PATATE. Con una certa moderazione: richiedono insulina quanto lo zucchero.
Contro le abitudini dei consumatori e – una volta tanto – contro gli interessi dell’industria, i ricercatori hanno provato che le squisite e popolarissime patate, se consumate in eccesso o regolarmente, anche quando non sono fritte, sono un cibo rischioso per tutti, ma soprattutto per i bambini. Provocano, infatti, con maggiore probabilità sovrappeso, obesità, diabete, colesterolemia, eccesso di trigliceridi, insomma disturbi metabolici e cardio-vascolari, e a lungo andare perfino tumori. E non perché contengano chissà quali sostanze, come le tracce di solanina, terrore di steineriani e macrobiotici, ma proprio per la qualità particolare del loro amido che le equipara praticamente allo zucchero bianco.
I tuberi ricchi di amido della patata, pianta introdotta dall’America, si diffusero sulle tavole europee solo tra la fine del 700 e l’inizio dell’800, tra la diffidenza di contadini e borghesi che li consideravano rispettivamente cibo per animali e per poveri, e l’opposizione degli studiosi (le parti verdi della pianta sono velenose). A patrocinarli furono in Francia il farmacista Auguste Parmentier e in Italia il fisico Alessandro Volta. Ma conquistarono gli europei solo quando questi impararono a cucinarli, salvandosi così dalla carestia di cereali.
Ora, però, le patate si sono presa una rivincita forse eccessiva diventando cibo ghiotto, popolare e quotidiano, addirittura fondamentale per bambini e anziani, in quasi ogni Paese. Un po’ meno in Italia, a dire il vero, per il forte radicamento del frumento, con le sue famose “3 P”: pasta, pizza e pane. Ebbene, ora che in tempi di obesità e diabete diffusi perfino tra i bambini la ricerca scientifica mette in luce una caratteristica negativa della patata, come si fa a dire ai consumatori: “Vi sbagliate a puntare sulle patate, dovreste tornare a mangiare cereali come i vostri progenitori, cioè frumento, orzo, avena, segale, miglio e saraceno?” E neanche, a rigore, gli si può proporre l’alternativa del riso: ha difetti analoghi alla patata. Comunque, sarà dura spiegarlo alla gente, che è tradizionalista. E poi si solleverà la potente lobby dei fast food. E infatti già protestano alcuni dietologi e nutrizionisti.
Per capire quanto siano diffuse le patate nell’alimentazione di massa, basta considerare che a mettere il naso nelle cucine di tutto il Mondo, tranne forse in qualche ristorante italiano, si vedono garzoni e macchine pela-patate sempre all’opera. Le patate, addirittura, molti ristoranti le acquistano da ditte specializzate già sbucciate – intere o tagliate a tocchetti – in grandi buste di plastica, irrorate di antiossidante, perché imbruniscono in fretta. Se poi si mette piede nei fast food, a meno di non chiederlo espressamente, l’unico farinaceo che vi danno di accompagnamento sono le patatine.
Per centinaia di milioni di persone in tutto il Mondo è il vero primo piatto di ogni giorno. Ovunque non si usi il “piatto di entrata” di cereali, all’italiana, spetta proprio ad un abbondante piatto di patate (fritte, al forno, in purea, in umido ecc.) il giusto apporto di farinacei e di carboidrati complessi.
Perché la patata, si sa, è ben dotata di amido (non ricchissima, però, come i cereali) e, una volta cotta, dal punto di vista energetico e nutrizionale può sostituire più o meno (ha troppo poche proteine) paste da cuocere, polente, farinate, torte rustiche, pizze varie, pane e biscotti, rispetto ai quali ha anche piccoli vantaggi: costa meno, ha una digeribilità addirittura maggiore, contiene perfino vitamina C in discreta quantità (dopo la cottura, però, solo in tracce). Quel che è certo è che è un farinaceo di gusto gentile, che piace a tutti, abbastanza completo, molto versatile in cucina dove si nasconde in mille modi (dalle crocchette ai dolci di fecola di patate), economico e sano. E’ ricoperta da una buccia ricca di polifenoli antiossidanti, il che è un invito a mangiarla intera arrostita al forno o bollita.
Abbastanza dotata di fibre e dieteticamente leggera (esiste anche una dieta dimagrante naturista di sole patate di Rosenfeld fondata sul fatto che danno subito sazietà). Purché ben cucinata, non fritta, non imbevuta di grassi cotti (come i contorni di certi arrosti) o di cattiva qualità, e consumata poco e di rado, con la moderazione e il buon senso con cui si usa per tradizione in Italia (“un paio di volte la settimana”, per esempio, propone L. Donini, docente di Scienza dell’Alimentazione nell’articolo sotto citato in link. Una o due volte, consiglia tutt’al più il medico specializzato in problemi dell’invecchiamento o antiaging, F. Ongaro), la patata resta un cibo sostanzialmente sano e leggero.
Ma è sconsigliato come cibo regolare e per persone a rischio di diabete, malattie cardio-vascolari e sindrome metabolica, e soprattutto ai bambini, sempre più affetti da sovrappeso e diabete alimentare, soprattutto in Italia e negli Stati Uniti. Tanto che le autorità sanitarie degli Stati Uniti hanno deciso di vietarle addirittura nelle mense scolastiche, come informano i giornali.
E’ davvero curioso che nell’articolo citato, pure scontando imprecisione e sintesi affrettate dei giornalisti, alcuni nutrizionisti e dietologi protestino contro le critiche alla patata dagli Usa e parlino di “tradizione” offesa. D’accordo, non è obbligatorio avere studiato la Storia degli alimenti, ed è comprensibile, anche se non condivisibile, che si vogliano difendere i coltivatori italiani, ma insomma a tutto c’è un limite. E Calabrese li passa spesso questi limiti. Innanzitutto nelle preoccupazioni di un docente di nutrizione e di un divulgatore televisivo il messaggio chiaro sulla salute dei cittadini dovrebbe venire prima dei bilanci dei produttori. In secondo luogo, se la patata che fu introdotta in Italia nell’alimentazione comune solo nell’Ottocento viene definita “cibo tradizionale”, allora che dovrebbe dire il docente super-intervistato dei concorrenti amidacei della patata, cioè di miglio, farro e orzo, cibi quotidiani già dai tempi degli antichi Romani, e di frumento duro, frumento tenero, avena, riso e saraceno, in ordine di apparizione nella nostra Tradizione?
E perché non spingere, invece, a consumare i nostri veri cibi amidacei tradizionali? Siamo sicuri che la stragrande maggioranza degli Italiani, molto ignorante in fatto di cibo, non trarrebbe maggior giovamento dal consumare una gustosissima e molto più “tradizionale” minestra di frumento tenero in chicchi – al posto del farro, ormai snob – con contorno di legumi o verdure, al posto del riso e delle patate? Perché il riso in chicchi, sì, tanto peggio se bianco raffinato, che oltretutto, come la patata, è diabetogeno e provoca stitichezza, e il frumento integrale in chicchi no?
In Italia, comunque, la patata è un cibo recente e rimasto del tutto secondario. A parte le patatine chips confezionate che stanno diffondendosi negli ultimi anni tra bambini e ragazzi, e cominciano a tirarsi dietro anche molte richieste di patatine fritte sia nei fast food che nei ristoranti tradizionali. Ma che un docente di nutrizione come G. Calabrese, oltretutto sempre presente in tv, per difendere le patate dica banalità che meriterebbero solo un 18 a uno studente del primo anno, come “contengono una buona dose di potassio” (vero, ma tutti i vegetali ne sono straricchi, non può esistere una dieta mista povera di potassio, persino la carne ne ha), e che tra i meriti della patata citi proprio “l'amido, zucchero complesso che dà gradevolezza, sazietà ed energia senza appesantire”, quando proprio questo particolare amido è l’handicap della patata, be’, non è davvero scusabile. Torni a ottobre, Calabrese! Da un nutrizionista, specie se docente, il cittadino si attende cose profonde, critiche, centrate e scientifiche.
Ma perché l’amido della patata, pur così digeribile, appare a chi cerca il pelo nell'uovo così "negativo" o, almeno non ideale? Proprio perché molto digeribile, e rapidamente. Perché si è sperimentato che richiede molta insulina. Probabilmente perché l’amido nelle patate è leggermente diverso da quello del frumento (v. figura), per esempio, in quanto composto solo per il 20 % da amilosio e per l’80% da amilopectina. Insomma, contiene troppa amilopectina, come il riso del resto. Entrambe le molecole, amilosio e amilopectina, sono polimeri (cioè catene di molecole) in cui entra il glucosio, ma di forma e assorbimento diversi: l’amilopectina ha una struttura ramificata, granuli molto più piccoli e facilmente digeribili e assimilabili, il che e rende l’intero amido della patata digeribile più rapidamente e in modo completo di quello del grano. E’ questo, infatti, lo sbandierato vantaggio di patate e riso. L'amilosio, invece, ha una struttura lineare e tende a comportarsi come fibra non assimilabile.
Ma questo vantaggio dell’amilopectina (e della patata) ha un rovescio della medaglia: vuol dire anche una richiesta immediata e massiccia di insulina, con tutto quello che ne consegue sul piano della salute. Il che è un grave svantaggio. La patata, infatti, fa registrare un altissimo indice glicemico, che per molte preparazioni (patate bollite, purea ecc) può è essere superiore a quello dello zucchero, e addirittura arrivare anche a 101 e oltre (si noti che 100 è il valore di riferimento: il glucosio). E conta anche il notevole carico glicemico. Anche perché le patate non sono come lo zucchero che si mangia in piccole quantità.
Intendiamoci, niente di grave e irrimediabile che autorizzi a boicottare drasticamente questo squisito e tutto sommato sano tubero, che consiglio di provare anche al forno con tutta la buccia (si veda anche la voce "Patata" del mio manuale di "Alimentazione Naturale", riportata in questo articolo), ma certo è un interessante aspetto metabolico che va preso in considerazione, almeno da parte di chi, appunto, soffre di disturbi o inefficienza metabolica, oppure vuole avere la soddisfazione di gestire in modo razionale o personale la propria dieta.
Quindi non è vero che le patate sono dannose per gli Americani o per i giovani, solo per il condimento sbagliato o “perché le mangiano solo fritte”, come pensa l’uomo della strada e dice anche Calabresi. Questo è vero, ma al grasso ossidato della frittura si aggiunge anche la particolare qualità dell’amido. Purea e patate bollite, a cui le tabelle attribuiscono un IG altissimo, non hanno olio fritto.
Insomma, la patata è proprio l’opposto dei cereali integrali e dei legumi (amidi poco e lentamente digeribili e assimilabili, minore e meno rapida trasformazione in glucosio, minore e rallentata richiesta di insulina ecc). La patata, avendo poco amilosio, ha anche pochi “amidi resistenti” alla digestione (collegati a una più alta percentuale di amilosio), che invece sono abbondanti in legumi e cereali, specialmente integrali, e anche nelle pietanze cerealicole crude (fiocchi) o di cereali cotti e poi raffreddati (pasta, polenta, pane raffermo). Ma anche le patate cotte fredde, cioè lasciate in frigorifero (corretto), o cotte e abbandonate a temperatura ambiente casalinga (molto scorretto: sono facile terreno per batteri), aumentano i propri “amidi resistenti”, riducendo l’assimilazione dell’amido e abbassando il proprio IG, anche se meno di cereali e legumi, per via della carenza di amilosio.
Comunque, è questo un fenomeno poco noto al largo pubblico, che si chiama “retrogradazione degli amidi”, che può avere effetti pratici interessanti. Infatti spingerebbe per quanto possibile a mangiare crudo (p.es. fiocchi di cereali, oppure piccoli semi di legumi e cereali germogliati), oppure cotto, ma freddo, compreso il pane, che a questo fine non dovrebbe mai essere caldo di forno ma semmai raffermo. Con grande utilità sul peso, le malattie cardio-vascolari e il diabete.
Inquietante e imbarazzante, se si pensa che il tanto bistrattato zucchero bianco ha “solo” 92 circa di IG, meno delle patate, segno che non tutto il suo saccarosio e non rapidissimamente viene trasformato in glucosio. Naturalmente, altra cosa è il carico glicemico, dovuto alla quantità in percentuale dei carboidrati in un cibo, e perciò la patata, che ha molto meno carboidrati di zucchero e glucosio, avrà un carico glicemico totale più basso. Però la cosa fa pensare, e deve convincere il pubblico a consumare solo piccole quantità di patate e non di frequente, proprio per non raggiungere, oltre all’altissimo IG, anche un alto carico glicemico. Non per caso gli scienziati Walter Willett e Meir Stampfer, dell’Università di Harvard, hanno messo la patata (accanto a riso, pasta e pane bianco) proprio in cima alla piramide, segno che va mangiata “il meno possibile”.
Tutti questi cibi amidacei - quando e se possibile (e senza fanatismi) - andrebbero sostituiti da cereali integrali e legumi. Lo dice la Scienza modernissima, lo diceva la Tradizione antica. Dunque siamo in una botte di ferro: è vero e incontrovertibile. Chi può dire di no? Forse manca al supermercato la pasta integrale? Mancano i fiocchi di avena o il pane integrale vero? Ma i nostri dietologi e nutrizionisti da tv, sempre gli stessi, da questo orecchio non ci sentono. E invece, difendono l’indifendibile patata, dicendo in sostanza che “è buona e si usa da tanto”. Grazie tante, lo sapevamo già. Anche noi ne siamo ghiotti, anche lo zucchero è “buono” ed è ormai “tradizionale (e a noi piace sotto forma di miele o Muscovado). E con ciò? Forse che ingurgitiamo etti di miele o zucchero bruno? No, e perciò neanche porzioni quotidiane di patate sono sensate, con tanti buoni e vari cereali integrali a disposizione. [E noi che non solo paghiamo gli stipendi e le trasmissioni della Rai-tv, ma a pensarci bene abbiamo anche fatto studiare con le nostre tasse certi studenti fino a farli laureare e diventare “esperti” di dietologia o nutrizione, per sentirci dire cose che si potrebbero sentire, dette meglio e gratis, in ogni bar...].
AGGIORNATO IL 22 MARZO 2016
Etichette: amido, cereali integrali, diete a rischio, divulgazione, fibre, indice glicemico, paste integrali, patata, prevenzione, raccomandazioni, zuccheri