lunedì 14 luglio 2008

FARINA INTEGRALE. Se la bottega “naturale” non ce l’ha, non tornateci.

BIO O NON-BIO, FARINA INTEGRALE DI GRANO TENERO CERCASI.  Ricordo quella volta che mi toccò di uscire deluso da ben tre botteghe di “alimentazione naturale” e alimenti “biologici”, senza aver trovato la normalissima farina integrale di grano tenero con cui settimanalmente preparo il pane, e che consiglio sempre a tutti come scelta logica doverosa per pane, pizze, torte rustiche, pasta fatta in casa e perfino dolci. Anzi, fatemela dire tutta: l’idea che il nostro corpo per star bene e i dolci per venire bene abbiano bisogno di “calorie vuote” da amido puro, (che nel corpo diventerà zucchero glucosio, con tutto lo zucchero, il miele, il burro o la marmellata che ci sono nei dolci), e che le fibre e i sali minerali e gli acidi grassi essenziali proprio quando sono in un dolce ci facciano male, è degna solo dell’ottusità di molte ricette, di molte cuoche e di moltissime gastro-dipendenti che le seguono passivamente senza il minimo senso critico.

Al contrario: proprio perché di carboidrati oggi bisogna consumarne di meno, perché sono un “di più” di accompagnamento (pane) o invogliano troppo i golosi (pizze, torte, dolci di farina), per pane, torte rustiche, dolci di farina e paste da cuocere, dobbiamo pretendere sempre farina totalmente integrale e di ottima qualità, cioè con molte fibre (ma che siano le sue, cioè non la crusca aggiunta, il che vuol dire anche dotata di germe di grano con i suoi acidi grassi essenziali e le tracce di vitamina E, molita in modo uniforme, con il suo caratteristico colore avorio chiaro e l’odore di germe, il più alto tasso di proteine, e infine una buona qualità del glutine, come si constaterà poi dall’elasticità dell’impasto, dalla lievitazione e dalla consistenza della pagnotta di pane. Il che si traduce anche in un gusto migliore, più pieno e carico, che non è solo quello banale di zucchero, per il quale sono buoni tutti. Un dolce che sa solo di zucchero è un pessimo dolce: non consumatelo. Si deve sentire il sapore rustico delle cose naturali. Quindi assolutamente farina integrale di grano tenere anche per i dolci, come il panettone.

La farina va acquistata solo se integrale al 100%, meglio se biologica. Ma ricordo che una volta fui costretto a entrare in due supermercati convenzionali per trovare almeno le discreta o buone (dipende dai criteri) farine di frumento tenero integrale (non biologiche) dei mulini Spadoni e Rossetto, per confrontarle con l’ottima o buona farina di frumento tenero integrale e biologica di Alce Nero, già sperimentata da anni. Ma ora quest’ultima, che non è più la famosa Alce Nero del grande Girolomoni, è venduta anche in qualche supermercato (v. il sito del produttore).  In alternativa alla seconda sarebbe andata benissimo anche l’ottima o buona farina di frumento tenero integrale e biodinamica della Demeter, che costa appena un poco di più (botteghe macrobiotiche).

Alla fine acquistati ben quattro tipi di farine integrali, due bio e due non-bio. Interessante vedere, al di là di etichette e prezzi, quanto possano incidere le differenze di colore, aspetto (omogeneità), capacità di assorbire acqua nell’impasto, elasticità dell’impasto, consistenza dell’impasto (il che vuol dire qualità del glutine), ma anche tipo di lievitazione, e poi, dopo la cottura, consistenza e gusto del pane o della torta che avremo ricavato.

Tutti però lievitati allo stesso modo, cioè con molto "lievito madre" a pasta acida (v. qui l’articolo completo), che a parte gli altri vantaggi nutrizionali dà al pane un gusto acidulo che mi piace molto e che favorisce anche la digestione. Per inciso, ricordo che mia nonna diceva che ne bastava la metà, e che lei col mio panetto di pasta madre grande come un pugno “avrebbe lievitato almeno una decina di pani, non uno solo”. Invidia da vecchi? Ma certo lei sapeva fare il pane meglio di me, faceva rinvenire il lievito madre più a lungo, e poi una volta data forma al pane effettuava svariati brevi rimpasti o maneggiamenti (noti come "seconda lievitazione" e “terza lievitazione”) della massa già lievitata, che io salto per guadagnare tempo e per timore che con un lievito madre poco forte la pagnotta non ce la faccia a crescere una seconda e terza volta, oppure che debba aspettare ancora troppe ore.

Ma un po’ di attenzione va fatta alla composizione riportata sulle etichette delle farine, al vero rapporto prezzo-qualità, e quindi alla convenienza reale. La nostra tabella sotto riportata confronta farine molto diverse tra loro per valore e prezzo, acquistate in una grande città, in una nota bottega di alimenti biologici e in due diversi supermercati discount senza marche famose. Colpisce i non esperti che proprio la farina super-economica acquistata in un discount ha più fibre. Come mai? Diamo uno sguardo ai carboidrati, che sono quelli disponibili, cioè realmente assimilabili: si noterà che sono minori proprio dove ci sono molte fibre. Certo, perché quasi certamente a questa farina è stata aggiunta crusca (fibre non assimilabili) alla farina di base, forse una 0. Così abbiamo meno carboidrati e più fibre, soprattutto insolubili (poco utili). E infatti nella Frumenta si vedono anche ad occhio nudo i puntini grossolani della crusca poco molita. Niente di irreparabile, sia chiaro. Perfino con questa farina molto mediocre, ma assolutamente “sana”, anche se meno naturale [“sano” è tutto ciò che è compatibile con l’organismo umano e non lo danneggia] si può fare un pane discreto, sicuramente migliore dal punto di vista salutistico-preventivo di qualsiasi pane bianco. Anche perché, dice la tabella, nella crusca si è infilato per fortuna anche un po’ di germe di grano (lo dimostrano i valori più alti dei grassi), il che è positivo (acidi grassi essenziali, vitamina E ecc.). Ma non c’è dubbio che per 1kg di farina integrale, che darà una pagnotta di circa 1,4-1,6 kg che può bastare – per un singolo consumatore adulto – anche 2 settimane (di pane bisogna mangiarne poco, non dimentichiamolo), non è sensato mettersi a risparmiare poche decine di centesimi. Personalmente, non consiglio (v. giudizio, che è sempre soggettivo e opinabile) questa farina integrale, se non in casi estremi, oppure per non sprecare la farina buona nel cospargere la parte inferiore della pagnotta quando la si dispone sul mattone di gres da inserire nel forno. Sempre meglio la farina, qualunque farina, piuttosto della carta da forno, che è testata “sicura” solo alle basse temperature (e cotture rapide), ma non alle altissime prolungate temperature tipiche della panificazione. La farina Fior di Molino, invece, a parità di prezzo, è nettamente migliore della Frumenta perfino all’aspetto: ha un rassicurante colore avorio uniforme, senza mostrare i caratteristici puntini di crusca, che in parte si vedono perfino nella biologica Ki. Per composizione è esattamente uguale alla farina integrale non biologica del Molino Rossetto, oggi non più disponibile. Il pane che dava era buono, se non ottimo. Ma costava troppo davvero per una farina non biologica. Allora, per pochi centesimi in più conviene la integrale e biologica Alce Nero, che però non è facile trovare (aiutarsi con internet), e le analoghe farine delle botteghe del naturale, come la Demeter (biodinamica) e simili. Altrimenti, non resta che provare la economicissima Fior di Molino venduta da Todis. Alquanto deludente la biologica Ki, anche per come si presenta, con lo sfarinato della crusca evidente, che non abbiamo difficoltà ad attribuire a una molitura non omogenea. Ma già solo per questo, indipendentemente dal tasso di glutine, merita una stella in meno.

Farine integrali

Sui vantaggi salutistici e preventivi delle farine integrali (di qualsiasi cereale) si veda in sintesi l’articolo dedicato.

Ma torniamo allo scandalo della farina integrale che non si trova. Che sta succedendo ai negozi del "naturale" e del "bio"? Per innalzarsi sempre più nei guadagni e sopravvivere alla concorrenza in mancanza di cultura specifica e di idee, rischiano di cadere sempre più in basso. Sono lontani i tempi eroici delle Reform Hauser tedesche degli anni 20 e 30, poi esportate in Gran Bretagna e Stati Uniti come Reform Houses, veri e propri centri culturali della Riforma dell'alimentazione dove veri esperti naturisti consigliavano e prescrivevano i clienti-adepti con cognizione di causa, e dove cuoche specializzate e nutrizionisti insegnavano a cucinare in modo diverso, a creare i germogli, a farsi addirittura la farina da sé.
Certo, non è casuale la mancanza di una materia prima fondamentale come la farina integrale. Perfino le foto su internet, addirittura quelle dei listini delle ditte, sono rare. Per pubblicare una foto di farina italiana d'una ditta conosciuta sono stato costretto a mettere sullo scanner la busta acquistata. Non sanno neanche farsi pubblicità... E questo mi aveva già messo in allarme.
Che vuole dire? Intanto emerge finalmente nella sua brutale crudezza il problema dei problemi: a che servono ormai questi negozi? Dirò di più, signori della Corte: che cosa è ormai, vista da chi sul "naturale" fa business e dai suoi clienti, l’alimentazione sana e naturale?

Non c’è bisogno di Sherlock Holmes per indovinarlo. Negli ultimi anni l’alimentazione pratica proposta di fatto dalle botteghe del "naturale" o "bio" o dalle pochissime erboristerie in tutt’Italia che vendono anche alimenti (perché sugli alimenti "si guadagna poco") si indovina osservando due eloquenti indicatori: l’esposizione sugli scaffali e i consigli dei commessi.

Bene, se guardate a questi due segni vi mettete le mani nei capelli. Lasciamo stare i "consigli". I prodotti di base, le materie prime, i cibi semplici ed essenziali su cui si fonda l’alimentazione naturale o non ci sono ("sono finiti", dicono i commessi), o sono di una sola marca, e quindi non c’è scelta. Mentre abbondano le confezioni pronte, i cibi preparati, elaborati, conservati, precotti, troppo dolci, salati, tostati, importati, esotici, creme, salsette, marmellate, condimenti, succhi, estratti, integratori ecc. Tutto "naturale", s’intende. Tutto "senza aggiunta di zuccheri e conservanti artificiali", s’intende. Ma tutte cose che l’alimentazione naturale non vede con favore, perché - per fare solo un esempio - una cosa è il frutto fresco, un’altra il suo succo concentrato, conservato, devitalizzato. Che diventa una bomba di energia pura, di calorie vuote, un junk food (cibo spazzatura)inutile e dannoso. "Naturale" come lontana origine, certo, ma non è certo naturale mangiare succo naturale estratto, concentrato, devitalizzato, insomma fuori del suo frutto d’origine.

La farina integrale e biologica di grano tenero è rara? Al suo posto si trova più facilmente quella semi-integrale. Che significa? Evocare l’integrale, oggi richiesto dalla Scienza oltreché dalla Tradizione naturista, senza concederlo. E c’è sempre, state sicuri, la farina 0, che in pratica è farina raffinata. Ebbene, il primo obiettivo dell’alimentazione naturale è proprio non consumare alimenti raffinati, dai cereali allo zucchero. Consumare farina bianca, ancorché in questo caso inutilmente "biologica", è per noi naturisti come mangiare zucchero bianco. Insomma, di questo passo tutto cade, e tanto varrebbe andare dal fornaio normale sotto casa, che oltretutto costa meno.

Ma se manca la farina integrale di grano tenero (che serve a fare pane, pasta, torte rustiche, farinate, pizze ecc), e talvolta mancano perfino i fiocchi di avena, in compenso ci sono le farine meno abituali, più inutili ed esotiche, molto "trendy" e alla moda, come semole o sfarinati di grano duro, farro, riso, kamut, quinoa, amaranto ecc.

Una svolta snob che delinea la decadenza dei negozi "naturali", da fornitori del cibo abituale, normale, di ogni giorno, e per tutti, a suggeritori e propagandisti di stranezze consumistiche, curiosità eccentriche, o anche soltanto di ingredienti inutili che si usano di rado.

E nulla avviene per caso. E’ segno che ci si rivolge ormai ad un pubblico che non cucina, che la base del suo cibo lo risolve altrove o in altro modo, che non gestisce più i propri pasti come vuole l’alimentazione naturale, un pubblico narcisista, magari colto e intellettuale, che fa di ogni acquisto non un atto utile, perciò minimalista e continuativo, ma un "gesto" culturale o politico esemplare, una scelta eccezionale, isolata, e con una punta di compiaciuto esibizionismo. Tanto poi all’atto pratico mangia male tutto il giorno e tutti i giorni. Salvo, beninteso, quello yogurtino agli omega-3 costosissimo e inutile, tranne quel croccantino di amaranto, a parte quell’elegante dolcetto di farina di kamut, senza contare quella fettina di prezioso pane "ai 5 cereali più noci" o il muffin d'avena citato nel romanzo della nota scrittrice inglese. Basta con gli snob, sempre inutilmente troppo aggiornati!

Perché, si sa, il buon pane integrale normale è anch’esso difficile da trovare, soppiantato dalle stranezze. E lo stesso per le paste da cuocere: ne dovete scartare 10 pacchetti da mezzo chilo (costo medio 2 euro, e scuociono subito...) prima di trovare la normale pasta integrale di grano duro senza ulteriori aggettivi. Poco snob? Sarà, ma questa può diventare, prima di fare il passo verso i chicchi interi dei cereali, molto più saporiti e sani, la base per un’alimentazione naturale di tutti i giorni e per tutti. L’inutile kamut (che non è un seme tradizionale e antico, ma un moderno marchio registrato USA), non potrebbe mai diventarlo, ma resterebbe sempre una curiosità eccentrica, che però fa guadagnare molto di più produttori e rivenditori. Il pericolo, dunque, è il cibo "naturale" virtuale, quello quasi mai consumato.

E’ questo che si vuole? Ma sì, un alimento "naturale" da usarsi come toccasana, un grazioso e raffinato complemento, meglio se inusuale, come la pasticca miracolosa che "sistema tutto" come il famigerato yogurtino "bio", solo quello, amorevolmente offerto al bimbo, una tantum, che dovrebbe neutralizzare nell'immaginario materno le caramelle, i dolcetti, le marmellate, i gelati, i succhi di frutta, tutti "naturali" s'intende. E anche l'imitazione Nutella naturista con le nocciole "bio". Una curiosità sorprendente pour épater les bourgeois, anzi i colleghi d’ufficio o di redazione, insomma una ciliegina sana su una torta ammuffita.

E allora che vorrebbe dire per loro "alimentazione naturale"? Il cibo della domenica di Monsù Travett, il mangiare degli agricoltori dopo la mietitura, o piuttosto un'allusione esotica piccolo-borghese, come di chi un tempo "era stato a Bali e alle Seychelles", e che ora fa dire a molte fanciulle-bene vegetariane: "Oddio, ho finito il tofu e il seitan: e ora che mangio?" Una citazione, un pre-testo, direbbe Ghezzi nei suoi famosi primi piani odontotecnici. Così da cibo contadino a cibo dei medici, l'alimentazione naturale è arrivata ad essere, sempre più rarefacendosi, un cibo virtuale, un non-cibo.

E IL PICCOLO MULINO CASALINGO? L’alternativa è, per molti che vivono in provincia o hanno poco tempo per andare a cercare di bottega in bottega, munirsi di un piccolo mulino a mano (lento) o elettrico (veloce), per farsi la farina integrale da sé partendo dai chicchi interi di frumento integrale tenero. Il mulinetto costa molto. Conviene? Il problema si sposta allora sul negozio in cui si vende il frumento tenero integrale (bio o no), sullo smercio che ha, e anche sulla temperatura e umidità della nostra casa. Ma poiché i chicchi interi sono di più facile conservazione della farina, ben protetti dal rivestimento di fibra, ne possiamo fare una piccola scorta. Però, il sistema del mulino casalingo e dei chicchi di grano da molire, che da piacere che era può sempre trasformarsi in seccatura, va bene per una famiglia numerosa che prepara il pane in casa ogni settimana e fa anche torte rustiche e dolci (poche, mi raccomando), fidelli, pizzoccheri, tagliatelle, bigoli mori, ravioli, orecchiette, polenta nera di saraceno, gialla e taragna (cioè mista), freselle d’orzo, pan di miglio vero, crespelle, dolci di farina, grissini e biscotti (pochi, pochissimi, meglio niente) ecc. Insomma, qualunque cereale può essere molito, e con la sua farina fresca possiamo fare di tutto. Anche i grani duri possono essere moliti (frumento duro integrale, p.es., ideale per fare certe paste da cuocere, ma duro da lavorare).

In tal modo la spesa non indifferente del mulino si ammortizzerà in alcuni mesi o in un anno, andando ad aumentare di poco il costo di ciascuno dei molti chili di farina consumati. Va bene anche per chi non può conservare neanche per poche settimane (temperatura alta, ambiente umido, insetti ecc.) la farina, sia pure chiusa in buste di carta doppia sigillate con nastro adesivo o, per naturisti romantici, con poca “colla istantanea dei contadini antichi”, fatta di farina e acqua calda (presame).

AGGIORNATO IL 4 LUGLIO 2014

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