mercoledì 15 ottobre 2014

GERME DI GRANO. La parte vitale del chicco che manca nei cereali raffinati.

Germe di grano mucchio (ingrandimento)Riportiamo qui di seguito, come testimonianza storica della divulgazione scientifica degli anni 80-90, la voce integrale “Germe di grano” dal manuale enciclopedico di Nico Valerio, L’Alimentazione Naturale, Mondadori, Oscar Manuali, Milano 1980 (edizione corretta e ampliata nel 1992. ristampa 2001), pp. 509-514.

«Il germe di grano è la fogliolina dell'embrione racchiusa nel chicco di frumento secco, così com'è prima della germinazione. È poco visi­bile (misura circa 1 mm quadrato) se non viene separata dal chicco. Perché ha tanta importanza una parte così minuta e apparentemente secondaria del chicco di grano? Perché il germe secco è una vera riserva di vitali­tà, ricco di preziosi elementi nutritivi come ben pochi altri alimenti, in alcuni casi il più ricco tra tutti gli alimenti. In realtà non si tratta di un vero e proprio alimento (l'alimento vero è il chicco di grano o di qua­lunque altro cereale), ma di un potente e versatile integratore alimentare naturale.
      «Perché si usa proprio il germe di frumento? Perché in Occidente il frumento è il cereale più usato, quasi sempre (purtroppo) spogliato e raffinato nei mulini facendo in modo che la farina bianca sia separata dalla crusca e dal germe di grano. Per quasi un secolo, do­po l'invenzione dei mulini a cilindri di acciaio, la crusca con tutto il germe è stata usata nel "pastone" quotidiano per i volatili da cortile, soprattutto per le galline da uova. Poi i ricercatori hanno scoperto la pagliuzza che vale un tesoro e hanno deciso che era sprecata in cortile e che sarebbe dovuta ritornare in cucina.
      «È abbondante e facile da trovare, essendo un sottoprodotto della molitura. Sul mercato si vende sfuso o in pacchetti, questi ultimi con le indicazioni della scadenza. È infatti molto deperibile, facilmente at­taccabile dagli insetti (attratti dai grassi e dalle vitamine), sensibile al calore anche tiepido e alla luce. Per questo va conservato in barattoli di vetro chiusi, in frigorifero o in un luogo buio a non oltre 20°C. Non va mai cotto, per non distruggere la rara vitamina E, le vitamine del complesso B e gli aci­di grassi.
      «Come si usa? Si aggiunge crudo in piccole quantità (qualche cucchiaio, al massimo) a qualunque pietanza: muesli, zuppe, pastasciutta (squisito al posto del formaggio grattugiato, con l'aggiunta di olio, prezzemolo, aglietto e aromi), sformati, creme, yogurt, frullati al latte o alla frutta. Ha un gusto leggero e gradevole, quasi di noce, ma più delicato.
Chicco di grano (dis. orig. seppia (Alim NV 1980) firm
«Che cosa contiene di tanto speciale? Ha 26,3 g di proteine di buon valore biologico (indice chimico FAO: 66), pari alla soia, con quantità di aminoacidi essenziali (9,5 g in totale) superiore a quella della carne bovina (vedi tabella accanto) (1), paragonabile solo ai legumi e seconda solo alla soia. Il tenore di grassi è di 10 g, con molto acido linoleico (da 2,2 a 5,1 g) e moltissima preziosa lecitina (150-300 mg, il primo posto tra i vegetali accanto alla soia). I carboidrati dispo­nibili (50 g) comprendono amido (16-24 g) e zuccheri semplici. Le fi­bre grezze pesano circa 3-4 g.
      «Ma i suoi record sono tutti tra i sali e le vitamine. E molto ricco di ferro (10 mg), dotato di calcio (52 mg), ric­co di fosforo (1150 mg), di potassio (827-953 mg), magnesio (313 mg), straricco di zinco (16,9 mg: il primo posto tra i vegetali), ben dotato di manganese (17 mg), rame (1 mg), cobalto (2,47 mcg), molibdeno (56 mcg). A parte le tracce di vitamine A (17,88 mcg) e C (12,7mg), è ric­chissimo di vitamina E (ben 26,82 mg: il massimo tra tutti gli alimen­ti), molto ricco di vitamine del gruppo B (2,44 mg di B1, il massimo tra tutti gli alimenti, 0,61 mg di 132, il massimo tra tutti. gli alimenti), 6,2 mg di PP, ben 1097 mg di inositolo, 2,90 mg di H, 0,88 mg di 136, 550 mg di colina, l,16 mg di acido pantotenico, 37,41 di PABA o acido paraminobenzoico, 3,53 mg di acido alfalipoi­co (Rodale, INN).
      «Tutto questo in una pagliuzza nascosta tra la crusca dei cereali: come si poteva lasciarla ancora alle galline? Il germe di grano è diventa­to perciò dal secondo dopoguerra, soprattutto in America ma anche in Europa, il complemento alimentare naturale più importante per chiunque voglia tamponare qualche falla nella dieta (per lo più, carenze di vitamine B ed E, e di zinco), sia esso onnivoro o vegetaria­no, naturista o vegan, crudista o macrobiotico. Per "ideologia", però, i macrobiotici e alcuni naturisti sono poco inclini a farvi ricorso, per­ché – sostengono – il germe di grano non è un vero alimento, tantome­no un alimento completo, ma solo una piccola parte di un alimento e come tale sbilanciata, e perché nutrirsi abitualmente di estratti di ali­menti - sia pure naturali - non è naturale per l'uomo.
      «La maggior parte dei naturisti, il celebre dietologo G. Hauser in testa, obietta però con altrettanta ragione che è più naturale e innocuo curarsi con il vitale germe di grano piuttosto che con ricostituenti far­maceutici "morti" e complessi vitaminici sintetici di dubbia efficacia e spesso dannosi. L'uomo, attraverso i secoli, si è abituato a ingerire ce­reali non raffinati completi di germe. Escludere il germe di grano, ora che conosciamo le carenze causate dai cereali raffinati, sarebbe peri­coloso, argomenta Hauser nel suo libro Look younger, live longer (Siate più giovani, vivete più a lungo), apparso in Europa nel 1950. Il "dietologo delle attrici di Hollywood", come era soprannominato, fa del germe di grano uno dei pilastri della sua "dieta di giovinezza e di bellezza" che tanto successo ha avuto nel mondo, finendo per avvalo­rare e diffondere nel più largo pubblico tutte le teorie dei terapeuti na­turisti apprese in Germania. Lo prescrive ogni giorno, a cucchiai (al massimo, mezza tazza come misura d’urto nelle "diete di ringiovani­mento" per anziani), nel latte, nelle minestre, anche aggiunto ai ce­reali comuni, caldi e freddi, perfino nell'impasto del pane e delle tor­te, nelle bibite di frutta. L'altissimo contenuto di vitamina E fa del germe di grano fresco e ben conservato uno dei più efficaci antiossi­danti naturali, il migliore tra quelli più disponibili; mentre i suoi acidi grassi polinsaturi EFA lo rendono un protettore per eccellenza dell'integrità cardiovascolare e cellulare.

      «A questo punto è chiaro che è proprio quel minuscolo scrigno di so­stanze preziose, il germe, a fare la ricchezza dei cereali. Senonché, di­luito nella massa dell'amido e delle fibre del chicco integrale, il germe ha effetti sicuri, sì, ma lenti e moderati. Gli antichi se ne giovavano, senza conoscerne i pregi, nella loro fortunata alimentazione quotidia­na a base di cereali integrali. Ma oggi? Pochi consumano i cereali inte­grali sotto forma di chicchi, i soli a garantire entro certi limiti un ger­me intatto e vitale. I più, anche nella minoranza dei naturisti, usano di tanto in tanto le farine integrali, dove però il germe sminuzzato perde quasi subito, per l'ossidazione, gran parte delle sue proprietà. E allo­ra, in attesa che una rivoluzione copernicana dell'alimentazione ripor­ti i chicchi con il germe ogni giorno sulla tavola, non resta che ricorre­re a malincuore al germe separato, come integratore. È un condimen­to, un complemento alimentare, un rimedio naturale? Tutte e tre le cose. Ma l'essenziale è che apporta alla nostra dieta degli elementi di altissimo valore biologico, enzimatico e minerale che altrimenti non sarebbe facile trovare nel cibo di ogni giorno.
      «Negli Stati Uniti, già all'inizio del Novecento, S. Graham aveva proposto che la parte più nutriente dei cereali, il germe, tornasse a far parte dell'alimentazione umana. In Danimarca, durante la prima guerra mondiale, la carenza di alimenti spinse il governo a vietare la raffinazione dei cereali. I danesi, quindi, cominciarono ad assumere ogni giorno piccole quantità di germe di grano e di altri cereali. Il tas­so di mortalità si ridusse del 34%, come riporta il "Kiwanis Magazi­ne", e diminuirono anche cancro, diabete, ipertensione e malattie del cuore e dei reni (Higdon). La cosa si è sempre ripetuta ovunque si sia passati da una dieta con cereali raffinati a una di cereali integrali. E, conoscendo la composizione dei cereali, che cos'altro se non il com­plesso di germe e fibre alimentari ha potuto fare un "miracolo" del genere?
      «I medici sportivi e i dietologi hanno immediatamente applicato il germe all'alimentazione dell'atleta, con risultati superlativi. Hanno cominciato i podisti, poi i giocatori di baseball del Kansas City Athle­tics, poi tutti gli altri. Un fisiologo dell'Università dell'Illinois, T.C. Cureton, dopo alcuni esperimenti, ne è diventato un fervente paladi­no. Una dose quotidiana – ha scoperto – accresce la resistenza fisica e le prestazioni anche della gente comune, non solo degli atleti (2). Una prova effettuata su professori di mezz'età durante il Congresso della Società Americana di Fisiologia a Madison fece registrare un netto miglioramento delle loro condizioni e della loro resistenza fisica, co­me ha riportato "Science Newsletter". Ne beneficiano, in particolare, coloro che devono affrontare lavori faticosi, freddo, stress. Tra le tan­te sostanze contenute dal germe, almeno una, nota come ottacosano­lo, avrebbe il potere di aumentare la resistenza fisica e la forza musco­lare, compresa quella del cuore, con conseguente aumento dell'am­piezza delle "onde T" sugli apparecchi di controllo (Cureton).
      «Oggi è sempre più come apportatori di zinco e di vitamina E – un  potente antiossidante – che il germe e l' olio di germe di grano, estratto per pressione a freddo, sono utilizzati, soprattutto in presenza di una situazione di invecchiamento delle cellule. Ma subito si è creata una nuova moda, favorita dallo stesso Cureton e poi dai produttori: quella di sostituire il germe, che in qualche modo ricorda ancora un alimento naturale, con il suo olio che invece è un prodotto assimilabile, per la presentazione e le modalità d'uso, ai preparati farmaceutici.
      «Una tendenza, questa, che preoccupa i dietologi naturisti, perché può contribuire a far credere che sia possibile continuare ad alimentarsi male e con cereali raffinati, mettendo "tutto a posto" con il tocca­sana miracoloso dell'olio di germe di grano; una nuova medicina. Il suo uso è sconsigliato, a parte i casi di emergenza, perché è altamente instabile e soggetto a irrancidirsi al caldo ambientale, alla luce e per semplice decorso del tempo. È facilmente sofisticabile con olio di semi di carote e misture di altri oli vegetali. Sul piano terapeutico è stato provato che l'olio di germe di grano contribuisce ad abbassare il tasso di colesterolo nel sangue, come riferisce A.R. Gaby. Ma poiché il co­mune olio in commercio è ricavato con un processo a caldo (tempera­tura fino a 200°C), i presunti benefici effetti – compreso l'elevatissimo potere antiossidante della vitamina E – vengono annullati e si trasfor­mano in difetti gravi. Le diete con olio di germe di grano ottenuto a caldo sono risultate maggiormente aterogeniche (con il rischio, quindi, di malattie cardiovascolari) rispetto a quelle contenenti il medesi­mo olio prodotto a freddo.
      «Anche il germe di grano ha il suo piccolo "rovescio della medaglia". Si tratta di una emoagglutinina, nota come WGA, che è un mezzo di difesa della pianta dai predatori. Questa proteina poco digeribile ha la proprietà, in laboratorio, di agglutinare i globuli rossi del sangue (Jaf­fe), di danneggiare le cellule dell'orlo a spazzola dell'intestino (Roua­net) e di ridurre l'assorbimento della vitamina B12 allentando il lega­me con il fattore intrinseco IF (Boedker).
Germe di grano e carne. Aminoacidi essenziali (NV 1980)
Tutte attività antinutritive che attenuano i benefici apportati dal germe di grano. Un eccessivo consumo è d'altra parte sconsigliabile non solo per ragioni energetiche (100 g di germe di grano forniscono ben 402 kcal), ma anche per i pos­sibili leggeri disturbi intestinali che può procurare. Come il germo­glio, anche il germe non è indicato, se consumato in eccesso, a chi sof­fre di ipertensione (cfr. Valnet, Dextreit)».

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Qui terminava la storica voce originale “Germe di grano” tratta dal manuale L’Alimentazione Naturale, ed. Mondadori, Oscar Manuali 1992 (rist. corretta 1997), voce soprattutto di valore documentativo, pur restando nelle sue grandi linee valida ancor oggi per un primo grado di conoscenza, non essendo aggiornata alla luce degli studi recenti. In particolare, sulle emoagglutinine o lectine del germe di grano si veda anche questo articolo, e su eventuali, rari, problemi digestivi in persone predisposte si legga quest’altro articolo.
Al tempo in cui fu scritto il manuale esisteva una scarsissima ricerca scientifica sugli alimenti, e le soluzioni tecnologiche al problema della delicatezza e scarsa conservabilità del germe, pur conosciute, non erano messe in pratica. Oggi, invece, la tecnologia alimentare ha modificato in molti casi la presentazione del germe di grano in commercio, proprio per renderlo più conservabile e trasportabile, ma così ne ha ridotto livello nutrizionale e protettivo.  Perché questa preoccupazione?
Il germe di grano, come il germe di ogni altro cereale integrale, ha una brevissima durata di conservazione a causa dell’alta attività dei suoi enzimi endogeni, soprattutto lipasi e lipossigenasi, che come dice il prefisso lipos attaccano i grassi. Il germe è ricco di acidi grassi polinsaturi, i più instabili chimicamente, che si ossidano (irrancidiscono) facilmente dopo pochi giorni, distruggendo così anche la vitamina E che è legata ai grassi (liposolubile), a meno che il germe non sia conservato (come del resto per tutti gli oli vergini di semi, ricchi di polinsaturi: girasole, noce, soia, arachide, sesamo ecc.), al buio, al freddo, in assenza di aria, ma anche in ambiente secco perché a causa della propria stessa umidità (essendo fresco). se compresso può formare masse a rischio di muffa.
Molti produttori perciò ricorrono a una doppio accorgimento: lo vendono in barattoli sotto-vuoto o in buste ermetiche in atmosfera controllata – tipicamente in pacchetti gonfi – il che è sicuramente protettivo e preventivo dell’ossidazione; però dopo averlo trattato o in un forno a micro-onde (il metodo meno distruttivo) o con una rapida essiccazione (definita con anglicismo “tostatura”, che è ancora più allarmante) in forno tradizionale, tecnica molto più invasiva, diciamo distruttiva. Quest’ultimo trattamento, a seconda di come viene effettuato, ancor più del primo, degrada i grassi e riduce il valore dei nutrienti in modo notevole, tra cui la preziosa vitamina E. Isolata per la prima volta (1936) da H.M. Evans proprio nel germe di grano, la fonte alimentare più ricca (insieme con l’olio di palma), siamo sicuri che lo scienziato potrebbe fare lo stesso oggi col germe di grano “tostato” (e con quale metodo, poi?) che si compera nei rari negozi che lo vendono? Non ne siamo affatto sicuri. I vantaggi asseriti dall’industria sono che il trattamento al forno neutralizza parte degli enzimi lipidici e previene l'irrancidimento e la relativa formazione di sostanze irritanti e tossiche. Consente anche il trasporto, l’immagazzinaggio e la conservazione della confezione, purché intatta, per 1 o 2 settimane Sull’etichetta è prevista una durata di 15 giorni e si invita a conservarlo al fresco e lontano dalla luce. Peccato che sia confezionato in busta trasparente e venduto in normali negozi, illuminati e con temperatura costante di 20°C (e nulla sappiamo di camion e magazzini). Comunque, una volta aperta la confezione in atmosfera controllata, anche il germe tostato va conservato sempre in barattoli ermetici in frigorifero.
      In esperimenti scientifici l’essiccazione al forno del germe ha neutralizzato le emoagglutinine (lectine) e le anti-tripsine che sono termolabili, stranamente aumentando l’azoto assimilato e il valore biologico delle proteine (NPU misurato sull’accrescimento dei polli). Ma c’è da dubitare che l’industria segua le cautele dei laboratori scientifici. Il calore è critico: se eccessivo riduce, anziché aumentare, il valore proteico, causando la reazione di Maillard tra amidi e zuccheri (di cui una spia è l’imbrunimento) e la riduzione drastica della lisina, abbondante nel germe crudo (circa 5,5%), amminoacido fondamentale per la completezza delle proteine per l’uomo. La pratica stessa dell’impacchettamento in atmosfera controllata vuol dire che il trattamento al calore in uso non evita l’irrancidimento ossidativo, e il rischio è anche la denaturazione delle proteine. In vecchi esperimenti erano state raggiunte temperature pari a 50°C per 3 ore in forni a circolazione d’aria o  120°C per 45 min (Moran et al. 1968). L’essiccazione in studi più recenti ha distrutto la lipasi ma ha inattivato la lipossigenasi solo all’80-92%, permettendo al germe una conservazione delle caratteristiche sensoriali per 60 giorni e il mescolamento alla farina di grano fino al 20%, in funzione della fabbricazione di una pasta speciale (Srivastava et al. 2007). Oggi, tuttavia, sarebbe possibile conservare quasi tutta la vitamina E nel germe essiccato con tecniche all’avanguardia, come hanno mostrato nuovi studi recenti (Gelmez et al. 2009), ma a quale prezzo e con quali trattamenti invasivi? E’ accettabile che il germe di grano diventi un prodotto del tutto artificiale?
      Il trattamento termico ha anche l’effetto di neutralizzare o ridurre molto l'azione tossica delle lectine. che sono potenti sostanze anti-cancro, è vero, e anche stimolanti delle difese immunitarie, ma capaci se assunte in quantità e in modo continuativo di favorire l'aggregazione piastrinica nel sangue e di atrofizzare le cellule dell’orletto a spazzola dei villi intestinali, riducendo quindi l’assimilazione di nutrienti, e anche di dare qualche leggero disturbo intestinale (modesta dolenzia, meteorismo ecc.). Il trattamento a caldo per i soggetti a rischio rappresenta un discreto compromesso: annulla o riduce molto eventuali rischi, al prezzo di una diminuzione dell’efficacia nutrizionale e farmacologica del germe di grano.
      Insomma: meglio di niente. Se ben conservato, il germe di grano tostato (e anche questo, una volta acquistato e aperta la busta va messo in frigo) conserva buona parte della vitamina E, che è quello che interessa i più. Ma per gli altri, compresi i più naturisti, si tratta di una tecnologia industriale insopportabilmente invasiva. Che fare, allora?
Tornare al germe di grano fresco e crudo, non trattato. Esiste, eccome, nei mulini, e va cercato con pazienza (e anzi, le stesse ripetute richieste, se fatte da molti, come i “gruppi di acquisto” di amici, spingono mulini e piccoli panifici di provincia a conduzione familiare a metterlo in commercio su richiesta, come un “piacere personale”, sottobanco). Costa anche molto meno di quello “ufficiale” trattato termicamente e sottovuoto. Sapore e aroma squisiti, niente a che fare con quello in commercio: più fresco e pannoso, quasi “di latte”, rispetto al germe di grano trattato termicamente che ha un odore più scuro, di noce. Ma, attenzione, è altamente deperibile grazie ai suoi enzimi naturali, e va subito messo in barattoli di vetro ermetici (l’umidità lo danneggia) in frigorifero, dove si può conservare bene per almeno 15 giorni. Perciò non se ne può fare incetta in grandi quantità per uso personale. E nella ricerca siate comprensivi e prudenti: è sicuramente contro la normativa europea che pretende solo pacchetti sigillati. Fortunati coloro che lo trovano, anche a costo di qualche leggero mal di pancia in più per i tanti col colon iper-sensibile per via delle abbondanti lectine irritanti e anti-nutritive, ma anti-cancro. Pro e contro, come dappertutto nel cibo naturale: sta a noi, alla nostra responsabilità e intelligenza, scegliere e valutare costi e benefici.
      Questo dilemma complicato, del resto, è tipico del mercato della società di massa, in cui a differenza dei tempi antichi tutti vogliono le medesime cose, rapidamente e al più basso prezzo possibile. L’ideale sarebbe avere un mulino di condominio o di quartiere.
      Ma perché tutta questa attenzione su un complemento secondario, neanche un vero alimento, come il germe? Perché la sua conservabilità ha conseguenze generali, molto importanti. Infatti, il germe è presente  in tutti i chicchi interi dei cereali integrali (frumento tenero, frumento duro, riso, orzo, segale, mais, farro ecc.), che producono farine, semole e prodotti alimentari integrali o rustici-tradizionali abbastanza diffusi nel Mondo (pane, pasta, biscotti ecc.), perciò ne determina valore nutritivo e proprietà protettive. Solo che all’interno del chicco integrale intatto il germe si conserva perfettamente anche per molti anni, purché il chicco non sia rotto e resti in ambiente secco e fresco. Tant’è vero che molti grani trovati in casolari abbandonati, purché riparati e al secco, sono stati ancora capaci di germogliare e dar vita a una pianta. Invece, il germe si deteriora molto rapidamente, perfino in poche ore o giorni, quando le sue cellule sono rotte, cioè il chicco è aperto, schiacciato (fiocchi) o macinato (farine e semole) o comunque spezzato. E addirittura è assente del tutto quando il chicco è raffinato, ovvero privato del rivestimento, perché la molitura porta via non solo la crusca, ma anche il germe.
      E c’è una grande differenza tra germe di grano mancante (cereali raffinati) che ovviamente non protegge né dà vantaggi, ma neanche si ossida, e germe di grano esistente ma ossidato, cioè irrancidito (cereali integrali abbandonati in ambienti umidi, farine e semole lasciate all’aria, oppure germe di grano estratto lasciato per mesi in ambienti caldi, umidi e luminosi), che non offre più i grandi vantaggi protettivi e nutrizionali di quello fresco e integro, ma produce nell’organismo pericolosi radicali liberi.
      Qui si apre un mare di problemi e conseguenze. Pensiamo solo al diverso valore nutritivo di due diverse farine “integrali” di grano tenero che troviamo esposte nei luoghi di vendita, apparentemente simili per composizione. Una farina integrale, a basso prezzo (anche 60 cent.), acquistata nei supermercati discount, presumibilmente fatta di farina raffinata, cioè bianca, 00 oppure 0, quindi priva di germe di grano, a cui è stata aggiunta crusca: non avrà nessuna proprietà protettiva da vitamina E. Un’altra farina integrale, apparentemente simile, ma molto costosa (2 euro e più), reperibile nei negozi “bio” (dirado nei supermercati generici), sarà ottenuta invece macinando il chicco di grano integrale, quindi avrà il germe di grano presente e in teoria molta vitamina E. Però chicco e germe sono stati macinati, quindi le cellule sono state rotte e ora saranno sensibilissime all’ossidazione. La serie di domande da farsi è: quanto è vecchia quella farina, come e dove è stata conservata, il germe di grano contenuto nella farina è ancora chimicamente in buono stato o ha già gli acidi grassi polinsaturi degradati e in via di ossidazione, e infine quanta vitamina E contiene? Eh, saperlo! L’odorato, solo in parte, può aiutare. Ogni pacco di farina può essere diverso: la data di scadenza è solo un obbligo legale, e nulla dice delle condizioni di conservazione), C’è da sperare solo che  ditte e negozi più seri conservino una certa “catena del fresco” o almeno che tengono poco in magazzino perché smerciano molto.
      E, attenzione, stiamo parlando del grado di freschezza di farine o semole integrali con cui si fanno pane, torte, paste e biscotti integrali, spesso anche “bio”, prodotti venduti a caro prezzo e nell’immaginario collettivo ritenuti sani, genuini, addirittura salutari. In quanto al germe, da solo, è addizionato a numerosi prodotti alimentari salutistici, dietetici e biologici, tutti a caro prezzo, per bambini e adulti. Sarebbe grave se per il trattamento al calore del germe aggiunto a una farina raffinata o a un prodotto alimentare, oppure per l’ossidazione dei grassi a causa d’una trasandata conservazione in ambienti caldi delle farine integrali, vitamina E e acidi grassi fossero carenti o degradati.
      Infatti, allarma per analogia, che diversi studi tossicologici ed epidemiologici abbiano attribuito proprio al deterioramento degli acidi grassi polinsaturi dei cereali, sia pure su individui a ridotte difese immunitarie (attribuite ad alimentazione carente: a causa della povertà in Africa, a causa dell’alcol in eccesso in Veneto) e con uso prevalente di polente di granturco, maggiori rischi di tumori all’apparato digestivo.
Naturalmente, sono casi particolari. In una dieta normale, su individui sani e soprattutto informati e intelligenti (cioè capaci di seguire ogni giorno una dieta ricca di sostanze anti-ossidanti e protettive) questo problema sarà neutralizzato o molto ridotto. Ma il ragionamento serve a dimostrare che la conservazione delle sostanze grasse è fondamentale per la salute dell’uomo, e che la lotta tra ossidanti e anti-ossidanti, con la breve vita della stessa vitamina E, il primo degli anti-ossidanti dei grassi, opportunamente messa da madre Natura in semi oleosi e chicchi dotati di germe, in condizioni estreme (calore prolungato, luce, ossigeno, rottura delle cellule e conseguenti attività enzimatiche ecc.), coinvolge non solo il germe del grano integrale estratto e isolato, ma anche tutti i chicchi interi dei cereali integrali e i loro prodotti derivati.
      Sì, però, oltre a fibre e polifenoli, il germe è fondamentale in un’alimentazione naturale fondata com’è giusto sui cereali integrali. Ma, labile e delicato com’è, possiamo “capire”, senza condividere, i produttori sbrigativi e pigri che ieri a causa di parassiti e roditori (ghiotti di germe), oggi con le nuove conoscenze sulla degradazione del germe e sui vari tentativi di ritardarla, sono ricorsi in massa ai cereali raffinati, che non pongono problemi di conservazione, parassiti, ossidazione e radicali liberi. Però, neanche nutrono bene, né prevengono, anzi causano nuove, gravi, malattie di massa, e con ben altri rischi epidemiologici. Confusi? E’ la Natura, bellezza…
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RIFERIMENTI
VALERIO N., L’Alimentazione Naturale, Mondadori, Oscar Manuali, Milano 1980 (nuova ed. 1992, rist. 2001), pp.630.

GELMEZ N, KINCAL NS, YENER ME. Optimization of supercritical carbon dioxide extraction of antioxidants from roasted wheat germ based on yield, total phenolic and tocopherol contents, and antioxidant activities of the extracts. The Journal of Supercritical Fluids 48, 3, April 2009, 217–224.
SRIVASTAVA AK, SUDHA ML, BASKARAN V, LEELAVATHI K. Studies on heat stabilized wheat germ and its influence on rheological characteristics of dough. European Food Research and Technology January 2007, 224, 3, 365-372.
MORAN ET SUMMERS JD, BASS EJ. Heat processing of wheat germ meal and its effect on utilization and protein quality for the growing chick: toasting and autoclaving. Cereal Chem 1968, 45, 304-318.
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(1) Questa tabella di confronto – con dati FAO – tra gli aminoacidi delle proteine del germe di grano e quelle della carne è una curiosità scientifica, qui inserita per fedeltà alla voce originale nel libro. Riprende un tipico ragionamento dei naturisti del Novecento: dimostrare la buona qualità (il “valore biologico”) delle proteine vegetali del germe. Ma pur essendo vera, non ha grande valore pratico, perché i due alimenti non sono sovrapponibili: il germe di grano isolato è un complemento naturale che va consumato solo in piccole quantità (cucchiaini o cucchiai) e quindi non può essere assunto per raggiungere una prefissata quota proteica. Ben altre, come spiega lo stesso articolo, solo le virtù del germe.

(2) Il germe di grano era l’integratore preferito del grande campione di ciclismo Fausto Coppi.

AGGIORNATO IL I NOVEMBRE 2016

sabato 11 ottobre 2014

PATATA. Salutare (anche con la buccia), purché cotta e condita in modo corretto.

sliced baked potatoRiportiamo qui integralmente, con l’aggiunta di una nuova tabella moderna, la voce Patata dello “storico” manuale enciclopedico di Nico Valerio, L’Alimentazione Naturale, Mondadori, Milano 1980, ried. 1992 (rist. con correzioni 1997-2001), pp. 372-378. E’ una voce in gran parte ancora valida, anche se rispondente ai canoni della divulgazione degli anni Ottanta e inizio Novanta, quando ogni riferimento dettagliato a studi scientifici era malvisto da pubblico ed Editori (e gli studi affidabili e controllati cominciarono a diffondersi solo dopo quella data). Perciò, oggi l’autore scriverebbe una voce molto diversa. Non solo, ma pur essendo personalmente goloso di patate, vista l’attuale fissazione di bambini e giovani per chips e patatine fritte, ed essendo inquietanti i dati sull’alto indice glicemico della patata in generale, a causa del suo particolare amido (più o meno pari allo zucchero), come si vede in un articolo dedicato, oltre alla sua capacità di assorbire i grassi, mette in guardia dal consumo eccessivo di patate chiunque, specie le persone a rischio metabolico. Ma anche i sani – è un nostro consiglio – non dovrebbero mangiare patate più di 1-2 volte a settimana, meglio al forno, stufate o bollite che fritte. Del resto, qualunque cereale integrale (chicchi, fiocchi, pasta, pizze, pane) o legume può egregiamente sostituire la patata, ed è anzi migliore anche dal punto di vista metabolico, nutritivo e preventivo.

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«La patata (Solanum tuberosum) è un alimento recente per l'Europa. Importata a Genova, attraverso la Spagna, dal carmelitano Nicolò Doria verso il 1585, è coltivata qua e là sporadicamente, soprattutto per l'alimentazione del bestiame. Ancora nel 1745, Federico II re di Prussia deve minacciare tre mesi di carcere ai contadini che si rifiuta­no di coltivare e di mangiare kartoffeln; mentre l'agronomo Parmentier in Francia, alla fine del Settecento, è costretto a ricorrere allo stratagemma della vigilanza armata attorno ai primi campi di patate (solo diurna, però) per spingere i contadini a rubarle di notte, nella convinzione che si tratti di una coltura preziosa. E così, solo nell'Otto­cento questo tubero moderatamente fornito di amido si diffonde ovunque in Europa.

Patate composizione per metodo cottura. Tabella (NV 2001)

«Perché tante resistenze? Perché molti medici ritenevano la patata un cibo malsano, se non addirittura velenoso. E forse non avevano tutti i torti. I tuberi d'allora, infatti, erano più ricchi di solanina (l'al­caloide presente nell'intera pianta) di quelli prodotti dalle varietà mo­derne. La patata, comunque, viene consumata da secoli senza che mai si siano verificate gravi intossicazioni di solanina, che oggi contiene solo in tracce: 0,001-0,002 mg per 100 g nel tubero ben conservato, cioè da 10 a 20 mcg per 1 kg; solo nei germogli può arrivare allo 0,04%, come riporta Pedretti. In tali minime percentuali, anzi, la so­lanina sembra comportarsi da blando spasmolitico, rilassando i mu­scoli doloranti e contratti, e il sistema nervoso.

Patata con buccia in spicchi al forno senza olio «Grazie alle tracce del suo "veleno", perciò, la patata potrebbe avere effetti rilassanti, legger­mente ipnotici, utili nelle nevralgie e nell'insonnia. È invece velenosa se l'alcaloide aumenta di concentrazione, il che si verifica nella patata esposta per lungo tempo alla luce (presenta macchie verdastre) o in quella germogliata. In questi casi il tasso di solanina supera di molto la soglia di sicurezza (20 mg). Ma, perfino in questi casi limite, la porzio­ne normale consumata da una persona non comporta danni apprezza­bili e può anzi fungere da medicina. Da parte sua, l'uomo ha selezio­nato varietà di patate sempre meno dotate di solanina (che è un mezzo di difesa naturale della pianta dai predatori), con il risultato che oggi la patata è molto più attaccata dagli insetti e quindi l'uomo "deve" sempre più ricorrere ai pesticidi (Ballarini).

Patate valore nutritivo (NV Alim Nat 1992-1997)

«Sgombrato ogni equivoco sulla sua dannosità, va però detto che la patata è un cibo un po' sopravvalutato nel Nordamerica e nel Nordeu­ropa, mentre è a torto sottovalutato nei paesi del Mediterraneo e in particolar modo in Italia. Passa per un alimento ricco di amidi, come i cereali, invece è composto soprattutto di acqua (anche l'80%), mentre di amido ce ne sono solo 16,4 g (13,7 g nelle patate novelle). Non può sostituire a lungo i cereali - si sostiene - perché è carente di proteine (appena 2,1 g, rispetto ai 12 g del grano tenero e agli 8 g del pane), ol­tretutto di scarso valore biologico. In una dieta prolungata, quindi, dovrebbe essere integrata da alimenti ricchi di proteine complete (lat­te, uova ecc.) e da molti vegetali freschi (fibre alimentari). In realtà l'uso popolare della patata come sostituto del pane e dei cereali ha qualche fondamento nutrizionale, se si guarda alla composizione reale dei cibi cotti.

«Non deve trarre in inganno la grande quantità di acqua di cui è ricca (78,5 g, più o meno come gli altri ortaggi), in confronto agli appena 16 g di amido e ai 2,1 g di proteine. I suoi concorrenti ce­reali, infatti, che hanno appena 10 g di acqua (frumento e riso), molto amido e una discreta quantità di proteine quando sono secchi e crudi, con la cottura in acqua si idratano e pesano molto di più. Così, un piat­to di pasta cotta e scolata non ha certo 72 g di amido e 10 g di proteine per 100 g di peso, ma molto meno: circa 27 g e 3,5 g per ogni 100 g. La patata, invece, dopo la cottura al vapore ha un bilancio idrico in pa­reggio: 100 g di patate crude diventano più o meno 100 g di patate cot­te, con la stessa proporzione di amido e proteine.

«Il contadino d'un tempo, perciò, aveva ragione. In pratica, un piatto abbondante di pa­tate cotte può sostituire in buona parte il pane, la pasta e gli altri ce­reali, anche se ha un po' meno amidi e proteine. Insomma non è affat­to un cibo energetico, dato che 100 g di patate forniscono solo 79 kcal, bensì un cibo leggero e poco nutriente (più di 4 volte meno energetico dei fiocchi d'avena), anche se contiene discrete quote di vitamine B, più o meno come il pane (tra cui 2,5 mg di PP, acido pantotenico e aci­do folico, cioè B5 e B9). Questo però la avvantaggia enormemente co­me alimento per gli obesi, per chi è a dieta e per i diabetici. Ha potas­sio (570 mg), calcio (10 mg), fosforo (54 mg), magnesio (27 mg), zol­fo, cloro, manganese, ferro (0,6 mg), piccole quantità di vitamina A (3 mcg), C (15 mg), E e K (0,6 mg). Ha così poco sodio (0,8-7 mg) che è usata nelle diete senza sale per cardiopatici e sofferenti di edemi (Seiler).

«L'uso terapeutico della patata è collegato al potere di antiacido gastrico che ha il suo succo fresco. In caso di gastriti e di ulcera gastrica, regrediscono i sintomi e si normalizza il pH gastrico anche dopo la ces­sazione della cura. La dose è mezzo bicchiere di succo fresco di patata cruda, 4-5 volte al giorno per un mese (Pedretti). Somministrando du­rante i pasti da 200 a 500 cc di succo di patate crude centrifugate, Ma­gerl ha osservato una netta azione inibitrice - dovuta alla solanina - sulla secrezione gastrica e sullo spasmo del piloro. In tal modo è riu­scito a vincere l'iperacidità di stomaco, anche nelle forme più gravi (Alessandrini). Il suo succo è anche diuretico, emolliente, calmante delle mucose digestive, antispasmodico, e perciò indicato anche nelle dispepsie, nei disturbi di fegato e nella litiasi biliare, nella stipsi, nella glicosuria e nel diabete. Non a caso la patata è stata usata da Collip per gli estratti ipoglicemizzanti.

«Secondo un'altra tesi, riferita da Car­per, la patata avrebbe al contrario un alto "indice glicemico", tale cioè da innalzare rapidamente il livello della glicemia e dell'insulina, con rischio evidente per i diabetici. I ricercatori hanno scoperto che la pa­tata bianca, specialmente cruda, è ricca di inibitori dell'enzima pro­teasi capaci di contrastare alcuni virus e agenti cancerogeni. Nella pol­pa e soprattutto nella buccia è presente l'acido clorogenico, un polife­nolo che sembra prevenire le mutazioni delle cellule che originano il cancro. Una équipe dell'Università statale della Florida ha infine isolato nella buccia sostanze ad attività antiossidante che potrebbero neutralizzare i temuti radicali liberi, che sono all'origine di numerose malattie degenerative (compreso il cancro).

«Il tubero cotto ha, ovvia­mente, un'attività più blanda: arrosto (senza grassi) o bollito, intero o in purea, è utile nelle diarree, dispepsie e denutrizione, artrite, obesi­tà e diabete. La patata lessa conserva l'azione diuretica, grazie alla sua composizione idrosalina (eccesso di potassio e scarsissimo sodio). Nelle stitichezze ostinate, quando tutti gli altri lassativi si sono rivelati vani, 5 giorni di dieta esclusivamente di patate (bollite, al forno o in purea; ma non fritte), mangiate a volontà e sempre con tutta la buccia - mai meno di 2 kg al giorno - hanno un effetto sicuro, secondo il die­tologo A. Lodispoto. Non si soffre la fame, diminuisce il senso di gon­fiore e di peso intestinale, aumenta la diuresi perché il rapporto potas­sio-sodio è favorevole al potassio, viene stimolata la contrazione della muscolatura liscia intestinale (ancora grazie al potassio), infine è faci­litata l'eliminazione del residuo fecale.

«La patata nasconde una serie di sostanze naturali, oltre alla solanina di cui si è già detto, che influenzano in modo imprevedibile la nostra nutrizione. Ci sono, innanzitutto, delle antitripsine, cioè degli enzimi che inibiscono i due più importanti enzimi digestivi delle proteine: la tripsina e la chimotripsina. Una patata cruda da 100 g neutralizza 130 mg di tripsina, ma una porzione di patate cotte (200 g) ne inibisce solo 60 mg (Santarius e Belitz). Queste antitripsine però, come quelle dei legumi, hanno dei vantaggi: non solo riducono il carico di azoto che grava sul fegato, ma riducono anche le fermentazioni intestinali per­ché agiscono in modo favorevole sulla flora batterica simbiotica, come sottolinea F. Contaldo, docente di scienza dell'alimentazione all'Uni­versità di Napoli. In tal modo, però, diminuisce la quantità di vitami­ne prodotte dall'organismo.

«La buccia della patata, poi, contiene un potente inibitore dell'enzima pseudocolinesterasi, regolatore del si­stema nervoso dell'uomo e degli animali (Motulsky), il che rivela un altro evidente mezzo di autodifesa della pianta: il possibile innesco di turbe nervose. Questo enzima - è curioso - si trova ancora in abbon­danza non solo negli insetti possibili predatori della patata, ma anche negli uomini europei che, come si è detto, consumano il tubero solo da due secoli.

«Il familiare tubero, discretamente dotato di vitamina C, possiede un enzima (ascorbasi) con attività antivitaminica che trasfor­ma l'acido ascorbico o vitamina C in altri composti non utili (Tauber). Non mancano ormoni vegetali con attività estrogena (estrone, alfa-­estradiolo, equilenina ecc.), come ha scoperto Bickoff; i fitati o acido fitico (sostanze chelanti e antisaline, vedi in Attività extranutrizionali) che assorbono il 35% del fosforo della patata con 14 mg (Gontzea); nelle patate mal conservate alcuni funghi, come il Fusarium javani­cum, che producono le temibili aflatossine cancerogene (Ferrando).

«Insomma, le voci popolari e le tesi "scientifiche" del Seicento e del Settecento secondo cui la patata era un cibo che mangiato in eccesso poteva dare denutrizione, malattie e pazzia (residui culturali ancora presenti tra i seguaci di Steiner e i macrobiotici), potrebbero non esse­re state del tutto infondate, soprattutto se si considera che le prime patate mangiate in Europa, più vicine alla specie selvatica, erano - co­me si è detto - presumibilmente più ricche di sostanze antinutritive e insetticidi naturali (Ballarini). Le patate si consumano da secoli senza disturbi, segno che la selezione genetica, le quantità normali, la fre­quenza nel consumo, le tecniche di preparazione gastronomica, le in­terferenze dei condimenti antibiotici (per esempio l'aglio e il prezze­molo), le interrelazioni con gli altri alimenti di un pasto misto e di una dieta variata, e in ultimo le difese del nostro organismo, neutralizzano un eventuale pericolo, tutt'al più al prezzo di una diversa qualità e di una minore efficacia dell'alimento. E questo si potrebbe dire di tutti gli alimenti naturali.

«Purché non fritta e non tagliata a fette o sbucciata prima del lavaggio o della cottura (perché così perderebbe vitamine e sostanze nutri­tive), la patata è tutto sommato un ortaggio dignitoso e gustoso. Va cotta al forno o a vapore, ma sempre intera e con tutta la buccia, an­che se questo comporta un piccolo rischio ulteriore (vedi oltre). Va mangiata sempre con tutta la buccia, a fette, con olio, prezzemolo, aglio, o meglio ancora nelle insalate di ortaggi cotti misti. Le patate cotte, come anche altri ortaggi, sono una coltura ideale per i microrga­nismi, vanno conservate in frigo per evitare i danni del Bacillus pro­teus. In confronto alle patate al forno, le più complete di sostanze nu­trienti e vitamine, la purea istantanea di patate e le patatine di produzione industriale, fritte o soffiate (oggi tanto in voga) forniscono quasi soltanto "calorie vuote", con una grave perdita di vitamine e sali, co­me si ricava dal rapporto Dietary goals della Commissione sulla nutri­zione del Senato degli Stati Uniti.

«Altri luoghi comuni sulla patata che bisogna sfatare sono il suo potere "ingrassante" e la sua difficile digestione, tale da provocare talvol­ta meteorismo, ovvero sviluppo di gas intestinali. Non è vero, perché la patata è povera di grassi (0,5 g) e non è certo ricca di amidi. Al con­trario, è molto digeribile, certo più dei cereali (Alessandrini), con i quali è in qualche modo concorrente sulla nostra tavola. Con la cottu­ra in acqua o meglio a vapore, l'amido delle cellule si gonfia, rompe le pareti di cellulosa e così può essere facilmente attaccato dai succhi di­gestivi. È perciò un cibo leggero, adatto anche ai dispeptici che digeri­scono faticosamente i cereali e lo stesso pane. È un alimento alcaloge­no, in quanto facilita l'alcalinizzazione del sangue nonostante la pre­senza di acido ossalico (20-141 mg). È adatta quindi per ogni stato di acidosi e per ristabilire il turbato equilibrio acido-basico, tipico dell'e­tà avanzata. La sua ricchezza di potassio ne fa un alimento adatto agli obesi e a quanti desiderano non aumentare di peso. Al naturale è mol­to digeribile. L'importante è che non venga condita con oli e grassi, se la si vuole usare come cibo dimagrante. La patata cibo dimagrante? Chi l'avrebbe detto?

«Una efficace dieta disintossicante e dimagrante è la dieta di Rosenfeld, basata su una notevole quantità di patate (1 o 2 kg al giorno) mangiate con tutta la buccia, senza alcun altro alimento. Gli effetti di­magrante sono dovuti alla capacità delle patate di provocare facilmen­te il senso di sazietà, anche se forniscono appena 1/3 delle calorie del pane integrale. Chi mangia soltanto patate non è invogliato a mangia­re altro: ottiene la totale distensione delle pareti dello stomaco. Ma il dimagrimento può accompagnarsi, se la dieta di Rosenfeld dura a lun­go, a disturbi dovuti a carenze nutritive. Per questo R. Pellati consi­glia di integrare il consumo di patate (lessate e senza sale, mangiate quattro volte al giorno) con una porzione di alimenti proteici magri, sia a pranzo che a cena, e da un frutto fresco a pasto. La dieta di pata­te è sconsigliabile nella atonia gastrica. La minore capacità di contrazione dello stomaco malato può provocare, in questo caso, una dige­stione difficile (Pellati).

«C'è anche chi afferma, superficialmente, che la patata danneggia il fegato. È vero che le patate, fritte talora con olio di scarto (snack-bar e fast food) o più volte utilizzato (cucina casalinga), danneggiano il fe­gato con l'acroleina del grasso cotto, ma non la patata senza condi­mento o appena condita con salse vegetali leggere o con poche gocce d'olio di oliva extravergine (crudo).

«Certo, il sapore delle patatine fritte è molto gradevole al palato, ed è anche vero che piace molto ai bambini. Ciò dipende un po' dallo stesso olio cotto e un po' dal processo di caramellizzazione superficia­le degli amidi della patata. Ma dal punto di vista dell'alimentazione sana la patata fritta è piuttosto dannosa per chiunque, e indigesta. Di­geribilissima, più di altri cibi, risulta invece la patata cotta sotto la cenere vicina alla brace, come si fa ancora in campagna, o anche cotta intera nel forno.

«Prima di cuocere le patate, accertarsi che non ci siano i germogli e che non ci siano parti colorate di verde: in questi casi è meglio gettare il tubero perché il tasso di solanina potrebbe essere troppo alto. Se esposte alla luce le patate possono infatti assumere un colore verde a chiazze: per questo vanno sempre consumate fresche o conservate al buio o in frigorifero».

AVVERTENZA. Questo è un articolo che ha soprattutto un valore “storico”, cioè riproduce integralmente la voce “Patata” del manuale enciclopedico di Nico Valerio, L’Alimentazione Naturale, Mondadori, Milano 1980, ried.1992 (rist. con correz. 1997), alle pagine 372-378. Ancora valido a tutt’oggi nel suo complesso, ma rispondente alle conoscenze e agli usi della divulgazione dell’epoca (all’autore non era permesso citare studi scientifici e aggiungere note, come invece oggi è solito fare), non aggiornato alla luce delle attuali conoscenze. P.es. allora non si dava troppa importanza al metabolismo degli amidi e all’indice glicemico. Perciò questo articolo va integrato almeno con un nostro recente articolo sul problema dell’amido della patata e i suoi polimeri (amilosio e amilopectina), il loro diverso comportamento, l’indice glicemico, la elevata richiesta di insulina, e i rischi metabolici di un suo consumo eccessivo. 

IMMAGINI. 1. Patata cotta al forno con la buccia, intera ma tagliata a fette parzialmente (non fino in fondo), il che permette una più veloce cottura, dà modo di interporre erbe aromatiche (rosmarino, alloro, aglio, santoreggia, timo ecc.) e di migliorare la presentazione nel piatto. 2. Patate con la buccia tagliate in spicchi e cotte al forno senza olio. I condimenti verranno aggiunto a crudo sul piatto. 3. La tabella mostra quanto incide il metodo di cottura sulla composizione della patata. I metodi di cottura di gran lunga più sani per le patate (minori perdite di nutrienti, nessuna aggiunta di grassi in cottura) sono:  la bollitura con tutta la buccia e, soprattutto, la cottura al forno con tutta la buccia. Quest’ultimo metodo non è presente purtroppo nelle tabelle di composizione rese pubbliche dall’ente nutrizionistico, che spesso rinuncia a “educare” e indirizzare i cittadini, limitandosi ad analizzare passivamente quello che consumano.

AGGIORNATO IL 22 MARZO 2015