lunedì 20 dicembre 2010

SEMI DI FINOCCHIO. Troppo estragolo per lattanti e mamme: rischio cancro

"Foeniculum pellit spiracula culi”, il finocchio espelle l’aria dal ventre, diceva un famoso quanto indelicato adagio della Scuola salernitana di medicina. Ma si era nel Medioevo, quando il cancro era solo una maledizione divina, e la scienza galileiana fatta di numeri, la chimica, la sperimentazione, il concetto stesso di rischio, la medicina scientifica, erano di là da venire. Fatto sta che i semi di finocchio si sono sempre consumati, anche in Europa, specie per ridurre flatulenze e meteorismo, per attenuare certi dolori al ventre, e anche come popolare galattogeno, per aumentare cioè la produzione di latte nelle donne che allattano.

Ma oggi, con l’aumentare delle malattie degenerative, e dei tumori in particolare, si va facendo strada una nuova “mentalità precauzionale”, spesso eccessiva, che spinge i ricercatori a mettere in guardia da tutto, anche dei semini di finocchio finora considerati innocui, anzi provvidenziali, da nonne e mamme. Gli studi infatti dimostrano un chiaro, sia pure non elevato, rischio di genotossicità e cancerogenicità di un suo componente, l’estragolo, il che spinge per prudenza almeno ad una riduzione notevole del consumo, come conclude la review di un’apposita Commissione europea. “Estragole has been demonstrated to be genotoxic and carcinogenic. Therefore the existence of a threshold cannot be assumed and the Committee could not establish a safe exposure limit. Consequently, reductions in exposure and restrictions in use levels are indicated”. Insomma, essendo impossibile oggi, allo stato delle attuali conoscenze, stabilire delle quantità-limite di sicurezza – conclude il Rapporto europeo – si consigliano riduzioni nell’uso e restrizioni (settembre 2001).

Quindi, vediamo di interpretare con buonsenso e senza allarmismo. Innanzitutto, secondo non solo il Naturismo ippocratico, ma soprattutto la Scienza più moderna, ai fini del rischio bisogna distinguere tra almeno cinque fattori. E’ interessante, talvolta perfino importante (a seconda della concentrazione), il singolo componente chimico presente in un alimento (1). Ma è più indicativo l’intero alimento (2), tenendo conto delle variabili della quantità (2a) e durata (2b) del suo consumo, e molto più indicativo, addirittura determinante l’intera “dieta”, cioè l’alimentazione nel suo complesso (3) nel medio e lungo periodo. Dieta che potrebbe essere, p.es, povera o ricchissima di antiossidanti o di sostanze cancerogene, interferendo negativamente o positivamente, aggiungendo o sottraendo rischi.

Poi bisogna considerare le categorie di consumatori. Certo occorre consigliare prudenza e un consumo sporadico, non abituale o eccessivo – come oggi invece accade – per donne incinte o che allattano, e per bambini svezzati o addirittura lattanti. Ma per i lattanti il buonsenso, prima ancora della scienza, dovrebbe confermare il tradizionale divieto di qualsiasi liquido che non sia il latte materno. Compresa l’acqua. Altro che tisana di finocchio o perfino camomilla! Per gli altri soggetti adulti, magari anziani, specialmente se in presenza di una dieta ricca di antiossidanti, non c'è motivo per non consumare semi o tisane di finocchio, magari in modo moderato e prudente.

La ricerca “bomba” è stata diffusa da un comunicato dell’Inran, l’importante istituto italiano di Stato per la nutrizione, e offre in anteprima la sintesi d’uno studio italiano in corso di stampa su Food and Chemical Toxicology. In sintesi, indagini effettuate sulle tisane a base di semi di finocchio e sui semi sfusi in commercio (Foeniculum vulg.) hanno trovato un tasso di estragolo troppo alto rispetto ai livelli prudenziali. E l’estragolo si è dimostrato un induttore di cancerogenicità (tumori al fegato), sia pure debole.

Quella del seme di finocchio è forse la tisana o meglio il decotto più popolare dopo la camomilla, usatissimo (spesso senza limiti: ogni giorno e più volte al giorno!) non solo da chi ha difficoltà di digestione e meteorismo, come diceva la Scuola salernitana, ma soprattutto da mamme che allattano. La tradizione popolare e la medicina naturista, confermate oggi dalla medicina moderna, hanno sempre attribuito al finocchio e ad altre ombrellifere proprietà galattogene, cioè di stimolanti della produzione di latte nelle nutrici, e anche di leggeri sedativi per alleviare i “mal di pancia” o le "piccole “coliche” non solo della madre, ma anche del lattante.

Il rischio, dunque, è che il cancerogeno estragolo (nome chimico: 1-Allyl-4-methoxybenzene) venga assorbito in preoccupante eccesso e per lunghi periodi anche dai lattanti, che lo ricevono attraverso il latte materno. Ma, a maggior ragione, è tanto più pericoloso quando somministrato per prevenire le coliche direttamente a lattanti e bambini piccoli. In teoria, anzi, potrebbe essere un rischio potenziale – possiamo arguire – anche per gli adulti che ne facessero uso regolare o abbondante, specialmente se in aggiunta ad altre sostanze cancerogene assorbite con una dieta sbagliata, cioè in carenza di efficaci antiossidanti alimentari.

Vista la diffusione popolare millenaria del finocchio (la parte attiva, la "droga", sono i semi, non il fusto ingrossato della pianta giovane della varietà da orto che mangiamo come alimento in insalata), sia come aromatizzante su pane, torte e biscotti, o in pietanze salate, insaccati e dolci d’ogni tipo, sia come rimedio erboristico, è prevedibile che lo scompiglio tra produttori, rivenditori e consumatori sarà stavolta ben più forte di quello creato dalla messa al bando, anni fa, dei semi della borragine, collegati ad un alto rischio di cancro al fegato a causa delle temibili pirrolizidine. Anche se non bisogna drammatizzare oltre il dovuto, perché quello del cancro è un tipico rischio complessivo dovuto a diversi fattori, certo è che ne risentirà anche il commercio, visto che intere linee di tisane molto diffuse a base di semi di finocchio, dalla Plasmon alla Aboca, come sanno gli erboristi e i commessi di supermercato, erano indirizzate proprio alla madre che allatta e al suo bambino, e anche ai disturbi digestivi di noi tutti. Ci sono giovani e anziani che seguendo il famoso dettame della Scuola Salernitana lo usano regolarmente, spesso in alternativa al caffè o al tè, talvolta sostituito o accompagnato dagli analoghi semi di anice, cumino, carvi e altri semi di ombrellifere. Il finocchio è proprio una delle erbe più consigliate e vendute, come mi conferma un’amica erborista, un rimedio considerato leggero, efficace, senza effetti collaterali.

Ma uno studio del fitoterapeuta clinico F. Firenzuoli e colleghi ha puntualizzato, in sostanza, che i rischi di cui parlano i nutrizionisti e i tossicologi si riferiscono all’estragolo isolato e provato in laboratorio, non propriamente al seme intero, in cui agiscono decine e decine di composti naturali, alcuni dei quali probabilmente sono in sinergismo, altri in antagonismo coll’estragolo (pensiamo solo ai tanti polifenoli e antiossidanti presenti nel seme-frutto di finocchio). Il seme di finocchio non è solo estragolo. E quindi i rischi reali di una tisana, come anche di alcune tisane, sono molto modesti, se non inesistenti. Tanto più, aggiungiamo, in una corretta e variata alimentazione naturale ricca di antiossidanti. Siamo d’accordo, ovviamente: è la solita distinzione tra l’azione del principio attivo isolato e l’intero frutto, l’intera verdura, l’intero cereale ecc. Un’argomentazione tipicamente naturista e in fondo più scientifica di quelle che si basano solo su una sola molecola. Tuttavia, la molecola c’è, e tossicologi, chimici e nutrizionisti fanno il mestiere loro, com’è giusto e doveroso in tempi di “precauzionismo” imperante, a mettere in guardia, specialmente i soggetti a rischio.

E allora, che lezione possiamo trarne? Sono sempre attivi i potenti veleni della Natura presenti negli "alimenti", anche quelli ritenuti "naturali per l’Uomo" (due termini, alimenti e naturali, arbitrari e relativi, fondati solo sulla nostra Storia e i nostri esperimenti rozzi e drammatici "per prove ed errori" dei secoli e millenni passati). Nessuna legge dell’Uomo può ridurli, come invece accade per i pesticidi artificiali creati dalla nostra chimica. Noi "naturisti" scientifici interessati al cibo e alla medicina lo dovremmo sapere bene. Potremmo ridurne alcuni, forse, con selezioni genetiche finalizzate, sia tradizionali (si spera), sia Ogm, che per il momento nessuno di noi auspica, per i tanti probabili effetti secondari. I veleni della Natura sembrano agire contro l’Uomo, e questo risulterà intollerabile ad alcuni di noi malati di ottuso antropocentrismo (la convinzione, tipica del Cristianesimo e delle altre religioni, che l’Uomo sia al centro di tutto e che la Natura sia al suo servizio), ma in realtà quei veleni sono utili alla pianta, sono veri e propri "pesticidi naturali", un mezzo complesso con cui le piante si difendono dai raggi ultravioletti o dai predatori animali o da altro ancora. Insomma, pare proprio che l’Uomo non sia affatto considerato dalla Natura, che "agisce" nella sua evoluzione come se noi umani non esistessimo. Meditate, gente, su questa poco accettata prevalenza assoluta delle piante, dei vegetali, nell’ecologia della Terra. Altro che potenza dell’Uomo, altro che prevalenza degli animali nell’interesse umano. Le piante potrebbero vivere anche da sole, sono loro le vere regine della Terra. Gli animali, invece, compreso l’Uomo, non sono autosufficienti, e dipendono in tutto dalle piante (per alimentazione, equilibrio ecologico, clima, ecc.).

Che fare, allora, visto che le sostanze mutagene o cancerogene, create da madre Natura (per difendere le piante dai predatori o dai raggi del sole) o dall’uomo, sono presenti ubiquitariamente nella nostra dieta? Se volessimo eliminarle tutte, ci ritroveremmo senza cibo, senza condimenti, senza rimedi erboristici familiari. E la vita stessa sarebbe impossibile. Perfino le grotte che facevano da riparo ai progenitori trogloditi emettevano il cancerogeno gas radon. Insomma, non è possibile per l'Uomo eliminare tutti i rischi. Si tratta semmai di ridurli, cercando di neutralizzarli con i potenti antiossidanti degli alimenti e con abitudini di vita più salutiste, più naturiste. In modo da conservare una qualità della vita accettabile.

Nel caso delle tisane di semi di finocchio, come del resto per i farmaci e gli alimenti dotati di principi attivi farmacologici, il nostro modesto suggerimento di buonsenso, dopo lo studio dell'Inran e la messa a punto di Firenzuoli, è – fermo restando il divieto di darle ai bambini piccoli e tantomeno ai lattanti, che, com’è noto, non dovrebbero neanche bere acqua, ma solo il latte della madre – che il rischio estragolo si inserisce ai rischi analoghi degli alimenti, che vanno certamente ridotti e bilanciati quanto più possibile, ma che non possono essere certo eliminati. Una tisana di finocchio è cosa ben diversa dall’estragolo puro, in quanto nel seme-frutto esistono diverse sostanze anti-cancro e comunque antiossidanti. Chi non ha particolari rischi, insomma, può continuare a berla questa benedetta tisana, se procura dei vantaggi, magari con maggiore moderazione e senza eccessi (certo, non sei volte al giorno), visto oltretutto che non si tratta di un cibo o rimedio essenziale, possibilmente nell'ambito di una dieta in cui prevalgono i cibi antiossidanti (almeno 3 porzioni al giorno di verdura e 2 di frutta, legumi, cereali integrali, semi oleosi) e in cui sono scarsi i cibi e le abitudini di vita che provocano radicali liberi (cotture ad alta temperatura, specialmente per carni e grassi, fritture, eccesso di grassi e di carni rosse, alcol, eccesso di sale, conserve sottosale, fumo, sedentarismo ecc.).

A maggior ragione, nessun problema dovrebbe esserci, visto il consumo scarso e sporadico, per i semi di finocchio al naturale usati in piccole quantità e consumati di rado come aromatizzanti in cucina (pane, biscotti ecc.).

E POI CI SONO LE CUMARINE! Sempre senza allarmismi (perché, se no, non mangeremmo più: le molecole tossiche sono oltre 10 mila negli alimenti vegetali), va poi ricordato a tutti di consumare con prudenza i semi delle Ombrellifere (finocchio, anice, cumino, carvi, coriandolo ecc) ed anche le parti verdi fresche che si mangiano tradizionalmente (es.: prezzemolo, sedano, foglie di carota, foglie di coriandolo, foglie verdi che fuoriescono dal gambo ingrossato del finocchio ortaggio ecc.) perché – come si sa da decenni – contengono anche le furocumarine, temibili – altro che estragolo – sostanze fototossiche che in presenza di raggi ultravioletti (sole, lampade UVA) possono anche provocare tumori della pelle, compreso il melanoma. Ci sono centinaia di studi nelle banche dati di biologia.

Visto che esiste gente (non lo sapevo) che si beve un litro di infusi (veramente trattandosi di semi, quindi legnosi, sarebbe più efficace un leggero decotto: peggio ancora) di semi di ombrellifere, poiché non so (non si sa) quale sia non solo l’emivita, cioè il tempo di eliminazione metabolica delle cumarine dal corpo umano, ma anche gli effetti biochimici nel corpo, in attesa di scoprire uno studio ad hoc suggerirei per prudenza di non esporsi assolutamente al sole il giorno stesso dell’ingestione di quantità significative di semi o verdure della famiglia, E di astenersi anche il successivo, se si ha l’abitudine estiva – ormai l’arancia c’è in ogni stagione – delle ricorrenti spremute naturali di agrumi, visto che accade spesso che anche le scorze, ricchissime di furocumarine, vengano in parte spremute (come dimostrano le dita irrorate di olio aromatico e uno studio su infermiere americane).

Quindi nessun problema per un paio di biscotti all’anice, o un rametto di finocchiella verde in insalata, o qualche fogliolina di prezzemolo, ma solo – immagino – per grosse insalate con interi sedani completi di foglie verdi (è il mio caso, anni fa), il prezzemolo ovunque di certe ragazze (“per… la vitamina C” !) e infusi “fà da te” con vari cucchiaini di semi di finocchio e anice (mio padre, decenni fa, da me rimproverato, ma solo per… l’effetto tossico e “stupefacente” dei semi delle ombrellifere. Se un tossicologo sa di più sulla durata dell’azione fotocancerogena delle furocumarine nel corpo umano, me lo faccia sapere. Eppure, che vi devo dire, quando cammino in campagna un semino ancora giallo delle belle infiorescenze di finocchio selvatico lo metto volentieri tra i denti…

IL COMUNICATO. "L’Inran, l’ente pubblico italiano per la ricerca in materia di alimenti e nutrizione vigilato dal Mipaaf (Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali), ha condotto uno studio sull’estragolo, sostanza naturale presente nei semi di finocchio e, di conseguenza, nelle tisane a base di questo ingrediente, molto utilizzate non solo come digestivo per grandi e piccoli, ma soprattutto come rimedio naturale per le coliche dei neonati e per favorire la produzione del latte nelle mamme durante l’allattamento.

Già nel 2001 l’estragolo era stato riconosciuto come sostanza cancerogena e genotossica a livello europeo, tanto da bandirne l’aggiunta come aromatizzante agli alimenti trasformati. La ricerca, realizzata nell’ambito del progetto europeo Facet, finanziato nel VII Programma Quadro, in cui l’Inran coordina il sottoprogetto relativo agli aromi alimentari, ha permesso per la prima volta di ottenere stime dell’esposizione all’estragolo associata al consumo di tisane al finocchio basate su analisi relative a prodotti in commercio, invece di stimarne la concentrazione in modo indiretto a partire da una serie di assunzioni.

Nella prima fase dello studio sono state individuate le tre tipologie di prodotti in commercio per la preparazione di tisane al finocchio: bustine da tè, tisane solubili istantanee e semi sfusi. Per quanto riguarda le prime due sono stati raccolti i prodotti più diffusi sul mercato nazionale, 9 per le bustine da tè e 7 per le tisane istantanee, mentre il campione relativo ai semi sfusi, acquistati in 6 differenti erboristerie di Roma, considerata l’estrema variabilità del prodotto, non è altrettanto rappresentativo. Ogni tisana è stata poi preparata con 100 ml di acqua bollente, con un tempo standard di infusione di 7 minuti sia per le bustine da tè che per i semi sfusi. Per i preparati solubili invece, sono state seguite le istruzioni riportate in etichetta.

I livelli di estragolo rilevati dalle analisi confermano che l’esposizione a questa sostanza è troppo elevata perché il consumo di tisane possa essere considerato sicuro, per lo meno nel caso dei neonati, come spiega Antonio Raffo, ricercatore Inran e autore della ricerca. "Per avere un rischio basso l’esposizione dovrebbe essere 10.000 volte inferiore alla soglia di cancerogenicità misurata negli animali di laboratorio. Al contrario, nel caso di un neonato che consumi 100 ml (un piccolo biberon) di tisana di finocchio al giorno, abbiamo riscontrato un margine molto più basso, nell’ordine di alcune centinaia di volte.

Questi risultati confermano dunque le recenti indicazioni in materia dell’Emea, l’Agenzia europea che si occupa della valutazione scientifica dei farmaci, secondo la quale, il consumo di tisane al finocchio non è raccomandato nei bambini al di sotto dei 4 anni, a meno di una specifica indicazione del pediatra, così come non è raccomandato nel caso di donne in gravidanza e durante l’allattamento."

Inoltre, Catherine Leclercq, responsabile scientifico per l’Inran del progetto Facet, ricorda che "Da anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità promuove l’allattamento esclusivo al seno fino a 6 mesi e quindi consiglia di non somministrare né acqua né tisane ai neonati. Il rischio legato all’estragolo presente nelle tisane di finocchio è un motivo in più per attenersi a queste indicazioni. Per quanto riguarda le altre categorie di popolazione particolarmente vulnerabili (bambini sotto i 4 anni e donne in gravidanza e che allattano), occorre aumentare la consapevolezza di tutti circa la tossicità dell’estragolo".

Ed ora uno sguardo alla preziosa anticipazione dell’ abstract dello studio italiano come appare sul sito di Food and Chemical Toxicology (article in press): .

QUANTIFICATION OF ESTRAGOLE IN FENNEL HERBAL TEAS: IMPLICATIONS ON THE ASSESSMENT OF DIETARY EXPOSURE TO ESTRAGOLE. Raffo A, Nicoli S, Leclercq C. National Research Institute for Food and Nutrition (Inran), Rome, Italy. 

Quantification of estragole content in commercial fennel herbal teas was carried out in order to allow for a more accurate estimate of the dietary exposure to estragole. A simple and rapid analytical method, based on Stir Bar Sorptive Extraction and GC–MS, was developed for this purpose. Fennel teas obtained from different types of commercial products were analysed. Concentration levels ranged from 241 to 2058 μg L−1 in teas from teabags, from 9 to 912 μg L−1 in diluted instant teas from 251 to 1718 μg L−1 in teas from not packaged seeds. Based on these data and considering the daily consumption of three portions of herbal tea, a maximum exposure to estragole for adults of 10 μg/kg bw/day was calculated. The relatively high level observed in diluted instant teas of some brands deserves attention since these products are designed for infant consumption. Estimated exposure in infants was up to 51 μg/kg bw/day for teas from teabags, and up to 23 μg/kg bw/day for instant teas. A generalization of the use of suitable technologies in production processes of instant teas could substantially reduce the exposure to estragole in the vulnerable population groups (infants, young children, pregnant and breastfeeding women) who consume these products.

Ed ecco il contro-studio review dell’équipe di Firenzuoli, che giustamente mette in rilievo che una cosa è l’estragolo da solo, un’altra l’intero seme di finocchio:

CAN ESTRAGOLE IN FENNEL SEED DECOCTIONS REALLY BE CONSIDERED A DANGER FOR HUMAN HEALTH? A FENNEL SAFETY UPDATE. Gori L, Gallo E, Mascherini V, Mugelli A,Vannacci A, Firenzuoli F. Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine 2012 (2012), article ID 860542, 10 pages.

Abstract. Fennel (Foeniculum vulgare Mill.) mature fruit (commonly known as seeds) and essential oil of fennel are widely used as flavoring agents in food products such as liqueurs, bread, cheese, and an ingredient of cosmetics and pharmaceutical products. Moreover fennel infusions are the classical decoction for nursing babies to prevent flatulence and colic spasm. Traditionally in Europe and Mediterranean areas fennel is used as antispasmodic, diuretic, anti-inflammatory, analgesic, secretomotor, secretolytic, galactagogue, eye lotion, and antioxidant remedy and integrator. Topically, fennel powder is used as a poultice for snake bites. In Asian cultures fennel was ingested to speed the elimination of poisons. As one of the ancient Saxon people's nine sacred herbs, fennel was credited with the power to cure. Fennel was also valued as a magic herb: in the Middle Ages it was draped over doorways on Midsummer's Eve to protect the household from evil spirits. Recently because of estragole carcinogenicity, fennel has been charged to be dangerous for humans especially if used as decoction for babies. But this allegation do not consider the remedy is prepared as a matrix of substances, and recent researches confirm that pure estragole is inactivated by many substance contained in the decoction.

Conclusion. In all of the animal studies reviewed, isolated, purified estragole was used. Thus the findings give a toxicological profile of this only molecule and not the profile risk of the entire decoction. In humans estragole usually enters the body as a component of fennel tea, or as a food that has been seasoned with herb that contains many other substance like nevadensin, epigallocatechine, other flavonoids, and anethole, that have a protective role and so counterbalance to the possible effect of pure estragole. In this context estragole occurs in the form of an extremely complex phytochemical mixture. If data about single constituent in vivo can be used as basis for statements about a herb, then data about other constituents should also be fully considered, because we think it is the only way to establish definitively if a substance is dangerous or not; and if it is a substance used from many years and in particular subsets of consumers or patients epidemiological data, when available, can help in establishing, together with the real mode of use, the effective risk for consumers.

AGGIORNATO AL 10 MARZO 2013

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venerdì 17 dicembre 2010

CEREALI INTEGRALI. Grano, avena, pane e pasta: ecco tutti i grandi vantaggi.

Ormai si mangia male in ogni periodo e dappertutto. Ma le festività di fine anno sono tipiche per eccesso di cibo. Non solo grassi, ma soprattutto cereali raffinati, farine raffinate e zucchero (pane, pasta, riso, dolci, biscotti). Con l’aggravante che molte di queste ricette vengono spacciate per "tradizionali", "mediterranee", e quindi appaiono rassicuranti. E’ un regime alimentare alla lunga molto dannoso, perché ad alto indice glicemico e quindi capace di richiedere immediatamente dopo il pasto – specialmente in uno stile di vita sedentario – grandi quantità di insulina, di favorire l’aumento della pressione e altri rischi cardiocircolatori, e di provocare sovrappeso.
      I ricercatori scozzesi che hanno condotto uno studio sui rapporti tra cereali integrali e pressione arteriosa ci spingono, al contrario, ad inserire nei nostri pasti frumento e altri grani integrali (chicchi interi o spezzati, fiocchi o farine) e ricette a base di avena, magari a cominciare già da queste feste. Dall’esperimento ricaviamo un’ulteriore conferma: mangiare avena, cereali integrali in chicchi e pane integrale può abbassare la pericolosa ipertensione arteriosa altrettanto efficacemente d’un farmaco anti-ipertensione, secondo uno studio pubblicato su American Journal Clinical Nutrition, che può essere considerata la più importante rivista scientifica di nutrizione clinica al mondo.
      "Ma non si sapeva da anni? – obietterà qualcuno. Ancora con questa storia dei cereali integrali! C’erano già nella prima edizione dell’ Alimentazione Naturale, del 1980, figuriamoci". E allora? Nella Scienza, che ogni giorno smentisce o ridimensiona qualcosa (viene in mente la definizione di scienza che ha dato Popper), le riconferme di vecchie verità con successivi studi sono non una cosa ovvia e noiosa, ma il fatto più importante, fondamentale. Significa che, sottoposte a criteri sempre più rigorosi, condotte da ricercatori sempre diversi, le varie attività preventive e terapeutiche delle sostanze naturali presenti nel cibo sano (cioè i principi dell’alimentazione naturale), ad una ad una sono confermate e avvalorate. In pratica, è come se soltanto oggi avessimo le vere prove di questa scoperta, mentre quelle note fin dagli anni 80 erano tutt’al più intuizioni, ipotesi di lavoro, anticipazioni, suggestioni. Pensiamo alla dottoressa Kousmine, che emetteva "regole" generali dopo aver curato uno o due pazienti, personalmente, senza placebo e senza doppio cieco. Oggi, quelle intuizioni vengono provate clinicamente su molti uomini e con studi controllati. C’è una bella differenza.
      Torniamo allo studio in questione. Ricercatori dell'Università di Aberdeen (Scozia) hanno controllato 200 volontari di mezz’età, e hanno scoperto che mangiare tre porzioni al giorno di avena o grano integrale (chicchi, fiocchi o farina) o di frumento integrale, tutti prodotti acquistati nei supermercati ordinari, taglia di vari punti la pressione sanguigna, riducendo il rischio di attacchi di cuore del 15 per cento e di ictus del 25 per cento. Questo studio è tra i primi ad usare un trial clinico ben progettato per verificare la teoria che i cereali integrali possono ridurre il rischio di malattie cardiovascolari.
      I volontari nell’esperimento hanno consumato tre porzioni al giorno di grani integrali, che erano o frumento, o un misto di frumento e avena. Le diete a base di grani integrali sono state confrontate con una che conteneva la stessa quantità di cereali raffinati e pane bianco. Ha condotto lo studio il prof. Frank Thies, docente presso l'Istituto Rowett di Nutrizione e Salute presso l'Università di Aberdeen, che ha detto: "Abbiamo osservato una diminuzione della pressione arteriosa sistolica di 5-6 mmHg (millimetri di mercurio, o Torr, l'unità di pressione] nei volontari che avevano mangiato i grani integrali, e questo effetto è simile a quello che si potrebbe aspettare dopo avere utilizzato i farmaci anti-ipertensivi. "Questo calo della pressione sanguigna sistolica potrebbe potenzialmente diminuire – a quanto riporta un articolo su Medical-News Today che riprende il comunicato dei ricercatori – l'incidenza di infarto e ictus rispettivamente di almeno il 15 e il 25 per cento".
      E, molto importante, lo studio ha utilizzato prodotti ampiamente disponibili nei supermercati, per verificare che fosse realistico e pratico da seguire per i volontari:

EFFECT OF INCREASED CONSUMPTION OF WHOLE-GRAIN FOODS ON BLOOD PRESSURE AND OTHER CARDIOVASCULAR RISK MARKERS IN HEALTHY MIDDLE-AGED PERSONS: A RANDOMIZED CONTROLLED TRIAL
Paula Tighe, Garry Duthie, Nicholas Vaughan, Julie Brittenden, William G Simpson, Susan Duthie, William Mutch, Klaus Wahle, Graham Horgan, and Frank Thies. 

Abstract
      Background: Three daily portions of whole-grain foods could lower cardiovascular disease risk, but a comprehensive intervention trial was needed to confirm this recommendation.

Objectives: We aimed to assess the effects of consumption of 3 daily portions of whole-grain foods (provided as only wheat or a mixture of wheat and oats) on markers of cardiovascular disease risk in relatively high-risk individuals.
      Design: This was a randomized controlled dietary trial in middle-aged healthy individuals. After a 4-wk run-in period with a refined diet, we randomly allocated volunteers to a control (refined diet), wheat, or wheat + oats group for 12 wk. The primary outcome was a reduction of cardiovascular disease risk factors by dietary intervention with whole grains, which included lipid and inflammatory marker concentrations, insulin sensitivity, and blood pressure.
      Results: We recruited a total of 233 volunteers; 24 volunteers withdrew, and 3 volunteers were excluded. Systolic blood pressure and pulse pressure were significantly reduced by 6 and 3 mm Hg, respectively, in the whole-grain foods groups compared with the control group. Systemic markers of cardiovascular disease risk remained unchanged apart from cholesterol concentrations, which decreased slightly but significantly in the refined group.
      Conclusions: Daily consumption of 3 portions of whole-grain foods can significantly reduce cardiovascular disease risk in middle-aged people mainly through blood pressure–lowering mechanisms. The observed decrease in systolic blood pressure could decrease the incidence of coronary artery disease and stroke by ≥15% and 25%, respectively. Am J Clin Nutr 2010 vol. 92 no.4: 733-740.


      E’ da notare che lo studio è stato condotto su persone di mezz’età in buona salute. E nulla dice sul resto della dieta, che invece è importante. Comunque è già gratificante che a parità di dieta la semplice sostituzione dei cereali raffinati con quelli integrali dia evidenti vantaggi. Uno degli scopi di questo blog è, genericamente, diffondere l’uso dei cereali integrali come stile di vita igienico e naturistico, anche per prevenire cioè ridurre il rischio della pressione alta e gli altri rischi delle Civilisation Desease (malattie della civiltà). Ma è evidente che per tutti coloro che vogliono prevenire l’ipertensione, è doveroso, d’accordo col loro cardiologo, aiutarsi anche con un’alimentazione sana nel suo complesso. Non solo usare i cereali integrali, ma anche il più possibile legumi, verdure, frutta, e il pesce semmai al posto delle carni, guardandosi da sale, formaggi grassi, carni "rosse", salumi e insaccati, molluschi. Tant’è vero che la Società italiana di ipertensione ha realizzato un ricettario in collaborazione con lo chef H. Beck. "Ho ideato questo ricettario partendo dalla riduzione drastica del sale - ha spiegato - ma un piatto deve sempre avere gusto, intrigare ed emozionare. Quindi per prevenire la pressione alta ho sostituito il sale con erbe ed aromi". Il che troviamo molto corretto e "naturistico". Insomma, quello che diciamo da sempre: "Preparazioni leggere che salvano il gusto delle materie prime ed esaltano i sapori che conosciamo da sempre, ma che copriamo con condimenti esagerati". L’alimentazione naturale è anche semplice, non contraffatta, la meno trasformata possibile. "Naturale" anche in questo senso.

ATTENTI AI FINTI "CEREALI INTEGRALI", QUELLI PRONTI. Nella società di massa la gente disattenta crede che, come è abituata a fare con i farmaci, basta una dose minima di preparato dietetico o alimentare per risolvere magicamente tutta la propria dieta quotidiana. Non è così, ovviamente. Ecco perché, prima ancora di valutare gli ingredienti, ogni integratore o preparato "pronto" con cereali integrali è insufficiente, sviante e diseducativo, perché può ingenerare una falsa sicurezza sul proprio regime alimentare: «Mangio male, tutti cereali raffinati, niente legumi, poca verdura, qualche dolcetto ogni giorno; poco movimento, ma poi con una barretta di Cruscadyn [nome di fantasia] al mattino mi metto a posto con la coscienza e la salute...». E’ come per lo “yogurtino biologico” dato al bambino dalla solita mamma apprensiva.
      Non è questione di “un cibo in più”, artificiale, dannoso o soltanto ininfluente, da aggiungere a una dieta già abbondante; ma di sostituire tutti i cibi con cereali raffinati (biscotti, pane, pasta, cereali da colazione, riso, polente, minestre, pizze ecc.) con gli equivalenti integrali e naturali. E’ illogico continuare a consumare pane bianco e pasta bianca, e poi pensare che un miscuglio industriale o una barretta mettano tutto a posto, come una medicina miracolosa. No, è proprio che i cereali raffinati, sotto qualsiasi forma (dai biscotti, alle torte, dal cornetto del bar ai grissini, dalla pizza napoletana al riso), andrebbero molto ridotti fino a eliminarli del tutto. sostituendoli con gli equivalenti integrali al 100%.
      I preparati pronti "da colazione", come elaborati "muesli" già fatti pieni di molti ingredienti, barrette a base di crusca o biscotti "dietetici" con crusca e fibre aggiunte in eccesso, in realtà sono cibi altamente artificiali, cioè miscugli tecnologici ricchi di fibre della più disparata provenienza, grassi, zucchero, sale, vitamine e sali aggiunti e conservanti, a cominciare dai famigerati corn flakes, tipico cibo artificiale ottenuto da pastelle liquide di farina di mais con gli ingredienti più strani e imprevedibili. Leggete attentamente gli ingredienti e guardate le immagini sulla scatola (meglio se la confezione è trasparente): non ci devono essere zuccheri, sale, conservanti, cacao e grassi aggiunti. Ma quasi tutte le confezioni in scatola sono così. Molti studi scientifici dimostrano che queste colazioni pronte o muesli del mattino non danno alcun vantaggio dei cereali integrali, anzi sono a rischio nutrizionale e dietologico, con eccesso di grassi, zuccheri, calorie ecc. Se proprio siete così pigri e non volete comprare i fiocchi di avena al naturale, aggiungendo voi stessi in una grande coppa latte o yogurt, e poi uvetta, nocciole, germe di grano e frutta fresca, scegliete almeno i muesli pronti al naturale: si devono vedere chiaramente i fiocchi di avena (quelli degli altri cereali sono troppo duri) così come sono, cioè chicchi di avena integrale semplicemente schiacciati.  Gli inconvenienti di questo "integrale" ricostruito in fabbrica sono elencati dell'articolo completo sul muesli o zuppa di cereali.

ECCO I CEREALI INTEGRALI PIU' INDICATI. Ecco alcuni dei cereali integrali più indicati per l'uso pratico: fiocchi di avena (minestre istantanee a crudo e zuppa dolce di frutta nella colazione del mattino o muesli), avena in chicchi, grano tenero in chicchi, farina di grano tenero integrale (per torte rustiche e paste fresche), grano duro spezzato e parz. precotto (bulgur), semola di grano duro integrale, cuscus integrale, pasta integrale (vari formati: fusilli, penne, spaghetti ecc), pane integrale, pizzoccheri di saraceno, saraceno in chicchi, farina di saraceno (per polenta), riso integrale, riso nero Venere, orzo integrale, farina di orzo integrale (per farinate), farro integrale in chicchi, spelta integrale in chicchi, semola di mais integrale (per polenta). Come il riso - cuocendoli a partire dall'acqua fredda finché tutta l'acqua sarà assorbita a cottura ultimata - tutti i cereali in chicchi sono indicati nelle minestre. Vanno trattati come i legumi: a bagno una notte, più pentola a pressione. A fine cottura devono aver assorbito tutta l'acqua. Si salano e condiscono con erbe aromatiche e spezie solo dopo la cottura.
      Per una perfetta colazione del mattino a base di cereali integrali si veda l'apposito articolo.
      Una guida alla buona basta integrale (sia fatta in casa, che artigianale o industriale) è in questo articolo.

ECCO I VANTAGGI DELL’INTEGRALE. Già il fondatore della medicina “scientifica”, Ippocrate di Kos, aveva scoperto che i cereali integrali (il “pane nero”) prevengono e curano la stipsi o stitichezza, regolarizzando tutto il processo digestivo. Ma oggi abbiamo scoperto non solo che la regolarità del funzionamento del colon diminuisce molto i rischi di cancro al colon e altre malattie, che spesso richiedono un intervento chirurgico, ma che anche le altre gravi malattie della Civiltà (cardio-vascolari, metaboliche, tumorali ecc.) trovano enormi vantaggi dal consumo regolare di cibi integrali. Tanto da poter dire che il minor rischio dell’alimentazione naturale corrisponde in pratica al minor rischio dell’alimentazione integrale. Grazie ai seguenti elementi:
      1. Fibre insolubili e solubili che, stimolando le pareti intestinali, attirando acqua, rallentando o velocizzando il bolo alimentare, aiutano a regolarizzare la peristalsi, cioè le tipiche contrazioni successive che favoriscono l’avanzamento degli alimenti in fase di digestione, aiutano a equilibrare nel tempo il funzionamento del ciclo digestivo, a drenare e assorbire i liquidi in eccesso, a migliorare l’utilizzazione dei nutrienti. Perciò, una funzione doppia: anti-stipsi (anti-stitichezza) e anti-diarrea. L’effetto della notevole presenza di fibre di entrambi i tipi nella dieta (a cui contribuiscono anche pane integrale, chicchi di cereali integrali in minestra o fiocchi o prodotti a base di farine integrali, legumi, verdure e frutta, oltre ovviamente alla giusta assunzione di acqua) sono le caratteristiche e abbondanti feci poltacee, cioè morbide e informi, molto più sane di quelle dure e scarse, tipiche della dieta con poche fibre
      2. Fibre solubili e insolubili – tra cui polisaccaridi non amidacei come i pentosani – che attaccate dai batteri della flora simbionte fermentano nel colon con produzione di acidi grassi saturi volatili a catena corta (butirrico, acetico, propionico ecc.) migliorando la salute del colon soprattutto grazie ai butirrati fecali, inibendo la sintesi del colesterolo nel fegato, riducendo insulina e indice glicemico, diminuendo ulteriormente il valore calorico già di per sé più basso del cereale integrale, riducendo la trasformazione in glucosio, il guadagno in peso corporeo, la pressione del sangue e i rischi cardio-vascolari, diabetici e tumorali.
      3. “Amidi resistenti” alla digestione sono presenti in tutti i cereali integrali, specialmente nei chicchi interi, ma anche nella pasta fredda, cioè la pasta cotta lasciata freddare a temperatura ambiente o conservata in frigorifero (tanto più se disidratandosi diventa croccante) e comunque in quella “al dente”, nel pane raffermo o duro. Gli amidi resistenti sono trattati dalla flora batterica come le fibre (v. sopra) e perciò svolgono azione analoga, riducendo l’indice glicemico e diluendo nel tempo la richiesta d’insulina, e quindi diminuendo il valore nutritivo della pietanza. Amidi resistenti che tornano ad essere assimilabili non appena il pane duro viene riscaldato in forno e ridiventa morbido o la pasta fredda viene riscaldata in acqua bollente o ripassata in padella. Perciò, quando accade di avere cereali cotti ma freddi (minestra di chicchi di grano o di orzo, o pastasciutta fredda) o pane non fresco, approfittiamone per gustarli come sono, ovviamente conditi ex novo o accompagnati.  Nutrizionalmente “valgono di meno”, cioè è come se la porzione fosse più piccola. Questa furbizia è utilissima per consumare il cereale a più alto indice glicemico, il riso, il cui amido – perfino quando il riso è integrale – a causa dell’eccesso di amilopectina rispetto all’amilosio alza la glicemia post-prandiale nel sangue e richiede immediatamente insulina più di tutti gli altri cereali. Quindi, l’insalata fredda di riso integrale e ortaggi, grazie agli amidi resistenti è il modo migliore o meno rischioso di consumare il riso.
      4. Numerose utili sostanze anti-nutrizionali come anti-enzimi, cioè inibitori di amilasi-proteasi-lipasi, saponine, fitati, polifenoli, tutti di grande importanza nel ridurre i rischi, anche tumorali (perfino di metastasi).
      5. Carotenoidi e altri antiossidanti. I carotenoidi, come si vede dal colore giallastro-aranciato, possono essere anche abbondanti nelle paste industriali, poiché a base di grano duro, specialmente di alcune varietà; mentre sono scarsi nella pasta fresca fatta in casa e nel pane (grano tenero).
      6. Prezioso germe del grano ricco di acidi grassi essenziali e vitamina E antiossidante.
      7. Sali minerali importanti (tra cui calcio, magnesio, fosforo, ferro ecc.) e il fondamentale complesso vitaminico B, di cui i cereali integrali sono ricchissimi (tiamina o B1, riboflavina o B2, niacina o PP, piridossina o B6 ecc.).

LE SOSTANZE ANTI-NUTRIZIONALI. Tante sono in Natura le sostanze anti-nutrizionali o tossiche presenti come auto-difesa delle piante contro i parassiti, predatori o gli stress ambientali. Tutti gli alimenti vegetali li hanno, e anzi spesso queste presunte sostanze tossiche o anti-nutritive sono proprio i principi attivi che ci difendono dalle malattie, come polifenoli, saponine, agglutinine o lectine, inibitori delle proteasi e amilasi. In particolare sono presenti in chicchi e semi di ogni tipo (cereali integrali, legumi e altri semi), dove risiedono – proprio a scopo di difesa – nella parte esterna, il tegumento.
      Tra questi, è spesso nominato come un grave “difetto” dei cereali integrali l’acido fitico (un tempo chiamato “fitina”) che dà luogo a sali detti fitati. Anche questo anti-nutriente ha azione potentemente anti-cancro, specializzata nell’anti-metastasi. Tale sostanza si lega con i sali minerali fosforo, calcio, magnesio, ferro, zinco ecc. presenti nel corpo formando complessi chimici inassimilabili. Ma, per fortuna, dopo la prima scoperta in Sud Africa negli anni Quaranta che una dieta a base di pane scuro, perciò ricco di fitati, riduceva drasticamente l’assimilazione del calcio (McCance & Widdowson 1942), vennero studi più razionali e approfonditi che hanno ridotto moltissimo questo rischio. E non poteva essere altrimenti, visto che intere popolazioni antiche, anzi tutti gli Umani, si sono nutriti per millenni di cereali integrali, senza lamentare particolari debolezze di ossa, anzi facendo lavori manuali per noi moderni impensabili. La letteratura scientifica è abbondante. Per ora citiamo solo l’inizio del ragionamento scientifico, che è già sufficiente a ridimensionare il “problema fitati”.
      Però, studi successivi, tra cui già uno del 1948 su europei adulti in buona salute osservati per 7-19 settimane, mostrava che il metabolismo di calcio, magnesio, fosforo, fitati di fosforo e ferro si modificava in modo curioso e inatteso. Passando bruscamente dalla dieta abituale convenzionale (occidentale), cioè dalla dieta moderna raffinata, quindi senza fitati, a una dieta “antica”, perciò ricca di cereali integrali e fitati, comprendente fino a 1 libbra di pane integrale al giorno (al 95-100% di abburattamento, quindi molto scuro), si notava, è vero, un netto calo nella assimilazione dei minerali, specialmente di calcio. La ritenzione del ferro, invece, era tendenzialmente la stessa, con diete ad alte e basse percentuali di fitati di fosforo. Ma poi, in breve periodo, continuando tale nuova dieta ricca di fitati, si assisteva a un riequilibrio, dovuto probabilmente a un meccanismo di adattamento e compensazione del corpo. Cosicché con l’andare del tempo le perdite di calcio erano molto minori, forse per l’idrolisi dei fitati di calcio e magnesio nel tubo digerente. Lo stesso per il magnesio e altri sali.
      I ricercatori, perciò, concludevano affermando che nel lungo periodo l’uso di diete ricche di fitati (cioè a base di cereali integrali e legumi) non pone problemi reali di nutrizione. Del resto, facevano notare, diete tradizionali con percentuali alte di fitati e basse di calcio erano (al tempo dello studio, che è ciò che conta, oggi molto meno) consumate in tutte le aree rurali del Mondo, eppure lo scheletro, la salute delle ossa in generale, le carie dentarie e il bilancio del calcio in quelle popolazioni locali - come i Bantu in Sud Africa e sorprendentemente anche tra i bambini indiani (Wilson e Widdowson 1942) - non risultavano particolarmente deficitari, anzi, erano spesso più sani che nelle popolazioni europee (Walker et al. 1948). Almeno, aggiungiamo noi malignamente, prima che quelle popolazioni “arretrate” passassero alla dieta occidentale. Per di più, gli amidi resistenti presenti nei cereali integrali hanno dimostrato che aumentano di molto la ritenzione dei minerali (calcio, magnesio, fosforo, ferro, manganese, zinco e rame), anche del 40%, come si è visto in esperimenti di laboratorio in vivo, che hanno rivelato anche un’abbondante presenza di acidi grassi a catena corta SCFA e un allargamento dell’intestino cieco, segno di maggiore funzionalità (Lopez et al. 2000).
      Quindi, alla lunga, quello dei fitati è un falso problema. Se la dieta è ricca, variata e continuativa come quella tradizionale e naturale a base di cereali integrali e legumi, al contrario, i vantaggi certi (v. sopra), tutti provati, sono tali da non scalfire minimamente la necessità dell’uso dei cereali integrali (*).

CONCLUSIONE. Gli effetti dei cereali integrali, tanto più se accompagnati da buone porzioni di verdura e legumi, sono fondamentali sulla dieta e la salute: minore percentuale di carboidrati assimilabili e quindi minori calorie, maggiore sazietà, produzione abbondante – per la fermentazione attivata dai batteri del colon – di acidi grassi saturi a catena corta SCFA che agiscono nell’intero organismo come protettivi (a cominciare dallo stesso colon, protetto dall’acido butirrico, un grasso saturo protettivo!), riduzione dell’assimilazione dei nutrienti, riduzione della glicemia e della secrezione insulinica, inibizione della sintesi del colesterolo endogeno nel fegato. Insomma, le paste integrali contribuiscono a ridurre i rischi di disturbi e grandi malattie della Civilizzazione (come stipsi, sovrappeso, obesità, diabete alimentare, colesterolemia, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari, cancro, specialmente del colon), e perfino a ridurre il rischio di metastasi, grazie ai fitati.
      Non in ecologia, dove ha un ruolo fondamentale, ma ai fini puramente alimentari-nutrizionali-salutistici individuali, infatti, l’integrale è concetto infinitamente più importante del biologico. In quanto al biologico cerealicolo (chicchi intere, semole, pasta, pane ecc.) o è integrale o non ha alcun senso nutrizionale e protettivo, in quanto non c’è in pratica differenza nutrizionale tra “bio” e non-“bio”. Infatti nei grani interi (o fiocchi) integrali biologici, nel pane integrale e biologico, nella pasta biologica tutt’al più aumentano (un poco: solo milligrammi) i polifenoli anti-nutrizionali. In quanto alla mancanza di pesticidi artificiali – l’unica reale differenza è tossicologica – è compensata dalla pianta stessa con l’aumento di propri pesticidi naturali, talvolta non meno aggressivi.

(* NOTA)
- WALKER ARP, FOX FW, IRVING JT. Studies in human mineral metabolism. 1. The effect of bread rich in phytate phosphorus on the metabolism of certain mineral salts with special reference to calcium. Biochem J. 1948;42(3):452-462.
- McCANCE RA & WIDDOWSON EM. Journal Physiol 1942,101,44
- WILSON DC & WIDDOWSON EM. Indian Med.Res.Mem. 34,1942.
- LOPEZ et al. Resistant starch improves mineral assimilation in rats adapted to a wheat bran diet. Nutrition Research 20, 1, 141–155, January 2000.


AGGIORNATO IL 28 GIUGNO 2016

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lunedì 6 dicembre 2010

PROSTATA. Speranze da soia, tè verde, curcuma e altri cibi anti-cancro, ma…

Quali alimenti prevengono, o riducono la gravità del tumore alla prostata? Gli studi scientifici ormai sono numerosi anche per quello che è il più frequente (il 20% di tutti i tumori di nuova diagnosi; la seconda causa di morte per neoplasie maligne nel sesso maschile dopo il cancro al polmoni) e tra i più insidiosi e difficili dei tumori, ritenuto fino a ieri poco sensibile alla dieta. E ormai il carcinoma prostatico non è più "cosa da vecchi" come un tempo, ma riguarda gli uomini dai 40 anni in poi, sia pure con un rischio che cresce con l’età. Secondo la statistica, infatti, un bambino nato oggi avrà a 70 anni una probabilità del 13% di sviluppare il carcinoma prostatico. Un po’ meno di un uomo su otto. Fatto sta che si stanno accumulando studi, via via sempre più precisi e affidabili, su numerosi alimenti protettivi, come riporta un sito specializzato di urologi americani

Le ultime acquisizioni rafforzano vecchi studi ed estendono a cibi nuovi le speranze di aiutare a ridurre l’incidenza e la gravità del carcinoma prostatico. Gli alimenti e i nutrienti con capacità preventive o terapeutiche ("nutriceutici" è il pessimo neologismo inventato dai ricercatori sulla falsariga di "farmaceutici") sono utili perché il tumore alla prostata è sempre più diffuso e anche perché, vista la lentezza di questo tipo di tumore, un numero sempre maggiore di pazienti viene indirizzato alla cosiddetta "sorveglianza attiva", attraverso cui non si elimina subito il tumore esponendo il paziente agli effetti collaterali della chirurgia, ma lo si controlla, per aggredirlo appena diventa più pericoloso. Così hanno spiegato in un commento su Urotoday gli autori dello studio canadese pubblicato in National Review Urology (Lawrentschuk, Trottier e altri), a cui si è ispirato l’articolo del Corriere della Sera dedicato al caso ("Nutriceutici come "terapia"", E. Meli, 4 maggio 2010).

"Insomma, tutto ciò che può prevenire la malattia o ritardarne la progressione è più che utile. Meglio se, anziché un farmaco, possiamo usare prodotti naturali che non hanno effetti collaterali, a meno di introdurne quantità realmente esagerate", continuano gli autori. "I composti più spesso messi alla prova nei confronti del tumore alla prostata sono la vitamina D, la vitamina E, il selenio, il licopene, la soia e il tè verde; di recente l’interesse si è posato anche sulla melagrana. "Di tutti questi la soia pare essere il nutriente più benefico, con effetti preventivi e protettivi evidenti. Lo stesso dicasi per il tè verde", dicono gli urologi. – commentano su Urotoday. Ecco la sintesi dello studio originale:

NUTRACEUTICALS AND PROSTATE CANCER PREVENTION: A CURRENT REVIEW. Trottier G, Boström PJ, Lawrentschuk N, Fleshner NE. Abstract: Nutraceuticals are ‘natural’ substances isolated or purified from food substances and used in a medicinal fashion. Several naturally derived food substances have been studied in prostate cancer in an attempt to identify natural preventative therapies for this disease. Vitamin E, selenium, vitamin D, green tea, soy, and lycopene have all been examined in human studies. Other potential nutraceuticals that lack human data, most notably pomegranate, might also have a preventative role in this disease. Unfortunately, most of the literature involving nutraceuticals in prostate cancer is epidemiological and retrospective. The paucity of randomized control trial evidence for the majority of these substances creates difficulty in making clinical recommendations particularly when most of the compounds have no evidence of toxicity and occur naturally. Despite these shortcomings, this area of prostate cancer prevention is still under intense investigation. We believe many of these ‘natural’ compounds have therapeutic potential and anticipate future studies will consist of well-designed clinical trials assessing combinations of compounds concurrently.

STUDI "DEBOLI", PERCHE’… Ma spesso il paziente che vorrebbe prevenire o curarsi col cibo, e anche chi deve curarlo, si trovano davanti a consigli generici o contrastanti di ricercatori, derivanti da studi "deboli", cioè contraddittori, di scarsa qualità, poco randomizzati, fondati su somministrazioni troppo brevi, o condotti su un numero troppo limitato di soggetti. Mancano insomma le famose e sempre desiderate dagli oncologi "prove schiaccianti". Come mai? Be’, è facile immaginarlo, gli uomini non sono topi, che possono essere nutriti per un mese o più solo a cavolo verza o proteine di soia. Le ragioni umanitarie valgono più di quelle zoofile (anche perché gli uomini votano, i topi no…), e impongono perciò di nutrire sempre in modo adeguato i soggetti. Va a finire, dunque, che un esperimento dietoterapico attendibile sugli uomini è di lunga o lunghissima durata, anche per poter un po’ meglio tentare di discriminare tra i cibi attivi e i tanti altri che compongono la dieta. Un’impresa titanica, oltre che dispendiosa, in questi chiari di luna economici. "Purtroppo è difficile fare studi randomizzati e controllati di prevenzione primaria, dovrebbero durare dieci o vent’anni per dare informazioni consistenti. Non abbiamo quindi dati certi, ma il razionale perché funzionino c’è e noi urologi li consigliamo già da tempo", dice Alberto Roggia, direttore dell’Unità di Urologia all’ospedale S. Antonio Abate di Gallarate (Varese).

EVITARE I GRASSI E IL SOVRAPPESO, SCEGLIERE CIBI ANTIOSSIDANTI. “Quali sono i nutrienti o gli alimenti che non dovremmo farci mancare?” chiede la Meli a Roggia. Ecco le risposte dell’urologo e tra parentesi i miei commenti. "I polifenoli antiossidanti [catechine NdR] del tè verde, il resveratrolo del vino [ma isolato non ha effetto, e di vino bisognerebbe berne a litri], il licopene dai pomodori [v. resveratrolo] e dalla salsa di pomodoro, dov’è ancor più concentrato", risponde Roggia. E poi anche la vitamina D [soprattutto sole o luce naturale e olio di fegato di merluzzo. Supplementi, latte e formaggi sono controindicati], zinco e selenio dall’aglio, gli omega-3 che si trovano nel pesce, ma anche nei semi di lino [non sono un alimento, quindi attenzione]. Di fatto consigliamo una dieta equilibrata e sana, che però non si dovrebbe iniziare a 60 anni, ma molto prima: oggi vediamo tumori anche nei quarantenni. L’educazione alimentare alla prevenzione dovrebbe cominciare fin da piccoli". Mangiare verdura, legumi e frutta, ed evitare il sovrappeso? Sono i cardini per prevenire il tumore alla prostata. "È il modo migliore per riuscirci, non abbiamo altre armi a disposizione. È invece tuttora molto dibattuto l’eventuale effetto benefico dei cibi o nutrienti una volta che il tumore sia stato diagnosticato: sembra meno probabile, infatti, che riescano a cambiare il decorso del cancro quando è già presente", conclude Roggia.

CEREALI INTEGRALI. I cereali integrali (frumento o riso o altro cereale integrale in grani, pane integrale, pasta integrale, fiocchi di avena, preparazioni di farina integrale, ecc) hanno mostrato di abbassare il livello di PSA (l’antigene specifico usato a livello diagnostico come marker di un più alto rischio) addirittura in chi già aveva un tumore della prostata, riducendone anche la progressione e il volume. probabilmente per la ridotta esposizione all’insulina tipica dei cereali integrali, come mostrato dai valori di insulina nel sangue e dall’escrezione urinaria del C-peptide.

Prima di riportare la sintesi di uno studio sulla somministrazione terapeutica di segale integrale in chicchi a 16 malati di cancro alla prostata (a cui corrispondeva una maggiore presenza di lignani anti-cancro), è bene notare che, come è necessario fare in molti esperimenti, per ottenere risultati importanti e rapidi i ricercatori hanno somministrato la segale per poche settimane, ma in abbondanza, circa al 50% delle calorie giornaliere richieste. Cosa difficile da riprodurre nella vita quotidiana. Ma è da presumere che effetti analoghi o addirittura migliori possa avere una dieta normale di lungo periodo, cioè con consumo molto prolungato nel tempo di minori quantità di questo o di altri cereali. Tanto più se si potesse tener conto anche degli inevitabili sinergismi con l’azione anti-cancro o anti-insulina di molti altri alimenti e condimenti (legumi, verdure, frutta, oli vegetali, spezie) normalmente presenti in una dieta sana e naturale.

RYE WHOLE GRAIN AND BRAN INTAKE COMPARED WITH REFINED WHEAT DECREASES URINARY C-PEPTIDE, PLASMA INSULIN, AND PROSTATE SPECIFIC ANTIGEN IN MEN WITH PROSTATE CANCER. Landberg R, Andersson SO, Zhang JX, Johansson JE, Stenman UH, Adlercreutz H, Kamal-Eldin A, Aman P, Hallmans G. J Nutr. 2010 Oct 27. Abstract: Rye whole grain and bran intake has shown beneficial effects on prostate cancer progression in animal models, including lower tumor take rates, smaller tumor volumes, and reduced prostate specific antigen (PSA) concentrations. A human pilot study showed increased apoptosis after consumption of rye bran bread. In this study, we investigated the effect of high intake of rye whole grain and bran on prostate cancer progression as assessed by PSA concentration in men diagnosed with prostate cancer. Seventeen participants were provided with 485 g rye whole grain and bran products (RP) or refined wheat products with added cellulose (WP), corresponding to ~50% of daily energy intake, in a randomized controlled, crossover design. Blood samples were taken from fasting men before and after 2, 4, and 6 wk of treatment and 24-h urine samples were collected before the first intervention period and after treatment. Plasma total PSA concentrations were lower after treatment with RP compared with WP, with a mean treatment effect of –14%. Additionally, fasting plasma insulin and 24-h urinary C-peptide excretion were lower after treatment with RP compared with WP. Daily excretion of 5 lignans was higher after the RP treatment than after the WP treatment. We conclude that whole grain and bran from rye resulted in significantly lower plasma PSA compared with a cellulose-supplemented refined wheat diet in patients with prostate cancer. The effect may be related to inhibition of prostate cancer progression caused by decreased exposure to insulin, as indicated by plasma insulin and urinary C-peptide excretion.

SESAMO E SEMI DI LINO. I lignani, che hanno dimostrato di favorire l'apoptosi delle cellule cancerose, soprattutto nei tumori alla mammella e alla prostata, sono abbondanti in cereali integrali, legumi e semi oleosi, particolarmente nel sesamo e nei semi di lino. Tra i tanti studi ricordiamo quello sperimentale sul tumore della prostata di Xu Lin della Duke University a Durham pubblicato su Urology, in cui era evidente che "i tumori nel gruppo di topi di controllo erano grandi il doppio di quelli dei topi nutriti a semi di lino". Studi analoghi, per inciso, si possono trovare sui più comodi semi di sesamo, che a differenza di quelli di lino sono un alimento, sono gustosi e più facili da consumare, non hanno il rivestimento così duro (i semi di lino vanno obbligatoriamente tritati col macinino) e non contengono il pericoloso veleno acido cianidrico.

LA CURCUMA. Nota spezia di color ocra carico caratteristica del curry, la poco usata curcuma è riconosciuta dai ricercatori per il suo notevole principio attivo protettivo e anti-cancro, la curcumina. Ebbene, una relazione di Shigeo Horie alla Conferenza del 30.o anniversario della URS, Urological Research Society, a Niagara-on-the-Lake, Ontario, Canada (30 sett.- 3 ott. 2010), mostra la capacità della curcumina di inibire i recettori dell’ormone androgeno nel cancro della prostata. Inoltre risponde ai danni del DNA grazie all’attivazione del sistema riparatore ATM, e induce le cellule cancerose all’apoptosi, un vero e proprio "suicidio" programmato.

CURCUMIN INHIBITS THE PROGRESSION OF PROSTATE CANCER THROUGH ARYL HYDROCARBON RECEPTOR (AhR) (UroToday.com) – Food factors may contribute to cancer prevention. Recently we have reported that curcumin inhibits the expression of androgen receptor in prostate cancer in vivo and in vitro. (Ide et al. Prostate 2010.) Curcumin has a high affinity with AhR, a dioxin receptor. AhR is an E3 ligase and can ubiquitinate androgen receptor. We further studied the effect of curcumin on prostate cancer cells. We used a siRNA targeting AhR and AhR expression vector to control the expression of AhR in prostate cancer cells. To examine the transcriptional activities of AhR, we transfected the XRE-luciferase vectors into the prostate cancer cells. Curcumin induced apoptosis in prostate cancer cells by activating ATM. Curcumin inhibited the transcriptional activity of AhR examined by the XRE-driven reporter gene assay. Curcumin and 3MC, an agonist of AhR, inhibited the cell mobility. Knock-down of AhR by siRNA stimulated cell mobility, while the introduction of constitutively active form of AhR decreased it. Curcumin decreases the expression of androgen receptor specifically. Curcumin inhibits the progression of prostate cancer by inducing apoptosis and DNA damage response. AhR may be involved in the cancer progression by stimulating cell mobility, which seemed to be independent from its transcriptional activities.

DOPPIO CONCENTRATO E SALSA DI POMODORO. Il famoso "pomodoro anti-prostata" (ma, per chi ne mangia poco, ai fini dell'assimilazione del licopene è meglio la salsa cotta e ancor di più il concentrato, doppio o triplo) con il suo beta-carotenoide più attivo, il licopene, è stato studiato non in modo esauriente. Negli studi emergono ancora contraddizioni. Tuttavia è già molto che l’informazione si sia diffusa dappertutto. Oncologi e nutrizionisti vi ripongono grandi speranze, perché è un alimento molto diffuso ovunque, molto economico e molto gradito in tutto il Mondo, e che dà derivati ancora più efficaci ed economici (salsa, doppio concentrato ecc.). Una circostanza rara, che è un vantaggio non da poco per la prevenzione di massa. Tuttavia, mentre resta confermata la raccomandazione di consumarlo in modo regolare e abbondante, gli oncologi pratici lamentano ancora la mancanza di studi certissimi e incontrovertibili.

TOMATO-BASED FOOD PRODUCTS FOR PROSTATE CANCER PREVENTION: WHAT HAVE WE LEARNED? Tan HL, Thomas-Ahner JM, Grainger EM, Wan L, Francis DM, Schwartz SJ, Erdman JW Jr, Clinton SK. The Ohio State University Nutrition Graduate Program, The Ohio State University, Columbus, OH 43210, USA. Cancer Metastasis Rev. 2010 Sep;29(3):553-68. Evidence derived from a vast array of laboratory studies and epidemiological investigations have implicated diets rich in fruits and vegetables with a reduced risk of certain cancers. However, these approaches cannot demonstrate causal relationships and there is a paucity of randomized, controlled trials due to the difficulties involved with executing studies of food and behavioral change. Rather than pursuing the definitive intervention trials that are necessary, the thrust of research in recent decades has been driven by a reductionist approach focusing upon the identification of bioactive components in fruits and vegetables with the subsequent development of single agents using a pharmacologic approach. At this point in time, there are no chemopreventive strategies that are standard of care in medical practice that have resulted from this approach. This review describes an alternative approach focusing upon development of tomato-based food products for human clinical trials targeting cancer prevention and as an adjunct to therapy. Tomatoes are a source of bioactive phytochemicals and are widely consumed. The phytochemical pattern of tomato products can be manipulated to optimize anticancer activity through genetics, horticultural techniques, and food processing. The opportunity to develop a highly consistent tomato-based food product rich in anticancer phytochemicals for clinical trials targeting specific cancers, particularly the prostate, necessitates the interactive transdisciplinary research efforts of horticulturalists, food technologists, cancer biologists, and clinical translational investigators.

La melagrana, frutto dell’albero del melograno (Punica granatum), è certo cibo occasionale, perché disponibile in aree geografiche e in periodi molto limitati, però la polpa dei suoi frutti è ricca di sostanze naturali molto attive contro il cancro, anche quello della prostata, verso cui agisce anche da coadiuvante dell’apoptosi delle cellule cancerose e da potente anti-proliferitivo, quindi a tumore già iniziato. Il succo dei suoi chicchi è risultato contenere sei sostanze polifenoliche della famiglia degli antocianosidi, che riportiamo per facilità di ricerca con la denominazione scientifica inglese: pelargonidin 3-glucoside, cyanidin 3-glucoside, delphinidin 3-glucoside, pelargonidin 3,5-diglucoside, cyanidin 3,5-diglucoside, and delphinidin 3,5-diglucoside, oltre a vari ellagitannini e tannini idrolizzabili. Tra le centinaia di ricerche citiamo lo studio pre-clinico in vitro e in vivo pubblicato dalla prestigiosa Pnas, rivista dell’Accademia americana delle scienze, che alimenta le speranze dei terapeuti oncologi, come concludono i ricercatori:

The present study is the first report showing the effect of the fruit pomegranate in inhibiting human prostate carcinoma cell growth in an in vitro and in vivo preclinical model. The reduction in tumor growth with concomitant reduction in PSA levels observed in the xenograft model may have human clinical relevance. The outcome of this study could have a direct practical implication and translational relevance to CaP patients, because it suggests that pomegranate consumption may retard CaP progression, which may prolong the survival and quality of life of the patients. In summary, based on the present findings, it is tempting to suggest that the fruit pomegranate and its associated antioxidants may possess a strong potential for development as a chemopreventive and possibly therapeutic agent against CaP (PNAS October 11, 2005 vol. 102 no. 41 14813-14818).

UNO "STATO DELL’ARTE" MOLTO CRITICO. Ecco di seguito una breve sintesi dei risultati scientifici recenti e dell’applicabilità pratica in prevenzione e terapia della nutrizione. Visti da studiosi molto severi, va detto. Dalla tabella originale abbiamo ricavato alcuni alimenti, i loro principi attivi studiati, i meccanismi d’azione presunti, i risultati di esperimenti o meta-analisi sugli studi, e infine i riferimenti agli studi scientifici (da Curr Oncol. 2010 September; 17(Suppl. 2): S4–S1):

SOIA. La soia ha collezionato molti studi favorevoli, soprattutto per i flavonoidi contenuti. Questi fitoestrogeni e l’inibizione dell’enzima tirosina-kinasi causano l’apoptosi (suicidio programmato) delle cellule cancerose, limitano la crescita delle cellule e riducono l’infiammazione. Gli effetti positivi sono stati provati con soia non fermentata e principalmente in uomini non occidentali.

Studio (tra tanti): Yan L, Spitznagel EL. Soy consumption and prostate cancer risk in men: a revisit of a meta-analysis. Am J Clin Nutr. 2009;89:1155–63.

POMODORO. In special modo per il carotenoide licopene, dalle proprietà antiossidanti. Positiva la meta-analisi da vari studi precedenti, ma risultati negativi da un esperimento specifico su vari tumori.

Studi (tra tanti): Etminan M, Takkouche B, Caamano-Isorna F., The role of tomato products and lycopene in the prevention of prostate cancer: a meta-analysis of observational studies. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2004;13:340–5. Kirsh VA, Mayne ST, Peters U, et al. A prospective study of lycopene and tomato product intake and risk of prostate cancer. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2006;15:92–8. Peters U, Leitzmann MF, Chatterjee N, et al. Serum lycopene, other carotenoids, and prostate cancer risk: a nested case–control study in the prostate, lung, colorectal, and ovarian cancer screening trial. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2007;16:962–8.

TE’ VERDE. Grande attenzione della ricerca sul tè verde, vale a dire sul tè fatto seccare senza fermentazione in ambiente umido (come per il tè nero). Grazie ai polifenoli della classe delle catechine, specialmente EGCG (epigallo-catechin-gallato), che ha proprietà antiossidanti e di inibizione dell’enzima 5α-reduttasi. Risultati: "Conflicting for overall PCa diagnosis; possible positive effect on advanced PCa diagnosis" (contrastante per le diagnosi di cancro della prostata rispetto a tutti i tumori, ma possibile effetto positivo su diagnosi avanzata di cancro della prostata).

Due studi (tra tanti): Green tea consumption and prostate cancer risk in Japanese men: a prospective study. Kurahashi N, Sasazuki S, Iwasaki M, Inoue M, Tsugane S.  Am J Epidemiol. 2008;167:71–7. Chemoprevention of human prostate cancer by green tea catechins: two years later. A follow-up update. Brausi M, Rizzi F, Bettuzzi S. Eur Urol. 2008;54:472–3.

VITAMINA E. Noci e semi oleosi, germe di grano, avena e altri cereali integrali, oli vegetali (freschi). Proprietà antiossidanti e pro-apostosi delle cellule cancerose. Ma in studi controllati e randomizzati non ha mostrato differenze con il placebo.

Studi (tra tanti): Gaziano JM, Glynn RJ, Christen WG, et al. Vitamins E and C in the prevention of prostate and total cancer in men: the Physicians’ Health Study ii randomized controlled trial. JAMA. 2009;301:52–62. Lippman SM, Klein EA, Goodman PJ, et al. Effect of selenium and vitamin E on risk of prostate cancer and other cancers: the Selenium and Vitamin E Cancer Prevention Trial (select) JAMA. 2009;301:39–51.

MALATTIA DELLA "CIVILTA’". Un tempo tipici dei vecchi, l’ipertrofia (ingrossamento) e il tumore della prostata oggi interessano fasce maschili sempre più giovani, in alcuni casi già a 35-40 anni. Lo stile di vita occidentale, soprattutto il sovrappeso, una dieta ricca di grassi (animali in particolare) e di formaggi, sono collegati statisticamente ad un maggior rischio di tumore della prostata. Ed è curioso, ma molto significativo che il gruppo etnico più colpito non sia il tipico "caucasian male", cioè l’uomo bianco americano o europeo o neozelandese o australiano. Ma, prima ancora, il nero afro-americano, cioè il discendente degli africani emigrati negli Stati Uniti. Il tumore della prostata, ad ogni modo, fa parte del gruppo dei "tumori dei Paesi ricchi" insieme con colon, polmoni e mammella, e infatti è poco invasiva in Asia e nei Paesi poveri. Ma l’Oriente non è l’Eden, come pensano molti "alternativi". Per tacere delle altre malattie, non solo ha il record dei tumori a bocca, stomaco, esofago e fegato, i cosiddetti "tumori dei Paesi poveri" o degli Antichi, ma a mano a mano che si sviluppa acquista anche tutti i rischi occidentali, dovuti soprattutto alla dieta sovrabbondante e grassa, e al fumo.

IL PROBLEMA DEI GRASSI SATURI NASCOSTI (E ANCOR PEGGIO DEI GRASSI COTTI). Intanto una precisazione sulla presenza dietetica reale dei grassi saturi nella dieta. Sono abbondanti non solo in lardo, strutto e burro, che sono in teoria facilmente identificabili, e quindi riducibili e perfino eliminabili da chiunque, ma anche nei cibi animali che l'uomo-massa consuma ogni giorno (salumi, carni di ogni tipo, formaggi e latticini) e perfino in alcuni diffusi grassi vegetali (palma, palmisti e cocco) presenti in prodotti alimentari industriali molto diffusi (dadi per brodo, creme spalmabili, patatine fritte, biscotti ecc). Si tratta, perciò, di fonti alimentari ormai abituali che solo ristrette fasce di naturisti, vegetariani o vegan sono in grado di ridurre in modo drastico o eliminare. Non parliamo, poi, delle fritture e comunque del burro e degli altri grassi (o carni) cotti, e per lo più, ad alta temperatura, che producono pericolosi radicali liberi perfino a partire da oli vegetali ricchi di antiossidanti. Tutti pericoli che ancor più degli stessi nutrizionisti - spesso inermi di fronte agli usi popolari ritenuti "tradizionali" - solo una marginale minoranza di naturisti identifica e cerca di ridurre. Di qui il loro potenziale epidemiologico su scala mondiale, che riguarda malattie cardio-vascolari, sovrappeso, obesità, diabete, e vari tumori tra cui mammella, colon, pancreas e, appunto, prostata.

SOIA, MA NON SALSA DI SOIA. E’ paradossale che la tanto strombazzata soia (la lobby industriale della soia è ricca e potente, e finanzia anche la ricerca), come fagiolo al naturale, sia pochissimo consumata nel Mondo, per motivi diversi, il primo dei quali, riteniamo, la sua insita durezza e resistenza alla cottura perfetta, almeno con i metodi casalinghi. Eppure i ricercatori ritengono che uno degli alimenti per cui gli orientali soffrono meno di ipertrofia e tumori alla prostata sia proprio la soia, o meglio i suoi derivati "buoni", diffusissimi in estremo Oriente perché semilavorati già pronti per il consumo e facili da cucinare. Sono gli spaghetti di soia, le proteine tessute "simil-carne", gli introvabili veri germogli di soia (da non confondere con i reperibilissimi ma truffaldini "germogli di soia" commerciali diffusi in tutto il mondo ottenuti dal piccolo fagiolo verde mung), il tofu o "formaggio" di soia ricavato dal "latte" di soia, il natto e il tempeh che si preparano facendo fermentare da colture di miceti i fagioli di soia. Tutti alimenti tipici dell'estremo Oriente. Gli altri derivati della soia, quelli epidemiologicamente "cattivi", ugualmente molto diffusi in Oriente (salsa di soia, shoyu o tamari, e miso), sono addirittura collegati ad un maggior rischio di cancro, per lo più gastrico ed epatico (sale, radicale N-nitroso, amine ecc).

FLAVONOIDI E FITOESTROGENI. Il principio attivo per cui la soia, quella vera, insieme con i suoi derivati "buoni", è collegata ad una minore incidenza statistica di ipertrofia e cancro della prostata è il gruppo dei flavonoidi. In particolare gli isoflavoni, tra cui sostanze fito-estrogeniche come genisteina (utile come simil-ormone in terapia e prevenzione) e dazeina, usate oggi in esperimenti di terapia ormonale nelle donne in menopausa e osteoporosi, e sugli uomini con problemi di prostata. Vari ricercatori, primo tra tutti il Setchell, hanno provato che l’equolo, un metabolita che si forma nell’intestino quando la soia è digerita, ha "notevole efficacia" nell’inibizione dell’ormone maschile coinvolto nell’iperplasia e nel tumore della prostata. L’equolo per la verità è ancora meno potente come estrogeno degli isoflavoni di partenza presenti nel legume, che a loro volta sono molte volte meno potenti dei veri ormoni animali, ma ha comunque la capacità di inibire nell’uomo l’attività dell’ormone deidrotestosterone (DHT), che normalmente stimola la crescita della prostata aumentando sia il rischio di iperplasia benigna (ingrossamento della prostata), sia la possibilità dell’insorgenza di questo tipo di tumore. E per di più sembra adatto ai consumi prolungati nel tempo senza mostrare effetti collaterali. Questa scoperta è molto importante dal punto di vista clinico – ha commentato lo stesso Setchell – in quanto bloccare l’azione del potente androgeno DHT è un’ottima strategia per curare il cancro alla prostata".

Ne sono derivate numerose ricerche, importanti anche dal punto di vista farmacologico, come quella di ricercatori della Colorado State University, della Brigham Young University e del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, che hanno analizzato la risposta dell´equolo sui topi, pubblicata su Biology of Reproduction. Si cerca infatti un’alternativa ai farmaci anti-testosterone, che sono in grado di inibire un enzima che converte il testosterone in DHT, ma hanno troppi effetti collaterali. Con la vantaggiosa differenza che l’equolo non blocca la produzione di DHT, ma il suo funzionamento. Impedisce infatti al DHT di legarsi ai recettori e di far ingrossare la prostata. Naturale che questo filone di ricerca interessi oncologi, urologi e pazienti a cui è stata diagnosticata una prostata ingrossata (iperplasia prostatica benigna) o un tumore alla prostata.

I derivati della soia, come tofu ("formaggio" di soia) e natto (soia fermentata), e il pesce, alimenti tradizionali in Giappone, sono collegati secondo uno studio di urologi giapponesi a minor rischio di cancro della prostata. La carne, invece, è collegata ad un rischio più alto. Curiosamente, a differenza di altri studi su uomini europei o americani che danno l'eccesso di latticini a rischio e verdura-frutta protettive, qui il latte, oltre a frutta, vegetali, vegetali giallo-verdi e pomodori, non hanno mostrato alcun collegamento, né negativo né positivo:

A CASE-CONTROL STUDY OF DIET AND PROSTATE CANCER IN JAPAN: POSSIBLE PROTECTIVE EFFECT OF TRADITIONAL JAPANESE DIET. Tomoko Sonoda, Yoshie Nagata1, Mitsuru Mori1, Naoto Miyanaga, Naomi Takashima, Koji Okumura, Ken Goto, Seiji Naito, Kiyohide Fujimoto, Yoshihiro Hirao, Atsushi Takahashi, Taiji Tsukamoto, Tomoaki Fujioka, Hideyuki Akaza. Cancer Science Volume 95, Issue 3, pages 2 38–242, March 2004. The age-adjusted incidence of prostate cancer is low in Japan, and it has been suggested that the traditional Japanese diet, which includes many soy products, plays a preventive role against prostate cancer. We performed a case-control study on dietary factors and prostate cancer in order to assess the hypothesis that the traditional Japanese diet reduces the risk of prostate cancer. Four geographical areas (Ibaraki, Fukuoka, Nara, and Hokkaido) of Japan were selected for the survey. Average daily intake of food from 5 years before the diagnosis was measured by means of a semi-quantitative food frequency questionnaire. We studied 140 cases and 140 individually age (±5 years)-matched hospital controls for analysis. Estimates of age-adjusted odds ratios (ORs) and linear trends were calculated by conditional logistic regression models with adjustment for cigarette smoking and total energy intake as confounding factors. Consumption of fish, all soybean products, tofu (bean curds), and natto (fermented soybeans) was associated with decreased risk. ORs of the fourth vs. first quartile and 95% confidence intervals (95%CIs) were 0.45 (0.20–1.02) for fish, 0.53 (0.24–1.14) for all soybean products, 0.47 (0.20–1.08) for tofu, and 0.25 (0.05–1.24) for natto. Consumption of fish and natto showed significantly decreasing linear trends for risk. Consumption of meat was significantly associated with increased risk (the OR of the second vs. first quartile was 2.19, 95% CI 1.00–4.81). Our results provide support to the hypothesis that the traditional Japanese diet, which is rich in soybean products and fish, might be protective against prostate cancer.

In margine, sugli isoflavoni della soia, a dimostrazione che in Natura il bene e il male sono strettamente collegati, cioè che nessun vegetale scelto dalla selezione umana come "alimento" è davvero totalmente sano o fatto "per l’Uomo", si è anche scoperto che la genisteina (isoflavonoide utile in quanto, ripetiamo, dopo la digestione si trasforma in equolo) di per sé, prima che si trasformi in equolo, in esperimenti di laboratorio agisce come sostanza mutagena e tossica sui geni della cellula. Ma, ripetiamo, nel corpo umano conta non tanto la genisteina in quanto tale, ma i metaboliti che ne derivano.

QUALE DIETA. Infine, degno di nota un generale consiglio alimentare della Fondazione per la Ricerca in Urologia (Friu), che risponde in modo semplice – anche troppo, e pure con qualche imprecisione – alla domanda popolare: si può agire sulla dieta per prevenire il carcinoma della prostata ? "Un'alimentazione ricca di grassi animali e povera di fibre, particolarmente frequente nel mondo occidentale, fa aumentare il rischio tumorale. In particolare c’è da fare attenzione ai grassi saturi, quelli contenuti nelle carni rosse. I pomodori, invece, contengono una sostanza, detta licopene, che è un potente antiossidante potenzialmente capace di svolgere un’azione anticancerogena. Altri alimenti da favorire, in quanto contenenti antiossidanti come la vitamina E ed il selenio, sono l’ olio di oliva, l’ albume d’uovo, la frutta secca [espressione sbagliata che vuol dire solo "semi oleosi", NdR], il pesce, i cereali integrali, il tè verde [e le verdure abbondanti, NdR]. In definitiva, per ridurre il rischio di sviluppare un carcinoma prostatico è da consigliare una dieta ricca di fibre, vegetali, cereali, legumi e frutta e povera di grassi".

UNA PRECISAZIONE. Infine, visto che gli alimenti che prevengono l’ipertrofia possono essere gli stessi che riducono il rischio di carcinoma, è bene evitare un possibile equivoco nel lettore con una precisazione degli oncologi: "Non esiste una relazione tra l’iperplasia prostatica benigna ed il cancro della prostata. Iperplasia prostatica e carcinoma della prostata sono fenomeni completamente diversi. Il carcinoma prende origine, nella maggior parte dei casi, dalla zona periferica, mentre l’iperplasia benigna origina dalla porzione centrale, detta zona transizionale, della ghiandola. Quindi, l’iperplasia non si trasforma in tumore maligno e non risulta neanche essere una condizione favorevole per l’insorgere del carcinoma. Il carcinoma della prostata, infatti, può colpire indifferentemente sia i soggetti affetti da iperplasia, che quelli senza altre malattie prostatiche" (Friu cit.).

IMMAGINI. 1. Una tazza di tè verde con foglie fresche della pianta. 2. Salsa di pomodoro e aglio. 3. Pane integrale, come simbolo di tutti i cereali integrali (dotati di germe e fibre). 4. Scaloppine di formaggio di soia (tofu) e zucca gialla, anch'essa antiossidante grazie al beta-carotene. 5. Melagrana.

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