domenica 30 agosto 2015

PORTULACA squisita nelle insalate e ricca di Omega-3, ma non quelli giusti.

Con tanti argomenti importanti da trattare, non ci saremmo occupati di questa effimera erba "grassa" spontanea che spunta all’improvviso ogni estate, perfino accanto ai portoni delle città, se i soliti "ignoranti attivissimi” che riempiono centinaia di siti web di sciocchezze, gravi imprecisioni e semplificazioni infantili su “cibo sano”, erboristeria, medicina "alternativa" e cucina copiandosi tra di loro senza capire, senza verificare, e senza citare la fonte scientifica (tanto, non saprebbero distinguere il vero dal falso), non ci ossessionassero da anni con questa storiella della "portentosa piantina grassa ricca degli Omega-3 del pesce”. Ma ormai abbiamo capito il trucco: è solo per attirare “clic” sui loro siti e guadagnare in pubblicità. Non solo per le solite giornaliste, ma anche per molti speculatori il cibo e la natura sono considerati argomenti “belli” e “leggeri”, quindi o "facili" o adatti ai creduloni, in cui chiunque può inventare un po’ di balle riferite per sentito dire, insomma un pretesto per riempire una pagina e far soldi.
      Ecco, qui di seguito, la piccola voce “Portulaca”:  15 righe nella 2. edizione del mio manuale di 760 pagine L’Alimentazione Naturale, Mondadori Oscar, 1992. Era tutto quello che si sapeva o si riteneva sufficiente sapere negli anni 80 e agli inizi dei 90. E, invece, guardate quanto è lunga e piena di riferimenti e particolari, la nuova voce che oggi pubblicherei dopo averla studiata con i criteri odierni. E badate, si tratta di un'erbetta spontanea del tutto secondaria, che dura poco più d'un mese, ben inferiore a ortica e malva, per citare altre erbe "antropofile". 
      Figuratevi, allora, se tanto mi dà tanto, quale spazio oggi dovrebbero avere gli alimenti più importanti studiati e divulgati bene, come si pretende oggi, alla luce di migliaia di nuovi e precisi studi scientifici, che non esistevano negli anni Ottanta !. Questo – lo dico ai miei affezionati lettori che aspettano per miracolo una riedizione aggiornata del Manuale, senza porsi il problema delle dimensioni della ricerca oggi – dimostra l’impossibilità oggi di un manuale serio che comprenda tutti gli alimenti in un solo volume, e perfino in due. 
   Ma ecco la scarna voce "Portulaca" nella II edizione della Alimentazione Naturale (1992), seguita dalla versione aggiornata che avrebbe oggi:

PORTULACA (Portulaca oleracea). Somiglia a una pianta grassa. Un tempo coltivata e usatissima, oggi spontanea e poco usata. Ottima in insalate cruda e cotta. Ricca di mucillagine e principi attivi. Poiché re­siste al caldo, in Oriente si è tornati a coltivarla. Contiene ben 783 mcg di vitamina A, 66 mg di C e 162 mg di magnesio. Ha un singolare primato: è il vegetale più ricco di quei particolari acidi grassi polinsa­turi noti come "Omega-3" (4 mg/g). Ma si tratta di alfa-linolenico e non degli EPA e DHA, gli unici preventivi dell'infarto e dell'eccesso di colesterolo, presenti solo in alcuni pesci (Manuale di terapie con gli alimenti). In Grecia, però, questa qualità di portulaca è stata sfruttata trasformando questa gustosa erba grassa in mangime per polli di alle­vamento. Il risultato è stato che i grassi e le uova di polli nutriti a portulaca, come ha riferito la nutrizionista A.P. Simopoulos, hanno fatto registrare un tasso interessante di grassi Omega-3 ("New England Journal of Medicine"). [dal manuale: Nico Valerio, L’Alimentazione Naturale, Mondadori, Milano, 2.ed. 1992, p.407-408]

E ora la voce “aggiornata” per una riedizione del Manuale. Ben 255 righe al posto di 15:

PORTULACA (Portulaca oleracea e P. sativa), pop.: erba porcellana o porcacchia (dal lat. porcus = porco, cioè “erba da porci”: e mai nome popolaresco è stato tanto inadeguato per un'erba così gentile ed elegante, e di sapore raffinato).
      Piantina succulenta spontanea, dal portamento basso e strisciante (cfr. “star terra-terra come la porcacchia”, proverbio tosco-romano), con foglioline ovoidali gonfie e succulente, che cresce d’estate nei Paesi caldi, mediterranei o temperati attorno agli insediamenti umani, anche in città, rivelandosi così pianta “antropofila”, anche se più rara delle altre piante antropofile (ortica, malva, parietaria ecc.), perché evidentemente a lungo coltivata per uso alimentare o medicinale nella remota Antichità (da 4000 anni secondo il grande botanico De Candolle). Dal XVI secolo, la sua coltivazione è stata progressivamente abbandonata in Spagna, dove era disprezzata (Bouteliou 1801), ed è presumibile anche in Italia, mentre era ed è tuttora coltivata nella fredda Inghilterra, tanto che nel Seicento i cuochi di Carlo II l’aggiungevano alle insalate, talvolta mescolando le sue giovani foglie tritate con quantità doppia di lattuga, cerfoglio, fiori borragine e petali di calendula, per condirle poi con olio e succo di limone. Simile l’insalata citata negli stessi anni da Tirso de Molina, monaco e drammaturgo: "Vi aggiungerò coriandolo verde, crescione, portulaca, borragine e menta" (Hernandez Bermejo e Leon, 1994).
      Poiché resiste bene al sole, al caldo, all’inquinamento e ai terreni salini (e infatti è spesso ricca di sodio), nei Paesi carenti di verdure (Grecia, vicino Oriente, Sud America ecc.), può essere anche coltivata (P. sativa) e venduta nei mercati locali. In Italia, con l’abbondanza di verdure che c’è, non è raccolta né venduta nei mercati da secoli, se non di rado e localmente (Lazio) per il caratteristico e sempre più raro misto di verdure di campo estive (“misticanza” cruda).
      Nei tempi antichi e nell’uso popolare tradizionale anche recente è stata considerata un cibo-rimedio antiscorbutico, diuretico o anti-diuretico, e con proprietà rinfrescanti, cioè anti-infiammatorie (Leclerc), indicato nei disordini urinari, nell'acidità di stomaco e nelle gastriti, e in molti altri disturbi. Gran parte di questi usi empirici sono stati confermati, ma per lo più solo su animali (v. oltre tra gli studi sperimentali). Ricca di sali minerali, mucillagini e acidi organici, è stata ritenuta emolliente, lassativo, lenitivo di irritazioni del tratto urinario. Dioscoride aggiungeva anche l’uso come anti-infiammatorio per gli occhi e anti-dolorifico (mal di testa), febbrifugo (in succo), vermifugo e antielmintico (gli speziali del Cairo consigliavano i suoi semi). Dice anche che "riduce il desiderio di fornicare". Curiosamente, preti, speziali e perfino la fitoterapia ufficiale, ancora nell’800 (p.es., Farmacopea spagnola, 1837), la ritenevano infatti “anafrodisiaca”, facendo parte dei “quattro semi freddi” (cicoria, lattuga, indivia, portulaca), forse – indoviniamo oggi – per la presenza di norepinefrina, un precursore di adrenalina che provoca una riduzione del flusso di sangue attraverso la vaso-costrizione delle arterie principali. Nel Medioevo. Anche il grande medico ebreo Maimonide la cita (Hernandez Bermejo e Leon, 1994).
      Nell’uso gastronomico ha un piacevole sapore fresco e leggermente acidulo (ma inutile illudersi che sia solo per gli acidi organici benèfici e la vitamina C: purtroppo è per l’acido ossalico). E’ consumata soprattutto giovane cruda in insalata mista (Italia). Ma in Spagna, è mangiata in uno stadio più avanzato di sviluppo, dopo cottura. E’ stata anche utilizzata bollita e in frittate di uova, saltata in burro o fritta in pastella, aggiunta a minestre, brodi e salse. In Francia, con l’acetosa, fa parte della zuppa “della bonne femme” (brava casalinga). Sono note anche ricette di portulaca in zuppe con piselli. Il grande agronomo romano Columella nei suoi dodici Libri de Agricoltura, al libro XI, dà una ricetta per conservarla sotto aceto e sale (Hernandez Bermejo e Leon cit.).
      Ricca d'acqua (92,7%), dotata di vitamina C (66 mg/100 g (è una media internazionale; per Guil et al.1997 è molto variabile, da 27,8 a 105 mg), vitamina A (4700 mcg di beta-carotene, pari a 783 mcg retinolo-equiv.), magnesio (162 mg), calcio (160 mg), ferro (2,8 mg), fosforo (28 mg), potassio (586 mg), ma anche abbastanza sodio (46 mg), oltre a sali minori e ovviamente a proteine (1,9 g), grassi (0,4 g), carboidrati totali (3,2 g), tiamina o vitamina B1 (0,14 mg), riboflavina o vitamina B2 (0,13 mg), niacina o vitamina PP (0,6 mg), secondo le tavole "Near East" FAO. Gli acidi grassi nelle foglie fresche assommano a 15-25 mg, di cui l’alfa-linolenico (ALA), un Omega-3, è il 40%; abbondanti sono mucillagini, acidi organici, e vari altri principi attivi (Liu et al. 2000; Mohamed e Hussein 1994). Uno studio spagnolo ha trovato in totale ben 27 acidi grassi, di cui l’alfa-linolenico è il più importante essendo il 27,7-39,1% dei grassi totali, modesti come in tutte le verdure ma molto variabili: da 11,6 a 19,5%. Sono stati isolati cinque acidi organici: fumarico, aconitico, malico, citrico e ossalico. Gli ultimi due, maggioritari, contibuiscono in modo determinante al sapore agretto. Isolati anche due acidi fenolici, dotati di potere antiossidante, 3- e 5-caffeoilchinico, il primo più abbondante nelle foglie, il secondo nei rametti. Si è appurato che il potere antiossidante è massimo nelle foglie (Oliveira et al. 2009). I polifenoli totali variano (media tra diverse varietà non spontanee, ma coltivate) da 127 ± 13 a 478 ± 45 mg GAE [gallic acid equiv.]/100 g di peso fresco. In compenso è ricca di nitrati (230 mg). Il beta-carotene bleaching test dimostra che tutte le varietà sono capaci di inibire la perossidazione dei lipidi, e che questo potere non è correlato con i valori dei polifenoli totali (Lim e Quah 2007). I flavonoidi sono tra i più importanti suoi composti attivi: ne sono stati isolati finora almeno otto (Zhu et al. 2010), tra cui kaempferolo, apigenina, myricetina, quercetina e luteolina (Xu et al. 2006). Amine biogene (dopamina e noradrenalina) sono state trovate in estratti cinesi della pianta grazie alla cromatografia liquida ad alta risoluzione (Chen et al. 2003).
      Dal punto di vista organolettico è sicuramente più saporita e interessante delle abituali verdure da insalata, comprese lattuga e cappuccina, quasi prive di sapore e scarse di proprietà, ma indenni da acido ossalico. In cucina la sua vocazione tipica è cruda nelle insalate miste e nei contorni. Le foglie e i rametti più teneri, che hanno un sapore fresco e acidulo-salino, si mangiano nelle insalate miste contadine ricche di una ventina di erbe spontanee (insuperata la “misticanza” romana, sia pure nella ridotta versione estiva) o più di rado come originale contorno dei secondi piatti. Va bene anche insieme a piatti di pomodori crudi e cipolle. Ma alcuni riferiscono ricette locali in cui è stata usata conservata come sottaceto, o cotta in frittate, passata in padella, con altre verdure lesse, con patate e cipolle al forno, e perfino fritta coperta di pastella.
      Il suo interesse scientifico riguarda le sue proprietà chimico-farmacologiche, per le quali non si merita certo il nome popolare. Ha ovviamente notevole potere antiossidante (vitamina C e polifenoli). Ha mostrato in laboratorio proprietà rilassanti dei muscoli scheletrici annullando, come estratto acquoso, la contrazione procurata del diaframma, il che fa pensare all’azione dell’ossalato di potassio, che è un sale componente della pianta (Parry et al. 1993). Già nella medicina tradizionale (p.es. in Iran) era usata come anti-acido gastrico. Ora esperimenti su topi hanno confermato questa intuizione popolare: si è dimostrata efficace contro l’acidità di stomaco, come gastro-protettivo e anti-ulcerogeno gastrico, riducendo la severità delle ulcere nei topi, sia come estratto acquoso che alcolico. Nella dose più alta era efficace come il sucralfato (Karimi et al. 2004). Suoi estratti sono stati sperimentati per uso esterno nelle micosi della pelle mostrando un’interessante attività antifungina e anti-lieviti (Aspergillus, Trichophyton, Candida), che è marcata e specifica contro dernatofiti del genere Trichophyton (Oh et al. 2000). E’ anche una pianta “ecologica” capace di disinquinare un terreno. In un esperimento in California (San Joaquin Valley) si è confermato che è pianta alofila, cioè tollera bene terreni ricchi di sale e solfati, e che si comporta anche da moderato accumulatore di selenio, confermandosi un buon vegetale per il consumo umano, adatto al drenaggio di acque saline e al riuso di terreni degradati, inquinati e critici (Grieve e Suarez 1997).

Molto sperimentate le sue potenzialità antiossidanti, dimostrate su topi di laboratorio, sia misurando glutatione ridotto, catalasi, superossido-dismutasi, glutatione-reduttasi, glutatione-S-transferasi e glutatione perossidasi, sia attraverso inibizione della perossidazione dei lipidi, ossido nitrico in fegato, reni e testicoli. L’estratto acquoso di portulaca migliorava tutti i parametri, il che in teoria lascia ritenere un possibile futuro nella sperimentazione d’un impiego preventivo in malattie cardiovascolari, neurodegenerative e altre croniche causate da stress ossidativo (Dkhil et al. 2011). Un pretrattamento con portulaca del fegato embrionale di polli lo ha protetto dagli effetti epatotossici di una sostanza chimica (Sudhakar et al. 2010). Può avere effetti protettivi anche nello stress causato da carenza di vitamina (Arruda et al., 2004). Ricerche recenti hanno mostrato anche altri effetti biologico, come antidiabetico (Gong et al., 2009), rilassante dei muscoli (Parry et al., 1993), analgesico e anti-infiammatorio (Chan et al., 2000), anti-micotico (Oh et al., 2000). Su alcuni animali, a cui com’è noto è possibile la somministrazione esclusiva o in grande quantità, ha mostrato gli effetti più diversi, come anti-fertilità sugli organi riproduttivi di topi maschi (Verma et al. 1982), e perfino uno stato di debilitazione grave. In Africa uno studio su due gruppi di capre della Nubia nutrite con dosi giornaliere di 5 g/kg di peso o ad libitum ha avuto risultati disastrosi: debolezza agli arti, incapacità di stare in piedi, diarrea, poliuria, e addirittura epato-nefropatia, con alterazione di alcuni costituenti del sangue (Obied et al. 2003). Ma la biologia delle capre è ancora  più lontana dall’uomo di quella dei topi. E comunque nulla sappiamo sugli effetti nell’uomo della portulaca mangiata in abbondanza ogni giorno: forse lo sapevano i più poveri dell’Antichità.
      Ma il motivo per cui la portulaca ha incuriosito ricercatori e largo pubblico è un altro: ha il singolare primato della verdura più ricca di acidi grassi Omega-3 (da 300 a 400 mg/100 g nelle foglie fresche). Perciò in uno studio è stata data come mangime a galline di allevamento per cercare di ottenerne uova "più protettive". Il risultato è stato che i grassi del pollame e le uova di galline nutrite con portulaca hanno fatto registrare un tasso interessante di grassi Omega-3, tanto che i produttori greci li avevano furbescamente pubblicizzati come “ricchi di Omega-3” (Simopoulos e Salem 1989). Anche oggi sono vendute sul mercato europeo (e italiano), a prezzo maggiorato, uova "ricche di Omega-3". Ma la furbizia del marketing non ha avuto successo, perché è stato facile controbattere che si tratta di acido grasso alfa-linolenico e non degli EPA e DHA, gli unici acidi grassi Omega-3 ritenuti da alcuni studi preventivi dell'infarto e dell'eccesso di colesterolo, presenti solo in alcuni pesci.
      Smentii già molti anni fa, nel mio manuale scientifico-pratico (Nico Valerio, Manuale di Terapie con gli Alimenti, Milano 1995), la leggenda che la portulaca possa essere il nostro “pesce di terra” per vegetariani, ricca cioè di Omega-3 utili, permettendoci così di avere i (presunti e nient’affatto dimostrati, anzi potrebbero essere svantaggi...) dei grassi del pesce azzurro. Riservavo un’intera pagina, con studi citati, all’equivoco. Basti dire che in Grecia fu creato un allevamento di galline nutrite con portulaca, ottenendo uova definite furbamente “ricchissime di Omega-3”. Vero, legalmente e scientificamente. Peccato che l’Omega-3 della portulaca è l’alfa linolenico ALA, non i due davvero attivi EPA e DHA, i soli determinanti, che ovviamente si trovano solo nel fegato di pesci di acque fredde. Dall’ALA il nostro corpo può ricavare metabolicamente piccole quote degli altri due acidi grassi, ma non si sa se e quanto. Stesso discorso per altre fonti ricche di ALA come i famosi semi di lino (ahimè dotati di tracce del temibile acido cianidrico, mortale solo a certe dosi, per intenderci il veleno usato delle camere a gas), il medesimo delle mandorle amare, che molti vegan allegramente consumano, e in minor misura anche le noci.
      Si ricorda, al riguardo, che il polinsaturo acido grasso alfa-linolenico ALA (18: 3n-3), è il principale acido Omega-3 nell’alimentazione umana, presente soprattutto nei vegetali (dalle verdure ai semi oleosi). Il suo principale ruolo nel corpo umano è di precursore degli acidi grassi polinsaturi Omega-3 a catena lunga, ritenuti molto protettivi, come eicosapentaenoico o EPA (20: 5n-3) e docosaesaenoico o DHA (22: 6n-3 ), in quanto avrebbero una quadruplice attività, indicatissima nelle malattie cardiovascolari: anti-infiammatoria, anti-trigliceridi, anti-ipertensiva e fluidificante del sangue. Nei neonati si è visto che questi ultimi sono necessari per una rapida crescita del sistema nervoso centrale e per lo sviluppo nelle nascite premature; negli adulti, invece, le cose non sono così chiare, ed EPA e DHA – sotto forma di integratori sulla cui efficacia molto si discute – sono stati collegati da alcuni studi al miglioramento di numerose malattie cardiovascolari, renali e nervose. 
      Ma l’utilità reale dell’acido Omega-3 alfa-linolenico ALA di per sé è in realtà molto modesta. Infatti, studi generalmente accettati hanno trovato che la sua conversione nel corpo umano in Omega-3 a catena lunga (EPA, DHA ecc.), i soli efficaci, è bassissima: inferiore al 5%. E oltretutto dipende da altri fattori, tra cui la concentrazione nella dieta di acidi grassi n-6 e polinsaturi a catena lunga (Brenna 2002). Il quadro si complica ulteriormente quando si vede che nelle tabelle di composizione degli alimenti, sotto la generica definizione di "acido linolenico" non si distingue - a meno che non sia indicato, ma è rarissimo - tra acido alfa-linolenico (ALA,18:3, Omega-3) e gamma-linolenico (GLA, 18:3, Omega-6), come invece si separa nettamente negli studi scientifici. E questo genera confusione. A ogni modo anche il gamma-linolenico ha una netta attività anti-infiammatoria, che viene studiata p.es. a proposito di artriti o malattie autoimmuni.
      Perciò, ammessa pure l’essenzialità degli Omega-3 a catena lunga EPA e DHA, visto il bassissimo rapporto di conversione, occorrerebbe consumare grandi quantità di portulaca o di altri cibi ricchi di alfa-linoleico ALA per avere la ragionevole speranza di quantità adeguate degli acidi grassi protettivi. Ma purtroppo, tutte le fonti di ALA sono vegetali che non possono – per una ragione o l’altra – essere consumati in abbondanza o regolarmente, come noci e semi di lino (potere calorico, eccesso di grassi, prezzo, rischio irrancidimento, a cui si aggiunge negli ultimi l’eccessiva durezza che pretende una macinazione e la presenza di sostanze tossiche cianogenetiche) e, appunto, la portulaca (presenza effimera).
      Ma poi, questi famosi Omega-3, sia pure quella minima percentuale effettivamente trasformata in Omega-3 a catena lunga EPA e DHA, ci servono davvero in quantità? Anche questo è un punto discutibile. Sono talmente polinsaturi e instabili (non parliamo poi come integratori in capsule, spesso sofisticati e addirittura pericolosi, come hanno dimostrato varie indagini!) da ossidarsi molto facilmente producendo proprio quei radicali liberi che in condizioni ideali di laboratorio prevengono. E appunto a proposito del rischio cuore, cancro, malattie infiammatorie ecc., bisogna stare attenti anche ai grassi troppo ricchi di polinsaturi (p.es. gli oli di semi). Non è questa la sede per approfondire, ma studi critici più approfonditi oggi smentiscono addirittura la essenzialità e i benefìci spettacolari pompati da una certa ricerca legata al business nei decenni scorsi. Insomma, gli Omega-3, ammesso che facciano bene, il nostro organismo se li ricava da sé – in piccolissime quantità – dai normali cibi che mangiamo in una dieta molto variata e ricca di vegetali, se e quanto gli serve, meglio se la dieta è sana, tradizionale, dotata anche di semi oleosi, cereali integrali, verdure crude ecc.
      E anche a volerla consumare in grande quantità, se fosse possibile, ci sarebbe sempre l’ostacolo anti-nutrizionale dell’acido ossalico di cui purtroppo è ricchissima (720-1294 mg/100g), secondo una revue spagnola che riporta vari studi precedenti (Guil, cit.). Il potere chelante anti-minerale consiste in questo meccanismo: legandosi nell’organismo umano a minerali come calcio e ferro presenti nella dieta, si formano ossalati di calcio, ferro o di altri minerali che essendo insolubili impediscono l’utilizzazione biologica dei micronutrienti stessi. Nessun dramma: siamo abituati nell’alimentazione naturale (pensiamo solo ai cereali integrali e ai legumi) alla presenza delle sostanze naturali anti-nutrizionali. Questo, però, rafforza la raccomandazione di avere molto calcio e ferro (naturali, cioè non da integratori) nella nostra dieta, scontando in anticipo che una parte non sarà assimilata. Ma, a parte che la banale ortica, onnipresente e ubiquitaria (in ogni stagione e in ogni Paese) e perfino i funghi, hanno più o meno la stessa quantità di acido alfa-linolenico, perché ostinarsi su questa saporita ma effimera piantina, quando esistono molti alimenti abituali e familiari che sono molto più ricchi di ALA, come dimostra bene la nostra originale tabella (v. sopra)?
      Impossibile, perciò, riservare alla squisita portulaca una reale azione preventiva in base alla “speranza” di Omega-3 utili, vista anche la minima quantità in cui è quasi sempre consumata (si può aggiungere alle insalate miste e in pochi giorni all’anno!). Diciamo che il suo apporto nutritivo realistico si risolve in un'ulteriore presenza di sostanze antiossidanti, che si aggiungono a quelle che devono essere comunque presenti ogni giorno e in abbondanza in una dieta sana e naturale, e soprattutto in un piacevolissimo sapore acidulo che vivacizza le pietanze come contorno o componente di insalate. NICO VALERIO

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AGGIORNATO IL 30 MARZO 2022