagire la mucosa gastrica (“reazione adattativa”), come dire, ipotonica, in alcuni casi potrebbe aumentare perfino le difese anti-ulcera. Ho proprio letto così in un lontano studio, e perciò ho inserito questa proprietà difensiva nella voce "Peperoncino" dell’enciclopedico manuale Alimentazione Naturale. Peccato, però, che alcuni studi più recenti su giovani volontari sani consumatori della tipica "pizza di New York" tanto di moda tra i latinos (è ricca di peperoncino piccante messicano del tipo "jalapeno"), abbiano evidenziato preoccupanti microlesioni a livello dello stomaco. Insomma, gli effetti del peperoncino (vantaggi e danni) non sono ancora chiari e univoci, e gli studi sono contrastanti, perché gli studi sono complicati da numerosi altri fattori.
IL PICCANTE ANCHE ALTROVE. Contadini e pastori antichi andavano cercando erbe vagamente agre-piccanti come succedanei del costoso pepe, per esempio il pepe d’acqua (Persicaria hydropiper). Oggi, invece, le erbe selvatiche sono dimenticate e si cerca il piccante nei funghi. I funghi piccanti sono stupidamente ricercatissimi, e a caro prezzo, proprio nelle stesse province in cui si eccede in peperoncino. Sono tutti velenosi, poco, molto o moltissimo (alcuni potenzialmente mortali: dipende dalla quantità e ripetizione del pasto, perché la tossina si accumula), da Lactarius acerrimus, il fungo “asquant” del Barese, a L. piperatus, che in Calabria è addirittura essiccato e polverizzato come se fosse peperoncino, fino alle russole piccanti, come R. emetica o peperino. Una tossicità inutile, questa, da non confondere con la tossicità relativa, cioè “utile”, di molte verdure dai composti leggermente o molto piccanti, come gli indolo-glucosinolati delle Brassicacee (rucola, ravanello, rafano, broccoli, crescione, rapa, broccoletti di rapa, ecc.), che proprio grazie alla loro tossicità spingono addirittura all’apoptosi o suicidio programmato le cellule cancerose. La Natura ha tanti, apparenti contrasti: in questo caso “chiodo scaccia chiodo”.
Fatto sta, e tutti i medici urologi lo sanno, che molti, anche in Italia, dopo aver ripetutamente consumato cibi ricchi di peperoncino manifestano bruciore e perfino difficoltà alla minzione, o minzioni ripetute (stranguria, come l’eccesso di crescione, in cui però prevale l’effetto anticancro dei tiocianati), o la già detta ialoproctite, caratteristico bruciore anale alla defecazione.
Ma il maggior rischio di cancro da spezie piccanti degli Orientali va interpretato con intelligenza: dipende cioè per gran parte dalla dieta complessiva. Quei popoli per ragioni igieniche consumano di rado verdure crude (protettive delle alte vie digestive) e poco o niente latte (tranne che in India), anch’esso protettivo. E per di più hanno una dieta complessiva ad alto rischio, perché insieme col piccante ingeriscono ogni giorno per tutta la vita anche una quantità di salsa di soia, cibi affumicati o sotto sale (presenza del radicale N-nitroso, quindi nitrosamine, e poi muffe, aflatossine e altre sostanze cancerogene). Il piccante in eccesso, in quel contesto a rischio, è la ciliegina sulla torta.
Da noi, in Europa e specialmente in Italia, dove il piccante è meno frequente per l’idiosincrasia di casalinghe, bambini e cuochi verso le spezie troppo forti, e comunque il peperoncino viene tamponato dalla tipica abbondanza di verdure, frutti crudi, latte e latticini, il rischio è di gran lunga minore. Tanto che in molti casi, in diete molto protettive, potrebbero prevalere i vantaggi del dannatissimo "pepe rosso" o "della Cayenna", imitazione popolare del pepe dei Re. Ma non in regioni dove il peperoncino è talmente diffuso nella cultura antropologica da essere diventato ormai più una fissazione quotidiana, una superstizione, che un condimento, anzi, una sorta di emblema abusivo del mangiar bene e della buona salute.
CONSIGLI PRATICI. In ogni caso, prudenza e molta moderazione con questi piccanti e alle volte utili "veleni naturali". Non fatevi convincere da certi opuscoli di esaltati, come capitò a me da giovanissimo, quando spargevo peperoncino su tutte le pietanze, a pranzo e a cena. Non imitate i montanari calabresi della leggenda che mangiavano il peperoncino piccantissimo (“diavolicchiu”) a morsi, accompagnandolo solo con poco pane e molto vino, e fumandoci pure sopra. E comunque non mangiatelo mai, assolutamente, a stomaco vuoto, tanto meno se di tipo molto piccante, come hanno dovuto fare per esperimento gli orchestrali d’una orchestra sinfonica danese prima di eseguire un brano, un pazzo esperimento proposto da un musicista amante del peperoncino (basta vedere il divertente filmato e leggere le didascalie per capire che smorfie, bruciore alla bocca e allo stomaco, malesseri, addirittura svenimenti, non possono essere collegati a un cibo sano). Consumatelo di rado, meglio in polvere, cioè essiccato e macinato. In tale forma può essere ben amalgamato ai cibi, e più rapidamente neutralizzato dal sistema digerente e dal fegato, rispetto a quello in pezzi che è più offensivo proprio per la sua consistenza fisica e la più lunga permanenza nel tubo digerente.
Comunque il peperoncino non deve mai trovarsi a diretto contatto con le mucose (lo stesso per l’aglio). Va consumato sempre in piccole quantità e durante pasti abbondanti, ricchi non solo di amidacei e grassi, ma anche di verdura e frutta fresca, per esempio arance, oppure insieme a yogurt e latte grasso (i latticini leggeri proteggono le mucose e veicolano bene le spezie piccanti).
E in caso d’infiammazione o ipertrofia crescente della prostata, non più di una o due volte a settimana, come consigliano i medici della SIU. E ai primi sintomi (bruciore, stranguria ecc.) smettete.
UNA REVISIONE CRITICA DEGLI STUDI PRECEDENTI. Ecco una pagina della dettagliata review, basata soltanto sul riesame, più severo, dell'evidenza scientifica sui rischi mostrata dai 14 studi più attendibili finora pubblicati, sul rapporto tra peperoncino e cancro, pubblicata nel 2007 da World Cancer Research Fund e American Institute for Cancer Research: “14 studi caso-controllo hanno investigato il rapporto tra peperoncino e cancro allo stomaco. 9 studi hanno mostrato un aumentato rischio per i più alti consumi, comparati ai più bassi, rischio statisticamente significativo in 4 casi. In un 5.o studio il maggior rischio era significativo nei maschi ma non nelle donne, mentre in un 6.o studio era significativo solo nei non-bevitori di alcol ma non nei bevitori. Un diminuito rischio [da peperoncino] era mostrato da altri 4 studi, ma statisticamente significativo solo in 3. Alcuni costituenti del peperoncino sono irritanti, il che potrebbe plausibilmente aumentare l’infiammazione nello stomaco. In sintesi [sul forte consumo di peperoncino] “esiste una evidenza che suggerisce una sua associazione con un aumentato rischio di cancro allo stomaco”.
In altre parole, i severi criteri scientifici usati dai due organismi nel valutare gli studi finora pubblicati fanno sì che il maggior rischio statisticamente significativo ci sia, anche se non è alto. Il che non vuol dire "basso rischio", sia chiaro, ma solo che finora non si è ancora riusciti ad avere le prove di un rischio alto. Il che è comprensibile, vista la difficoltà estrema di separare il consumo di un cibo – tanto più di una spezia che si misura in grammi o decigrammi e viene messa dappertutto – dalla dieta generale di un individuo o di una popolazione. Fatto sta che questa semplice prova di rischio deve mettere in moderato allarme, spingendoci ad evitare non l’uso sensato del peperoncino (cioè poco o pochissimo e ogni tanto), ma ogni eccesso (cioè tanto e spesso).
LA COMPLESSA EPIDEMIOLOGIA DELL’ESTREMO ORIENTE. Gli studi epidemiologici, cioè medico-statistici, sull’uso del piccante in Estremo Oriente sono complessi, per il ruolo di confusione che possono ingenerare numerosi fattori. E’ ormai super-provato – ripetiamo – che hanno maggiori rischi di tumori al naso, alla bocca, alla laringe e all'esofago Indiani, Cinesi e altri popoli forti e abituali consumatori di peperoncino, pepe e altre droghe molto piccanti. E tra i vari cibi piccanti, come pepe e peperoncino, sono del tutto analoghi pregi, difetti e meccanismi d'azione, al contrario di quanto crede la gente: perciò, non è vero che “il pepe fa male, ma il peperoncino fa bene”. Ma questi studi sono complicati da possibili altri usi alimentari e modi di conservazione che possono confondere i dati, come i cibi conservati sotto sale (pesce, soprattutto, ma anche verdure) e le salse fermentate di soia, oltre all’usanza orientale di consumare bevande e cibi bollenti. Tutti eccessi o errori oltretutto non accompagnati da una dieta generale adeguata, cioè ricca di verdure crude e dotata anche di latticini, entrambi gruppi di alimenti protettivi dal piccante, come invece accade in Occidente.
COTTURA. Infine, c’è ambiguità e incertezza anche sul problema della cottura. Può essere cotto il peperoncino? No, assolutamente, dicono i gastronomi, ma anche i biochimici: il calore distrugge parte dei suoi principi attivi (ma non i capsaicinoidi, come abbiamo visto sopra), con la conseguenza che si degradano le molecole che formano il suo sapore. In India, dove si abbonda in piccante e in cotture, e il peperoncino viene mescolato spesso ad altre spezie (p.es. è nel curry), può capitare che sia cotto, o più spesso (e più correttamente) aggiunto in fine cottura. La differenza è una questione di tempi e di sapore finale che si vuole ottenere. Si può tollerare che sia aggiunto a pezzetti in fine cottura al riso e coinvolto in un minuto di cottura, ma non quando è in polvere: va aggiunto a fuoco spento o direttamente sui piatti, a seconda dei gusti di ognuno. Esiste perfino una balzana diceria per cui diventerebbe addirittura “tossico” con la cottura, Ovviamente non è vero. Infine, una curiosa citazione da una intervista, molto tagliata, su Repubblica: La Repubblica: ORA PARLA LA SCIENZA
IL PEPERONCINO E’ OTTIMO CONTRO DOLORI E PRURITI
Rosso e piccante, ampiamente utilizzato in tutta la cucina mediterranea, il peperoncino viene scoperto dalla medicina moderna per la sua capacità di alleviare dolore e pruriti. Questo potere è già noto da qualche tempo, ma ora la spezia si è meritata persino una pubblicazione su una rivista universitaria degli Usa, la Penn State Sports Medicine Newsletter, organo ufficiale del Centro di medicina dello sport dell'Università di Langhome (Pennsylvania): “Alcuni atleti e ballerini usano abitualmente creme locali a base di capsaicina, il principio attivo contenuto nel peperoncino, per ridurre il dolore da osteo-artriti, ma gli studi che verificano questo particolare trattamento non erano stati finora pubblicati”, scrivono gli autori della ricerca. Osservazioni, condotte più di recente alla Yale University e al National Cancer Institute, avevano dimostrato l'efficacia anti-dolorifica della capsaicina, sostanza scoperta nel pepe rosso. Non ne sono ben noti i meccanismi di azione, ma si pensa che la capsaicina stimoli il rilascio di una sostanza che funge da mediatore del dolore e del prurito, detta sostanza P, in maniera più abbondante del normale. Sotto stimolazione della capsaicina, la sostanza P viene liberata dalle terminazioni nervose sensitive sia a livello centrale che periferico (terminazioni sensitive cutanee) e poi produce una prolungata desensibilizzazione delle stesse terminazioni, spiega Nico Valerio, esperto della nutrizione e della salute. Insomma, l’effetto antalgico del principio attivo del peperoncino dipende dalla sua capacità di provocare l'esaurimento dei neuro-peptidi e il blocco della fibra capsaicina-sensibile che trasporta informazioni anomale al sistema nervoso centrale, come accade probabilmente nel dolore (La Repubblica, 20 febbraio 1997).
RIFERIMENTI
Innanzitutto si raccomanda per la sua sintesi e il criterio razionale lo studio review di BODE AM e DONG Z. The Two Faces of Capsaicin, Cancer Research 71 (8), April 15, 2011, 71; 2809-2814, con 50 riferimenti e i principali studi scientifici favorevoli e contrari al peperoncino e alla capsaicina. Poi segnalo lo studio della Supalkova et al. ampiamente citato nell’articolo (e da cui ho tratto una tabella e un disegno), e lo studio di Huffman et al. sul jalapeno
Supalkova V, Stavelikova H, Krizkova S, Adam V, Horna A, Havel L, Ryant P, Babula P, Kizek R. Study of Capsaicin Content in Various Parts of Pepper Fruit by Liquid Chromatography with Electrochemical Detection. Acta Chim. Slov. 2007, 54, 55–59 55
Huffman VL, Schadle ER, Villalon B, Burns EE. Volatile components and pungency in fresh and processed jalapeno peppers. Journal of Food Science 43, 6, 1809–1811, November 1978. La review di Lampe sulla più importante rivista scientifica di nutrizione clinica, studia gli effetti anti-cancro delle spezie in generale, ma alla fine prevede un capoverso di eccezioni o di dubbi proprio sul peperoncino, citando tre studi che riportiamo qui:
Lampe JW.
Spicing
up a vegetarian diet: chemopreventive effects of phytochemicals. Am J Clin Nutr
2003;78(suppl):579S-583S.
Mathew A, Gangadharan P, Varghese C, Nair MK. Diet and stomach cancer: a
case-control study in South India. Eur J Cancer Prev 2000;9:89-97.
Phukan RK, Chetia CK, Ali MS, Mahanta J. Role of dietary habits in the
development of esophageal cancer in Assam, the north-eastern region of India.
Nutr Cancer 2001;39:204-9.
Jensen-Jarolim E, Gajdzik L, Haberl I, Kraft D, Scheiner O, Graf J. Hot spices
influence permeability of human intestinal epithelial monolayers. J Nutr 1998;128:577-81.
Uno studio clinico italiano smentisce la convinzione popolare che il peperoncino provochi o peggiori i sintomi di emorroidi. Quindi non c’è motivo che il medico si opponga se il paziente desidera questa spezia di tanto in tanto.
Infine, altri studi, come esempi di attività protettiva o a rischio, secondo il suo comportamento duplice tipico delle spezie e soprattutto quelle piccanti: antiossidante e perfino anti-cancro (per lo più in laboratorio e come capsaicina estratta, va anche detto, il che limita molto i presunti vantaggi, che per me restano solo la mucolisi e la minore utilizzazione energetica...) e irritante, come "cibo vero" mangiato a lungo e, specie in Oriente, in quantità. In questo caso, insieme ad altri fattori alimentari, aumenta il rischio epidemiologico di tumori a bocca, esofago e stomaco:
Agrawal Rc, Wiessler M, Hecker E, Bhide Sv. (1986), Tumour-promoting effect of chilli extract in BALB/c mice. Int. J. Cancer, 38: 689–695.
Chitra S, Viswanathan P, Nalini N, Sabitha K, Menon Vp. Role of redchilli (Capsaicin) in the formation of colonic carcinoma. Indian journal of pathology and microbiology. 1997,40,1:21-25.
Toth B, Rogan E, Walker B. Tumorigenicity and Mutagenicity Studies With Capsaicin of Hot Peppers. Anticancer Res 4,117-120,1984,45.
Myers Bm, Lacey Smith J, Graham Dy: Effect of red pepper and black pepper on the stomach. Am J Gastroenterol 82:211-214,1987,14.
David Y. Graham, Md; J. Lacey Smith, Md; Antone R. Opekun, Pa-C. Spicy Food and the Stomach: Evaluation by Videoendoscopy. JAMA. 1988;260(23):3473-3475.
Nwaopara Ao, Odike Mac, Inegbenebor U, Adoye MI. The Combined effects of excessive consumption of ginger, clove, red pepper and black pepper on the histology of the liver. Pak. J. Nutr., 2007.6:524-527.
Eddy Aa, 2001. Mast cells find their way to the kidney. Kidney Int., 60:375–377.
Peperoncino favorisce cancro cistifellea [Risk factors for gallbladder cancer in Chilean females], Endoh K; Nakadaira H; Yamazaki O; Yamamoto M; Tajima K; Serra I; Calvo A; Baez S - Nippon Koshu Eisei Zasshi. 1997; 44(2):113-22
Peperoncino tra le cause del cancro dello stomaco [Diet and stomach cancer: a case-control study in Mathew, Gangadharan, Varghese, Nair, M K. South India], European Journal of Cancer Prevention. 9(2):89-98, April 2000.
Peperoncino come co-carcinogeno [Co-carcinogenic effects of several Korean foods on gastric cancer induced by N-methyl-N'-nitro-N-nitrosoguanidine in rats], Jin-Pok Kim, Jae-Gahb Park, Myung-Duck Lee, Man-Dong Han, Soon-Tae Park, Bong-Hwa Lee and Sung-Eun Jung - Surg.Today 15, November 6,1985.
Capsaicina arma a doppio taglio: cancerogena o anti-cancro [Capsaicin, a double-edged sword: toxicity, metabolism, and chemopreventive potential], Surh YJ, Lee SS. Life Sci 1995;56:1845-55.
Capsaicina nel peperoncino: carcinogeno, co-carcinogeno o anti-cancro? [Capsaicin in hot chili pepper: carcinogen, co-carcinogen or anticarcinogen?], Surh YJ, Lee SS. Food Chem Toxicol 1996;34:313-6.
Lv J, Qi L, Yu C, Yang L, Guo Y, Chen Y, Bian Z, Sun D, Du J, Ge P, Tang Z, Hou W, Li YE, Chen J, Chen Z, Li L. Consumption of spicy foods and total and cause specific mortality: population based cohort study. BMJ 2015;351:h3942
Sun D, Lv J, Chen W, Lil S, Guo Y, Bian Z, Yu C, Zhou H, Tan Y, Chen JI, Chen Z, Li L. Spicy food consumption is associated with adiposity measures among half a million Chinese people: the China Kadoorie Biobank study. BMC Public Health 2014, 14:1293.
Nilius B & Appendino G. Spices: the savory and beneficial science of pungency. Rev Physiol Biochem Pharmacol 2013, 164:1–76.
Ludy MJ & Mattes RD. Comparison of sensory, physiological, personality, and cultural attributes in regular spicy food users and non-users. Appetite 2012, 58:19–27.
Yoneshiro T, Aita S, Kawai Y, Iwanaga T, Saito M. Nonpungent capsaicin analogs (capsinoids) increase energy expenditure through the activation of brown adipose tissue in humans. Am J Clin Nutr 2012, 95:845–850.
Reinbach HC, Martinussen T, Møller P. Effects of hot spices on energy intake, appetite and sensory specific desires in humans. Food Qual Prefer 2010, 21:655–661.
Ludy MJ & Mattes RD. The effects of hedonically acceptable red pepper doses on thermogenesis and appetite. Physiol Behav 2011,102:251-258.
Whiting S, Derbyshire E, Tiwari BK. Capsaicinoids and capsinoids. A potential role for weight management? A systematic review of the evidence. Appetite 2012,59:341-348.
Cha YS, Kim SR, Yang JA, Back HI, Kim MG, Jung SJ, Song WO, Chae SW. Kochujang, fermented soybean-based red pepper paste, decreases visceral fat and improves blood lipid profiles in overweight adults. Nutr Metab (Lond)2013,10:24.
IMMAGINI
1. TABELLA. Il grado di piccantezza delle diverse soluzioni di capsaicina – che è il principio attivo piccante dei frutti di alcune specie del genere Capsicum – fu misurato in modo soggettivo dallo Scoville, ma oggi è suffragato dalle quantità reali di capsaicina determinate con la gascromatografia. I gradi Scoville hanno quindi una notevole utilità per differenziare tra loro le centinaia di varietà di peperoncino e per decidere quali impiegare per uso alimentare o farmacologico. Come si vede dalla tabella, qui riprodotta in forma sintetica, anche varietà considerate molto piccanti, sono una minima cosa rispetto ad altre ultra-piccanti e, naturalmente, ultra-tossiche, di cui si sconsiglia l’uso.
2. IMMAGINE. Lo spaccato di un peperone piccante con le sue parti più o meno dotate di capsaicina (da Supalkova et al. modif.).
3. TABELLA. La concentrazione di capsaicina nelle diverse parti di peperoncini di alcune varietà in Europa (da Supalkova et al).
AGGIORNATO IL 14 AGOSTO 2021