sabato 10 luglio 2010

ACQUA. Che non sia oligominerale, ma ricca di calcio, magnesio e residuo fisso.

DALLA SORGENTE. Gli acquedotti che fanno arrivare l’acqua da bere in casa o alle fontane pubbliche (acqua di rubinetto) sono di due tipi: di sorgente o di falda freatica.
      Del primo tipo sono quelli costruiti dagli antichi Romani, eredi degli Etruschi in maestria idraulica, che portano per centinaia di chilometri al diretto consumo dei cittadini le acque di sorgenti o di montagna o delle risorgive ai piedi dei monti. Opere d’arte così grandi, complesse, geniali e utili, che Frontino, sovrintendente delle acque sotto Nerva e Traiano, se ne vantò con un bellissimo e orgoglioso paragone: «Una tale quantità di opere che trasportano così tanta acqua, comparala, se vuoi, con le oziose Piramidi o con le altre inutili anche se famose opere dei Greci!» (1). Acqua purissima, quindi, e per tutti. E Roma è tuttora l’unica grande città al Mondo ad avere il privilegio di avere i rubinetti collegati alle sorgenti, a beneficio di oltre metà della sua popolazione.
Questa è una situazione rara e fortunata.
      Ma la regola è generale: se le migliori acque di acquedotto in Italia, anziché essere clorate fossero purificate con altri mezzi (v. oltre) e imbottigliate, darebbero dei punti – dati di analisi alla mano – alla maggior parte delle cosiddette “acque minerali”, che spesso “minerali” non sono. La legge del resto, già oggi permette l’acqua di acquedotto imbottigliata (DL 2 febbraio 2001 n.31) dopo declorazione: è identificabile dall’etichetta come “acqua potabile”. E’ quella che si trova nei boccioni self-service da ufficio, sulle navi, più di rado nei supermercati. E costa molto meno. Dividendo il costo della bolletta media per le migliaia di litri che una famiglia media consuma (anzi, spreca), un litro d’acqua di sorgente è quasi gratis.
      Qualcuno ha calcolato che con 40 centesimi, il costo di una bottiglia “minerale” medio-alta, si hanno centinaia e centinaia di litri. Se l’ottima acqua di rubinetto costasse di più, forse sarebbe meglio considerata dal cittadino medio, per ignoranza ormai terribilmente consumista e snob, che spreca preziosa acqua di sorgente o comunque di alta qualità, lasciandola scorrere a vuoto, o per lavare l’automobile e innaffiare il giardino, ma poi acquista “per bere” un’acqua spesso di qualità inferiore a quella del proprio rubinetto, pagando una sola bottiglia di mediocre “minerale” quanto paga centinaia di litri di ottima acqua di acquedotto. Chi ha detto che l’uomo è un essere razionale e intelligente?

DALLA FALDA O DAL POZZO, DAL FIUME O DAL LAGO. Ma per la stragrande maggioranza dei casi gli acquedotti sono del secondo tipo. In questo caso l’acqua di rubinetto viene raccolta molto più in basso, in zone antropizzate e potenzialmente inquinate di pianura, attraverso pozzi e altre trivellazioni che raggiungono la sottostante falda freatica, oppure direttamente convogliando l’acqua di laghi, o fiumi, perfino nel loro corso avanzato, talvolta addirittura alla fine del loro percorso. Oppure i tecnici mescolano sapientemente acque di sorgente e acque di falda in un intrico altamente tecnologico e ormai computerizzato di condotte e vasche di decantazione che garantisce qualità costanti, igiene perfetta e rischi ridotti al minimo, assolutamente paragonabili, se non migliori, di molte acque minerali” in bottiglia. Come nella maggior parte delle città più progredite del Mondo, compresa la Pianura Padana e Milano. A Milano il Sindaco ha avuto la buona idea di impiantare speciali chioschi ultra-tecnologici che forniscono gratis ai cittadini la cosiddetta “acqua del Sindaco” anche in versione gassata, per dissuadere i cittadini dal consumismo dell’acqua commerciale in bottiglia, far risparmiare alle famiglie una bella somma annuale (1000 litri costano al cittadino solo 60 centesimi in tutto!), ed evitare alla città anche un bel po’ di rifiuti (per lo più di plastica).

Rubinetto oer l'acqua (disegno)LE ROCCE D’ORIGINE E I TERRENI ATTRAVERSATI. E’ chiaro che soprattutto in tutti questi casi in cui l’acqua non è tutta di sorgente, più i tubi sono nuovi e integri, più si escludono rischi di contaminazioni provenienti dal terreno. Perciò, la bontà dell’acqua fornita da un acquedotto dipende strettamente dalla qualità delle condotte, dalla modernità degli impianti di depurazione, dalle analisi costanti e dai controlli. Solo se le condotte sono vecchie, rotte o con giunzioni non a perfetta tenuta, la qualità dell’acqua di rubinetto dipende dalla natura dei terreni attraversati, dalla vicinanza di fognature rotte, da eventuali rifiuti industriali (p.es, la persistente trielina con cui certi stabilimenti un tempo sgrassavano i metalli gettandola poi nei normali scarichi idrico-sanitari…), dai residui di antiparassitari immessi nel terreno. 
      Ma non solo l’acqua dei pozzi di pianura e della falda freatica, anche la migliore acqua possibile, quella di una ipotetica sorgente montana purissima, è sottoposta a tale rischio “di passaggio”. Senza contare le perdite: in Italia si calcola che circa il 30-40% di ottima acqua da bere si disperda nel terreno per rotture e furti. Già nell'antica Roma, riferisce Frontino, c'era una legge che puniva la rottura o manomissione dei tubi (4). Se le condotte fossero nuove, se i tubi fossero intatti o riparati, se cioè tutti i Governi non facessero mostra di fare Grandi Opere elettorali, ma anche di incentivare e sovvenzionare le utili, piccole quotidiane, opere sotterranee di manutenzione che nessuno vede, non ci sarebbe bisogno di purificare l’acqua col cloro, e quasi nessuno berrebbe l’acqua in bottiglia. Perché l’acqua naturale degli acquedotti e delle falde controllate è in Italia ottima o buona, in media. In rari Paesi poveri d’acqua ma ricchi di moneta – perché il processo costa molto – conviene ricorrere alla desalinizzazione dell’acqua di mare, ricavandone anche sale. E’ il caso d’Israele, di alcuni Paesi Arabi e di altre zone aride ricche.

CONTROLLI SEVERISSIMI SULLE ACQUE D'ACQUEDOTTO ("DI RUBINETTO"). Le leggi nazionali ed europee ormai impongono controlli severissimi alle acque di acquedotto (cioè di rubinetto), molto più controllate di quelle “minerali”. Cosicché tutti i cittadini hanno la possibilità di avere sempre sott’occhio, la composizione delle acque di rubinetto italiane in una utilissima tabella (1) dettagliata che passa in rassegna i capoluoghi di provincia, i minerali e i gas disciolti nell’acqua che bevono. Possono così rendersi conto di numerosi parametri, tra cui le quantità di calcio e magnesio contenute, e anche se l’eventuale presenza di metalli e minerali dannosi e sgraditi supera o no la soglia di attenzione o di rischio. Le acque attraversano prima di essere incanalate strati profondi di roccia e quindi assorbono i minerali della roccia, così come quelle di falda, pur lentamente filtrate dai diversi strati del terreno. 
      Ecco come si spiega perché in alcuni acquedotti ci possano essere tracce anche di arsenico e uranio, cadmio e cromo, alluminio, fluoro e altro, ma, in minime quantità – tranne casi rari – perché, come detto, i limiti di legge per le acque di acquedotto sono o più severi o più osservati di quelli per le acque in bottiglia (commercialmente note come “acque minerali”), che per certi composti addirittura non hanno limiti, come scrive il direttore di Le Scienze, Marco Cattaneo. Ma in tutti gli altri casi, cioè la stragrande maggioranza degli acquedotti italiani, l’acqua di rubinetto è ottima, e non è proprio il caso di criminalizzarla ricorrendo a costose acque in bottiglia spesso di valore del tutto analogo, se non peggiore. Anzi – auspica Cattaneo – per i limiti e i controlli “sarebbe opportuno rivedere le normative in materia, in modo da allineare le acque minerali alle acque che sgorgano dai rubinetti di casa”.

PH E REAZIONE ACIDO-BASICA. Tra le tante curiosità che possono essere controllate nella tabella, anche il valore di pH, che denota la reazione acido-basica, in pratica la alcalinità delle varie acque, che risulta dall’equilibrio tra i minerali alcalini (p.es. i bicarbonati) e i gas disciolti (soprattutto acido carbonico, ottenuto dalla soluzione in acqua di CO2). Ma è un non-problema, visto che a differenza delle acque minerali, tutte le acque di acquedotto italiane sono alcaline o basiche in quanto a pH. Il pH neutro infatti è 7, e hanno reazione alcalina in provetta tutti i valori più alti (quelli, appunto, delle acque di acquedotto visibili nella tabella, che hanno un pH che va da poco più di 7 a poco più di 8). Del resto anche il pH del sangue e dei nostri liquidi organici tende all’equilibrio. Ma per gli acquedotti è sempre meglio in teoria avere acque con pH basso: le acque di montagna, più pure, più naturali, meno inquinate o trattate, hanno valori di pH più bassi. Il massimo di valore pH alcalino (8,6) degli acquedotti italiani è toccato da quelli di Pescara, Monza-Brianza e, curiosamente, Palermo.

RISPOSTA AL RISCHIO DI INFEZIONI. Ma se l’arsenico riguarda pochissime acque, il rischio infezioni, se le tubazioni sono lesionate, le riguarda tutte.  In Europa fino agli anni 50 le infezioni intestinali, spesso mortali, erano numerose tra i bambini, come oggi nei Paesi non sviluppati. Questo era dovuto all’acqua e agli alimenti inquinati da batteri. Fu perciò vista, giustamente, come una misura civile e progressista la sanitarizzazione delle acque, imposta con leggi nazionali e poi resa più severa, forse troppo (l’Europa non è l’India) dall’Unione Europea. Così, però, se cessarono le infezioni, grazie ad una maggiore igiene generale, non certo solo grazie alle norme anti-batteri nelle acque, furono rovinate anche le acque migliori per cui l’Italia andava famosa. Tipico della società di massa: anziché risolvere i problemi, le cause, si accetta l’inquinamento esistente come “normale”, propinando "medicine" (il cloro), dando a tutti un prodotto poco naturale, anche se "non eccessivamente dannoso". Cioè l’uguaglianza ad un livello più basso. Non sarebbe stato più razionale rifare gli acquedotti più rovinati e fare manutenzione sugli altri, metro per metro? Avremmo speso molto meno, e oggi molti cittadini continuerebbero ad avere la vera acqua di sorgente in casa.

LA CLORAZIONE. Invece, che accade? Si cominciò nel 1913. E oggi in quasi tutti gli acquedotti che portano acqua potabile alle città, l'acqua viene disinfettata con ipoclorito di potassio o di sodio che rilascia cloro nascente, gas dal caratteristico odore pungente altamente ossidante. L'ipoclorito di sodio è uno dei più efficaci, economici e pratici disinfettanti esistenti: distrugge batteri, spore, funghi e virus, senza essere tossico in modo persistente, una volta evaporato il cloro. La comune candeggina o varecchina, sbiancante, si ottiene con concentrazioni più alte di ipoclorito. La amuchina con cui gli esploratori tentano di potabilizzare le pozzanghere e gli stagni, o di lavare frutta e verdura nel Sud-est del Mondo per evitare gravi infezioni intestinali, altro non era in origine che economicissima candeggina diluita. Ebbene, si riteneva finora che l’ipoclorito, per la semplicità della sua formula chimica (NaCLO per l’i. di sodio), non creasse nessun problema per la salute dell’uomo: infatti, evaporato lentamente il cloro, nel liquido restano in teoria solo acqua e tracce di sodio o di potassio. In realtà, si è visto che le acque clorate sono dannose sul piano epidemiologico. In esperimenti rimasti famosi si vide che dando ai polli acqua clorata al posto di quella non clorata, gli animali si ammalavano di arteriosclerosi in pochi mesi (Price JM., Coronary / Cholesterol / Chlorine. Pyramid, New York 1969).

COME TOGLIERE IL CLORO? NON E' FACILE. Se l’acqua d’acquedotto è, come quasi sempre, batteriologicamente pulita, cioè se il cloro non si è combinato con le sostanze organiche, esistono due modi per eliminare il cloro. Uno passivo e l’altro attivo. 

Metodo passivo (molto lento e non sicuro). Lasciare che il cloro nascente che proviene dalla soluzione di ipoclorito si degradi alla luce ed evapori all’aria (è un gas, e quindi tende a liberarsi dall’acqua emergendo in superficie). Basta lasciare l’acqua clorata non in una bottiglia, per quanto aperta, ma in una caraffa dall’ampia imboccatura (l’ideale sarebbe un contenitore più basso e più ampio possibile), a temperatura ambiente, mai in frigorifero. Ma l’operazione potrebbe richiedere molto tempo, anche numerosi giorni. Nel frattempo, specie in estate e in ambienti inquinati o frequentati da insetti, non sarebbero garantite le condizioni igieniche dell’acqua, che come è noto non può essere conservata a lungo a temperatura ambiente e tantomeno in recipienti aperti. Perciò poi andrebbe “sanificata” in qualche modo, in casi estremi facendola bollire. Perciò si potrebbe pensare a una qualche forma di copertura parziale che trattenga polvere e insetti senza impedire l’evaporazione (p.es. un’ampia garza stesa a tenuta. Si può affrettare l’evaporazione del cloro passando l’acqua al frullatore, a freddo, o addirittura con la bollitura (che però è energeticamente dispendiosa e modifica l’acqua: p.es. perdita di sali preziosi, come il calcio, che precipitano o si attaccano alle pareti della pentola), quindi sarebbe anche nutrizionalmente dannosa. 

Metodo attivo (più rapido e sicuro, ma ancora sperimentale). Consiste nell’aggiungere all’acqua clorata piccolissime quantità di vitamina C. L’acido ascorbico è un potente antiossidante e tratta il cloro nascente come un qualunque radicale libero, neutralizzandolo. La vitamina C abbassa un poco il pH dell’acqua (meglio!) e la igienizza rendendola meno adatta a microrganismi. Poiché è in acqua, dopo aver compiuto il suo dovere si degrada in 1-2 giorni. Il metodo è raccomandato per i serbatoi d’acqua da una nota tecnica del Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), ed è già in uso per gli acquari. Un chimico noto per competenza teorica e soluzioni pratiche di buonsenso, un vero mito dello scomparso News Group di chimica (pseudonimo: “Soviet Mario”) ha suggerito «succo di limone, anche solo mezzo cucchiaino per litro». Oppure «una pasticca da 1 g di acido ascorbico (es. vivin C) in 50-100 L di acqua», quindi equivalenti a «10-20 ppm, quindi in eccesso rispetto a normali clorazioni». Il gusto non cambia in modo apprezzabile, ma il tempo d'azione sarà lento, non so dire quanto». “Lento”? Ma il sito USDA dice invece che la reazione è molto rapida. Allora, vista la nota tecnica dell’USDA e i consigli del genio chimico, vediamo di dare dosi precise, che saranno poi gli stessi lettori a sperimentare. Per 1 litro di acqua di rubinetto, quindi sempre clorata, che si percepisca o no il cloro, proviamo con 1-2 cucchiaini da tè di succo di limone naturale e fresco spremuto all’istante (niente succhi pronti), che oltretutto rende l’acqua migliore e più dissetante. Se il cucchiaino è di 4 mL la dose di 1 cucchiaino dovrebbe essere pari a 1,72 mg di acido ascorbico (tabelle INRAN: 100 g di succo di limone=43 mg di vitamina C). Altrimenti ricorrere all’acido ascorbico in polvere (farmacie su ordinazione, forniture di chimica, negozi di enologia, negozi di integratori per i quali altro non è che…l’antiossidante E300, e-commerce). Un cucchiaino da tè raso dovrebbe contenere circa 4 g di acido ascorbico: un quarto di cucchiaino (cioè 1 g) dovrebbe bastare addirittura per 50 litri, dice il chimico. Ma per facilità, vista l’innocuità a questi livelli, andremo a naso: una punta di cucchiaino (ca 500 mg) andrà bene per 2 o 3 bottiglie. Lasciar passare alcune ore prima di bere. E’ meglio lasciar agire la vitamina C nell’acqua a temperatura ambiente e poi, solo dopo alcune ore, mettere in frigorifero? Se, invece, l’acqua è inquinata batteriologicamente, caso rarissimo alla fonte o nei serbatoi principali, ma possibile in caso di rotture nelle ultime tubazioni presso terreni e abitazioni finali, il cloro si sarà già combinato con le sostanze organiche formando i composti che diciamo al capitoletto successivo, per i quali nulla possono fare l’evaporazione o la vitamina C. Ad ogni modo, in condizioni tipiche (poco cloro e poca o nulla contaminazione organica), l’acqua di acquedotto può essere bevuta senza problemi. E’ così che si possono bere acque che non hanno nulla da invidiare alle migliori acque in bottiglia, anzi spesso sono addirittura superiori (es. gran parte dell’acquedotto di Roma). Molte acque di acquedotto da sorgente in Italia sono di assoluta qualità. In questi casi è assurdo bere acqua minerale.

IL RISCHIO DI TRIALOMETANI. Ma che cosa avviene, invece, nell’acqua degli acquedotti in caso, fortunatamente raro, di inquinamento biologico? Negli ultimi anni i ricercatori hanno scoperto che se il cloro trova materia organica, come per esempio batteri fecali, perché i tubi sono rotti e nelle vicinanze ci sono tubazioni di fognatura che perdono o liquami da concime, le cose cambiano anche nel comportamento del cloro. Se l’acqua è contaminata da sostanze organiche, a partire dai comuni cianobatteri, il cloro reagisce formando organoclorurati, tra cui i temibili trialometani, gruppo di composti tossici e cancerogeni per l'uomo, capaci secondo studi internazionali di aumentare il rischio di vari tipi di tumori, in particolare delle vie uro-genitali. Si tratta di sostanze persistenti del tipo del cloroformio. In molti acquedotti del passato questi valori sono stati per decenni sopra i limiti di legge (Maugh TH, New study links chlorination and cancer, Science 1983, 211:694), e oltretutto hanno prodotto nell’organismo dei bevitori radicali liberi che hanno aumentato i rischi di arteriosclerosi e cancro. Lo si sapeva già nei lontani anni 70 (Page T. et al., Drinking water and cancer mortality ecc., Science 1976; 193:55-57). Oggi, questo rischio è basso, molto basso, per i controlli continui e automatizzati. Resta, però, anche alla luce di queste complicazioni, che il cloro aggiunto è un arretrato e dannoso agente di depurazione, come dimostrano molti studi. La legislazione italiana ammette 30 mg/L di cloro, una percentuale troppo alta. Invece, le linee guida della direttiva dell’Unione Europea segnalano 1 mg/L e precisano che la concentrazione dovrebbe essere la più bassa possibile.

RAGGI ULTRAVIOLETTI, OZONO E ACQUA OSSIGENATA. Perciò, il cloro va al più presto eliminato dal sistema di depurazione: non c’è nessuna legge che lo renda tassativo. Può benissimo essere sostituito dai raggi ultravioletti e dall’ozono (gas naturale dal caratteristico odore agliaceo, presente talvolta nell’aria prima dei temporali: è molto ossidante-disinfettante decomponendosi subito in ossigeno), meglio se usati insieme. Per imitare lungo le tubazioni la persistenza dell’ipoclorito – che ha il vantaggio di rilasciare cloro molto lentamente, fin dentro le abitazioni – alcuni esperti suggeriscono di aggiungere ai raggi ultravioletti l’acqua ossigenata. Tutti e tre sono sistemi che lasciano zero prodotti chimici, non cambiano il sapore dell’acqua e sono molto più innocui dell’ipoclorito, anche se più costosi. Se venissero usati, ben pochi nelle città in cui gli acquedotti portano ottima acqua di sorgente, ricorrerebbero all’acqua minerale.
Ma lo capiranno i legislatori e gli amministratori regionali che, invece, in contro-tendenza, facendo come sempre gli interessi delle aziende anziché quelli dei cittadini utenti, hanno chiesto all’Unione Europea di usare più cloro di quello consentito, visto che non riescono per loro incuria ad eliminare gli agenti inquinanti organici? Anziché rifare le condutture, si scarica su consumatori di acqua indiscriminatamente il rischio
chimico ed epidemiologico.
E IL FLUORO? FA MALE SE E’ TROPPO. E MAI AGGIUNGERLO. Male hanno fatto i gestori di certi acquedotti USA che aggiungono fluoro, spesso di provenienza cinese e ricco di scorie tossiche, alle vasche di decantazione, “allo scopo di prevenire la carie nei consumatori”. Il fluoro è un minerale utile in tracce (protegge lo smalto dei denti), ma piuttosto a rischio se supera una certa soglia (fluorosi dentale, fragilità delle ossa ecc.), come dimostra la monografia di OMS-WHO. Uno dei motivi meno pubblicizzati della dichiarazione di “non potabilità” di un’acqua di acquedotto (e in bottiglia) è il tasso di fluoruri. Ma sui limiti c’è disparità tra acque in bottiglie e di acquedotto, e anche tra Stati e Organizzazioni sanitarie. In Italia il limite di legge dei fluoruri è di 1,5 mg/L (legge sulle acque destinate al consumo umano), mentre per le acque minerali un Decreto ministeriale è di manica larga, forse per non escludere dal commercio alcune sorgenti: 5 mg/L (ma con valore guida di 1,5 mg se l’acqua è destinata ai neonati). L’Europa è ugualmente aperta (5 mg) nella Direttiva sulle acque minerali, mentre è più severa nella Direttiva sulle acque destinate al consumo umano (1,5 mg). I Valori guida degli Stati Uniti sono più blandi (4 mg), mentre è più stretto il valore guida dell’OMS-WHO (1,5 mg/L). In Italia, l’unica acqua di acquedotto di Capoluogo ricca di fluoro è quella di Viterbo (1,43 mg), legale ma a rischio con alti e prolungati consumi (c’è anche l’acqua di cottura). Ma qualche paese del Viterbese può superare anche i 2 mg, quindi è illegale e deve miscelare con altra acqua povera di fluoro. Tra le acque minerali, le più ricche in fluoro, anche se entro uno o entrambi i limiti di legge già detti, sono: Lavaredo 1,75 mg/L, Egeria 1,71, Nepi 1,64, Claudia 1,52, Meraner 1,48, Sveva 1,25, Ferrarelle 1,24, Santagata 1,23, Lieve 1,14-1,21, Uliveto 1,17, Orvieto 1,06, Lilla 1,04. Sia chiaro, questa pignoleria potrà sembrare eccessiva, ma è dettata solo dalla precisione: non si tratta di acque illegali o tossiche come quelle ricche di arsenico, anzi tre (Ferrarelle, Santagata e Uliveto) sono di pregio. Del resto, con l’acqua minerale non si cuoce, né si preparano tè e caffè. Si vuole solo invitare nelle situazioni critiche o incerte o al margine o in caso di alti consumi, ammesso che proprio si debba o voglia consumare anche acqua in bottiglia, a non fissarsi sempre su un solo tipo di acqua, ma a variare acqua periodicamente (acquedotto più minerale, oppure vari tipi di minerale, sempre scelte tra quelle ricche di calcio e magnesio), in modo da ridurre e praticamente annullare i minimi rischi da accumulo.

LA LEGGENDA ITALIANA DELL’ACQUA “MINERALE”. Gli Italiani sono primi in Europa per consumo di “acqua in bottiglia” con una media di 188,5 litri a testa per anno (ma i consumatori italiani sono 49 milioni, quindi chi ne beve ne beve un po’ di più), rispetto alla media di 110 litri a testa degli Europei e a un totale continentale di 52 miliardi di litri all’anno. 15 litri in meno ciascuno i Tedeschi e 150 litri in meno i Britannici, che bevono appena 33 litri di acqua imbottigliata a testa ogni anno. I Nordamericani ne bevono 102 litri pro capite; gli Africani appena 23 litri e gli Asiatici meno di 21 (European Federation of Bottled Water, dati 2017). Ma che acqua c’è nelle bottiglie? C’è di tutto: acqua di sorgente, acqua di falda, perfino acqua di rubinetto purificata.
      Il consumo di acqua imbottigliata esagerato e immotivato (a differenza, p.es., dei Paesi arabi, dove il consumo è alto per la penuria di acqua naturale) è una fissazione sottoculturale e provinciale tutta italiana, dovuta a paura, emotività e snobismo, figli dell’ignoranza, specialmente in materie scientifiche. Essere primi in Europa e quinti nel Mondo è un’assurdità per uno dei Paesi più ricchi d’acque, quello che ha inventato e costruito i migliori acquedotti della Storia. E invece, l’acqua in bottiglia, chiamata “minerale” (ma quasi sempre ha meno minerali di quella di rubinetto), non è affatto più “pura”, più “sana” e “più igienica” dell’acqua di rubinetto, cioè d’acquedotto, ma al contrario è in media meno sana e più ricca di sostanze tossiche, oltreché molto più costosa.
      Come mai? Innanzitutto perché le leggi fanno eccezioni o chiudono un occhio di fronte all’industria delle acque in bottiglia (per le pressioni di questa potentissima lobby). Cosicché molti valori di minerali tossici o dannosi sono paradossalmente più alti nelle acque in bottiglia che in quelle di acquedotto. E talvolta nell’acqua in bottiglia ci sono perfino tracce d’inquinamento biologico (batteri), con l’aggravante che quest’acqua non può essere “sanitarizzata” con l’aggiunta di cloro come si fa con quella dell’acquedotto; oppure c’è un alto tasso di nitrati, segno di degradazione di organismi biologici o residui di concimi. Quindi, se nell’acqua minerale ci sono batteri, che hanno avuto tutto l’agio di moltiplicarsi nella bottiglia rimasta accatastata al caldo, all’aperto, alla luce, talvolta sotto il sole, questi restano intatti anche se poi in casa – troppo tardi – la conserviamo in frigorifero. Senza contare, infine, il costo economico delle bottiglie di plastica (ormai il vetro è una rarità, che si paga, oltretutto) che poi bisogna smaltire nei rifiuti con altissimi costi ambientali accessori.
      Ecco una tabella dettagliata (2) con le principali sostanze tossiche o indesiderate presenti nelle acque in bottiglia (“acque minerali”) italiane (al solito, i burocrati ne hanno reso difficile l'uso al pubblico, inventandosi un ordine alfabetico non per nome delle acque, ma per... Regioni!). Con valori simili, alcune acque minerali, se fossero acque di acquedotto, verrebbero addirittura vietate, ma per paradosso poiché sono imbottigliate nessuno le tocca! Citiamo alcuni esempi a caso di valori alti che balzano agli occhi. Colpiscono soprattutto l’enorme quantità di tossico alluminio (sospetto fattore di rischio di malattia di Alzheimer e danni renali) nell’acqua di Nepi, e l’arsenico (fattore di rischio di tumori, malattie respiratorie e cardiovascolari: si veda lo studio citato sopra sugli acquedotti viterbesi) nelle acque Egeria, Isola Antica, Ferrarelle, Levissima, Nepi ecc. (v. tabella). Come già detto per l’acqua di rubinetto, anche per le acque in bottiglia non basta che il tasso di arsenico sia “entro i limiti di legge”, visto il doveroso alto consumo di acqua (anche 1-2 litri al giorno) e l’alto rischio epidemiologico dovuto alla quantità e al consumo protratto di acqua minerale: per prudenza bisognerebbe bere regolarmente solo acque a bassissimo contenuto di arsenico.
      Altri dati che colpiscono sono il tantissimo cromo di Sovrana e anche quello eccessivo per un’acqua che si chiama Vita Sana; l’uranio (minerale radioattivo per eccellenza e dagli effetti persistenti nel tempo) di Rocce Sarde, S.Lucia, Courmayeur e altre acque; il bario di Elisa, Frasassi, Gaia, Stella Alpina, S.Corinna, Tinnea, Sangemini; i troppi nitrati di Toka, Vivien, Galvanina, Egeria, Col Fabrizia, Paradiso, Luna, Candida, Fonte Fria, Smeraldina, Tamara, Isola Antica, Lughentina, Eleonora; il troppo sodio (una curiosità: nulla in confronto a quello che assumiamo nelle pietanze) di San Martino, Sandalia e Toka; il molto ferro di Gaudianello (allo stato inorganico il ferro potrebbe favorire i radicali liberi); il boro (che però recenti studi hanno in parte rivalutato) di S.Martino, Sandalia, Uliveto, S.Lucia, Don Carlo.

I VARI LIMITI PREVISTI PER LE ACQUE DA BERE. Interessante la tabella di confronto fra i vari limiti di legge previsti per i contenuti di sostanze minerali a rischio nelle acque potabili, da acquedotto o imbottigliate, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti.

OLIGOMINERALE, UNA LEGGENDA CHE FA COMODO AI PRODUTTORI. Che sia acqua minerale in bottiglia o acqua di acquedotto, la prima leggenda da sfatare sull’acqua da bere – abilmente propalata per interesse commerciale da molti produttori – è la superiorità dell’acqua a basso contenuto di sali minerali, cioè di “residuo fisso” (la somma dei sali che risulta dal riscaldamento a 180°C), ovvero la tanto pubblicizzata e onnipresente “oligominerale”, peggio ancora quella “minimamente mineralizzata”, su quella “minerale” (medio-minerale) o anche quella “fortemente mineralizzata”, o sull’acqua di acquedotto ricca di sali. Il consumatore deve mettersi in testa che, a parte le acque minerali non potabili (p.es. adatte solo ai bagni termali), i sali contenuti nelle acque da bere sono utili, anzi utilissimi e salutari, come quelli di frutta e verdura, quindi il residuo fisso denota soprattutto veri e propri nutrienti, a cominciare da calcio, magnesio e potassio. Se infatti un’acqua fosse ricca di sali dannosi, non sarebbe autorizzata come potabile. Quando, perciò, leggiamo in etichetta i valori del residuo fisso, dobbiamo ritenerlo un fattore positivo. Tutto il contrario di quello che lascia intendere furbescamente la pubblicità, spesso con l’appoggio di “esperti” pagati, che così condiziona i consumatori creduloni.

IL “RESIDUO FISSO” E’ RICERCATO IN FRUTTA E VERDURA, MA NON NELL’ACQUA? Non è assolutamente vero che l’acqua "minimamente mineralizzata” o anche in genere “oligominerale", come vorrebbe far credere una pubblicità martellante, è la migliore; anzi è vero il contrario. La regola generale è che, come per gli alimenti, sempre l’acqua dotata di molti sali è superiore a quella povera di sali, oltretutto spesso così insapore e poco dissetante da non dare adeguata soddisfazione neanche in caso di grande sete, un po’ come la neve. E non è vero che i sali minerali presenti nell’acqua non sono assimilabili dal corpo umano, come propalano da siti sottoculturali certi ignoranti: lo hanno provato sia numerosi esperimenti clinici (p.es. sul calcio, v. in basso), sia gli avvelenamenti di chi beve un’acqua addizionata con sali minerali tossici.
      L’acqua povera di sali minerali aumenta i rischi cardio-circolatori e delle più varie malattie, a differenza di quella minerale ricca di sali, com’è provato da molti studi epidemiologici (v. in basso). Anche i finti concetti propalati dalla pubblicità e dai tanti siti web di sedicenti “esperti” di acqua “leggera” (povera di sali minerali) e “pesante” (ricca di sali) sono del tutto campati in aria: suggestione subliminale, imbroglio, pura fantasia. Davvero si fa torto all’intelligenza quando si lodano i sali minerali (soprattutto calcio, potassio e magnesio) in verdure, frutta, latte, legumi, semi oleosi, e poi si invita in manifesti, articoli, opuscoli, siti web e interviste alla tv, a evitare i medesimi sali nell’acqua da bere! Ma i minerali sono nutrienti preziosi sempre, in ogni alimento o bevanda, e dei nutrienti, come di qualsiasi altro bene, si loda la ricchezza, non la povertà. Altrimenti, per coerenza, dovremmo stupidamente preferire l’insipida e sbiancata cicoria belga, con i suoi 18 mg di calcio, alle saporite foglie di rapa che di calcio hanno dieci volte di più (169 mg), il pane bianco raffinato al pane integrale, ed eliminare anche i migliori vegetali, rei di avere troppo… "residuo fisso": dente di leone, rucola, mandorle, foglie di rapa, cicoria di campo, nocciole, ceci, fagioli, agretti, crescione, radicchio verde, broccoletti di rapa ecc.
      L’acqua Lauretana, p.es., la più povera – questo il termine onesto – di preziosi sali minerali, è reclamizzata come “l’acqua più leggera d’Europa”, con appena 14 mg/L di “residuo fisso”, battendo sul filo di lana la Monterosa (16,5 mg) e la Voss (22 mg), e distanziando S.Bernardo (35,5 mg) e S. Anna di Vinadio (42,8 mg). Contenti loro… E dire che noi già consideravamo troppo povere, e quindi sconsigliate a bambini, donne, anziani, e a chiunque non soffra di insufficienza renale, le acque Norda sorg. Ducale (59 mg di residuo fisso, di cui appena 13,4 mg di calcio), Norda sorg. Daggio (62,5 mg, appena 10,6 mg di calcio), Levissima (89,5 mg), Fiuggi (123 mg), Panna (141 mg) e Rocchetta (177,8 mg), Fiji (210 mg), S.Benedetto (272 mg), Evian (309 mg), Vitasnella (382 mg) ecc. (tutti valori di residuo fisso).
      Anche calcolando solo il calcio si hanno sorprese negative. La stessa Mineracqua, l'associazione che riunisce i produttori, ne parla molto bene sul suo sito, scrivendo che le acque ricche di calcio sono indicate per "bambini, adolescenti, donne incinte o in allattamento, donne in menopausa, adulti oltre i 50 anni, anziani", e comunque in genere per tutti gli adulti secondo lo stile di vita (p.es. sportivi). Dava anche la sua lista delle 11 acque più ricche di calcio, con dati del 2010 (Ferrarelle 441 mg/L, Sangemini 331 mg/L, Lete 314 mg/L, Fonte Margherita 213 mg/L, San Pellegrino 181 mg/L, Uliveto 171 mg/L, San Martino 167 mg/L, Fonte San Lorenzo 155,9 mg/L, Gaudianello 152 mg/L, Prata 150 mg/L), ma non spiegava come mai la maggior parte delle acque vendute in Italia sono oligominerali, poverissime di calcio, ovviamente considerate dai acquirenti "purissime", "buonissime" ecc.(curioso è che i consumatori in Italia siano legatissimi all'acqua che bevono, e guai a criticarla, neanche fosse la squadra di calcio o il partito politico!). Un esempio a caso: l'acqua Pejo, che secondo il sito del produttore in un litro ha appena 19,3 mg di calcio, 4,9 mg di magnesio e 1,8 mg di potassio. E con valori così bassi di potassio, addirittura il sodio (il suo antagonista) è addirittura più alto: 2,1 mg/L ! Un'acqua che è praticamente "neve sciolta"!


C’è da chiedersi se i consigli della strana e imbevibile "acqua senza sali", praticamente simile all’acqua distillata (utile tutt’al più per i radiatori delle auto, per il ferro da stiro e per lavare le lenti a contatto), siano solo irrazionali o anche in malafede? Il fatto è che i produttori italiani mettono in commercio troppe acque poverissime di sali minerali, spesso poco più che neve. Ma il loro ufficio marketing trasforma questo grave difetto in pregio. E i tanti acquirenti gonzi ci cascano. “Affari loro”? E no! Allora siano coerenti: non mangino frutta, insalate e verdure, tutte ricche o ricchissime di… residuo fisso!
Le acque oligo­minerali dovrebbero essere bevute soltanto dai pochi malati di insufficienza renale, anzi per loro dovrebbero essere considerate veri e propri farmaci da assumere solo su ricetta medica.

“POVERA DI SODIO”? UN’ALTRA MISTIFICAZIONE. Un altro trucco psicologico della pubblicità delle acque in bottiglia è quello di insinuare nella testa dei consumatori ignoranti, con l’aiuto pagato a caro prezzo di qualche “càmice bianco”, che solo pochissime acque “povere di sodio” sarebbero salutari o addirittura preventive di chissà che cosa. Non è vero. Perché tutte le acque potabili, di acquedotto o in bottiglia, sono naturalmente poverissime di sodio, milligrammo più o meno. Altrimenti non sarebbe dichiarate “potabili”.  Ma la contraddizione stridente, che dimostra che i cittadini consumatori non ragionano, è che il sodio presente nelle acque da bere è dell’ordine di “milligrammi per litro”, mentre ogni giorno (v. tabella, sotto) consumiamo col cibo e il condimento vari “grammi” di sale (in media 10,8 grammi di cloruro di sodio), cioè “migliaia di volte” più del sodio presente nell’acqua. Insomma, i pochi milligrammi al giorno dell’acqua più ricca di sodio neanche vengono notati dall’organismo, che deve eliminare decine di grammi di sale, quindi un livello dannosissimo (rischi cardiologici, ma anche tumorali), tra condimento aggiunto a tavola e sale inserito dall’industria alimentare (salumi, patatine, snacks, conserve, pane, formaggi, perfino dolci ecc) per rendere più gustoso il cibo, invogliare ad un maggior consumo del prodotto, e conservarlo più a lungo. In Italia, il Paese “più salato” d’Europa, un uomo medio consuma ben 12 grammi di sale al giorno (una donna circa 10 grammi), come ha ricordato Francesco Cappuccio (docente alla britannica Warwick University), che ha rivolto una raccomandazione all’ONU perché convinca gli Stati e le industrie a consumare pochissimo sale. Ne basterebbe un decimo, cioè 1 grammo al giorno. Ed è incredibile (si veda una monografia con una originale tabella dettagliata) la quantità di sale (cloruro di sodio) che l’uomo medio trova ogni giorno nel cibo, perfino negli alimenti più insospettabili! E perciò, in quanto al sodio, non esiste nessuna differenza apprezzabile tra le varie acque. Se un risparmio di sodio si intende fare davvero, e va fatto, deve avvenire con gli alimenti (cioè con i grammi), non con l’acqua (milligrammi)!

LA PUBBLICITA' E I CONSULENTI PAGATI. Quello delle acque minerali è un affare miliardario, che vede l’Italia primo produttore e consumatore al Mondo. La pubblicità delle acque, con una materia prima che costa pochissimo ai produttori, complici Stato, Regioni e Comuni, dispone perciò di molto denaro facile. Per dei milionari in euro è un giochino da bambini trovare "consulenti" e càmici più o meno bianchi disposti per alcune migliaia di euro a dichiarare su cartelloni, giornali e in tv quanto "fa bene" quell’acqua così povera e insipida da assomigliare talvolta all’imbevibile acqua distillata, trasformando quello che è un vero difetto di un’acqua minerale – la scarsità di sali minerali – nel pregio della "leggerezza". Vecchio trucco. Diceva così la bisnonna Carolina al promesso sposo trovatole dai genitori, per nascondere il fatto che non aveva curve: "Sono leggera!". Possibile che al supermercato (anche loro dovranno bere, no?) neanche i laureati in scienze, non diremo in chimica, ma almeno in nutrizione, si ricordino che i sali minerali totali – il cosiddetto "residuo fisso" che resta quando un litro di acqua viene fatto evaporare a 180°C – sono la ricchezza e la protezione della nostra dieta, e anche il fattore principale della trasmissione degli impulsi elettrici nell’organismo? Ebbene, anche loro acquistano per lo più, senza protestare con la Direzione, le pubblicizzatissime, sovrabbondanti e ubiquitarie acque oligominerali, visto che le acque "minerali" sono più care e molto più rare. Ad occhio, sugli scaffali, il rapporto tra acque “minerali” e “oligominerali” è di 10 a 1.

Tipi di acque minerali secondo residuo fisso (NV 2010)IL RESIDUO FISSO NON DEVE ESSERE BASSO. Per le acque potabili, il DL 2-2-2001 n.31 fissa per il residuo fisso un valore massimo consigliato di 1500 mg/L. Non solo non bisogna demonizzare un alto residuo fisso, ma nutrizionisti e clinici consigliano di mantenersi alti in classifica. La lode dei pubblicitari al "basso residuo fisso" è, perciò, la più madornale e diffusa delle sciocchezze metropolitane, giustificata solo dal fatto che sono costretti a vendere un'acqua povera di nutrienti. Una leggenda che avrebbe fatto sorridere gli esperti, se non si fosse immediatamente diffusa per ogni dove, come solo le stupidaggini si diffondono, subito bevuta da casalinghe tv-dipendenti, mammine insicure, ragazze maniache dei marchi (mark-victim), fissati dei dépliant, consumisti nevrotici e altri conformisti senza senso critico, a cui si accodano medici generici, specializzati opportunisti, pediatri neo-laureati, che evidentemente non solo di nutrizione non ha mai aperto un libro, ma devono avere anche idee confuse sull’assimilabilità del calcio, sul reintegro dei sali persi con la sudorazione e sulle calcolosi renali. E a questo punto, sì, la stupidaggine è ormai diventata epocale, gravissima. E quindi bisogna correre ai ripari, e ristabilire la verità. Anche perché in Italia ormai il 98% delle famiglie consuma acqua minerale, e ogni persona, calcolando anche i neonati, beve la bellezza di 200 litri di acqua minerale all’anno (ad un prezzo medio di 40 cent a bottiglia, una famiglia italiana di 4 persone spende in media in un anno ben 320 euro (secondo Beverage Marketing). E dunque, tra consumatori ignoranti di cose scientifiche e proni davanti alla pubblicità, l’errore iniziale di pochi fanatici o malati immaginari di reni si è ingigantito al pantografo, come errore di massa, come stupida moda.

RISCHI: DEBOLEZZA E CRAMPI. L’“EFFETTO NEVE”. Il primo rischio delle acque oligominerali, infatti, è proprio dovuto alla grave carenza di minerali. Sotto sforzo prolungato (sport, lunghe camminate, palestra) oppure semplicemente al gran caldo umido delle città o sulle spiagge senza brezza, e nella purtroppo diffusa carenza di verdura, frutta e cereali integrali nella dieta, potrebbero portare a qualcosa di simile al temuto "effetto neve": si suda molto e ci si illude di reintegrare con l’acqua oligominerale, la quale con la diuresi più rapida e il sudore spinge ad eliminare sempre più acqua, insieme ad altri sali minerali del corpo, senza apportarne abbastanza di propri. E più aumentano urina e sudore, più aumentano la sete e il bisogno d’acqua. Questa, se continua ad essere oligominerale, aumenta la demineralizzazione, in un circolo vizioso sempre più grave: affaticamento, crampi, debolezza, e nei casi più gravi svenimento, nausea, tremori muscolari, fino al caso estremo del collasso cardiocircolatorio. Figuriamoci quei fanatici irresponsabili che consigliano cure periodiche “disintossicanti” di acqua distillata. Casi limite, d’accordo, ma che devono metterci in guardia e ci danno indicazioni utili anche nella normalità della vita d’ogni giorno, specialmente al gran caldo. (V. in fine articolo la lista delle acque da non consumare perché poverissime di residuo fisso senza indicazione del medico specialista).

CONSEGUENZE DELLA DISIDRATAZIONE. Una perdita d’acqua pari al 1% del peso corporeo si riflette negativamente sull’efficienza del nostro organismo. Se la disidratazione aumenta al 2%, sono alterati la termoregolazione e il volume del sangue, e comincia a manifestarsi (come si vede, già tardi) il senso di sete. Con una disidratazione intorno al 5% arrivano crampi, debolezza, irritabilità. Intorno al 7% si possono avere malessere generale, profonda debolezza e anche allucinazioni. Con il 10% vi è forte rischio di colpo di calore, e comincia a essere messa in pericolo la stessa sopravvivenza. Se la disidratazione continua, sono compromesse le capacità fisiche e mentali. Per di più aumentano i rischi di calcoli renali, di tumori del colon e dell’apparato urinario (vescica, prostata, reni), e di prolasso della valvola mitralica. Gli anziani sono molto vulnerabili alla disidratazione, in questa fascia d’età associata a decadimento dello stato di salute (INRAN, Linee Guida cit.).

1,5-2 LITRI AL GIORNO PER TUTTI. Come si arriva a questa quantità che sembra così enorme? Calcolando le perdite medie di acqua dal corpo. Un adulto medio elimina ogni giorno con le urine circa 1300 ml; con le feci 150 ml circa; con sudore, aria espirata ed evaporazione dalla pelle 600-1000 ml. Ma l’acqua persa in quest’ultimo modo dipende dell’intensità dell’esercizio fisico e della temperatura (l’aumento da 24°C a 31°C  della temperatura esterna o l’aumento di 2°C della temperatura corporea la fa raddoppiare). Perciò, tutti sanno ormai, perché la massiccia campagna pubblicitaria mondiale ha già raggiunto il suo scopo da anni, che “bisogna bere molto: 1,5-2 litri di acqua al giorno”. Come se chi mangia sano e idratato e pochissimo salato (minestre, verdura, frutta, tè, latte ecc.) possa essere messo sullo stesso piano di chi si ingozza di panini da bar, cibi grassi, cibi salatissimi, dolci e patatine. Ma chi ha inventato i “2 litri” obbligatori per tutti non fa distinzioni. Strano per la biologia della nutrizione, in cui addirittura si distingue tra soggetto e soggetto in base alla dieta reale e allo stile di vita. E’ forte il sospetto, insomma, che questa misura divulgativa sia stata suggerita grazie a sponsor produttori di acque minerali. Diciamo, quindi, che la misura è stata pensata per la maggioranza delle persone, che purtroppo ha una “dieta molto secca”. Chi invece ha una “dieta molto liquida” potrà ridurre la quantità.

IL SUDORE E LA REINTEGRAZIONE DI ACQUA E SALI. Perciò, torniamo a prestare attenzione allo stimolo primario della sete che, sia pure in leggero ritardo sulle esigenze biologiche del corpo, è un indicatore sicuro del bisogno d’acqua. Solo gli anziani e alcune categorie di malati nei quali la sensazione di sete è
difettosa devono bere a scadenze regolari quantitativi prefissati. Ma senza mai esagerare, perché l’eccesso di acqua, specie in soggetti malati, affatica reni e cuore, e in casi limite può portare a fastidiosi edemi. Per gli altri, la quasi totalità, valga la raccomandazione di bere molto ogni qual volta hanno sete, anzi in anticipo sulla sete in caso di sport e lavoro fisico, soprattutto se svolto al caldo. E’ bene ricordare che anche solo in una moderata attività fisica la sudorazione varia, nella maggior parte dei casi, da 1 a 2 litri all’ora. In casi particolari si può però arrivare a 4-6 litri/ora. La sudorazione provoca perdita di sali minerali (soprattutto sodio, cloro e potassio, solo in minor misura calcio e magnesio). E, contrariamente alla pubblicità, le cosiddette "bevande isotoniche" o integrative sono del tutto inutili. “L'acqua, del rubinetto o imbottigliata, non è sostituibile con altre bevande (che spesso contengono zuccheri, dolcificanti, e sostanze come la caffeina) e si può bere in qualsiasi momento della giornata, ai pasti e lontano dai pasti, senza timore di ingrassare (l'acqua non contiene calorie, neanche quando è gasata) o di bloccare la digestione. Anche fredda va bene, purché a piccoli sorsi, per evitare congestioni. E se abbiamo fatto sport, per reintegrare le perdite di acqua e minerali non è necessario ricorrere a integratori o bevande energetiche e saline, perché la semplice acqua e una alimentazione ricca di frutta e verdura ci restituiranno tutto quello che abbiamo perso” (INRAN, Ist. Naz. Ricerche Alim. e Nutr. Introduzione alle Linee Guida 2003). Insomma – spiegano i nutrizionisti – perfino in caso di attività fisica, una dieta equilibrata e sana, ricca di semplice acqua, verdura e frutta, è più che sufficiente a reintegrare i sali persi. Beviamo molto, quanto la sete e il benessere funzionale ci suggerisce, ma soprattutto acqua ricca di sali minerali (non oligominerale), e tenendo conto anche dell’acqua, abbondante, presente negli alimenti, visto che non possono tener conto di quella poca prodotta nell’organismo per sintesi metabolica. Tanto è vero che coloro che mangiano molti vegetali crudi, verdure, frutta, e pietanze liquide o ben idratate, spremute o tè, e usano pochissimo sale, sentono poco il bisogno di bere acqua, e solo nei climi più caldi. Anzi, per i soggetti in buona salute, proprio lo scarso bisogno di bere è la prova regina che il proprio regime alimentare è sano e naturale.

IDROLOGIA MEDICA: CURARSI CON I SALI DELLE ACQUE. L’importanza dei sali minerali (la somma dei quali è stata chiamata da qualche chimico ottuso “residuo fisso”) è tale che da sola determina l’uso terapeutico di molte acque, di cui si occupa l’idrologia medica e in particolare il termalismo idropinico (idor=acqua, pino=bere), cioè basato sulle acque da bere. «In medicina – riprendo dal mio vecchio manuale L’Alimentazione Naturale (ed. 1992, rist. 1997) – le acque hanno una millenaria tradizione, confermata in molti casi dalla scienza moderna, di ausilio preventivo e curativo. Le oligominerali stimolano notevolmente la diuresi e in terapia sono indicate nelle malattie delle vie urinarie (cal­coli e infiammazioni croniche), nell'uricemia e nella gotta. Oltre i 2-3 litri al giorno sono controindicate nell'insufficienza renale e nell'iper­tensione. Le carboniche naturali (almeno 300 ml di anidride carboni­ca) aiutano lo svuotamento gastrico, stimolano la secrezione cloridrica e la peristalsi intestinale. Sono controindicate nell'eccesso di acidità di stomaco. Le bicarbonato-alcalino-ferrose (note anche come calciche) hanno una funzione benefica sul fegato e la digestione, aiutano a equilibrare il tasso di colesterolo, sono indicate anche per diluire il latte vaccino. Vanno evitate nelle infezioni biliari, nelle calcolosi, nell'iper­tensione grave con insufficienza renale. Le salse o cloruro-sodiche so­no indicate nelle malattie del ricambio, come diabete, obesità, piccola insufficienza epatica e sindrome da fegato ingrossato. Controindicate in disturbi ai reni, ipertensione, coliti spastiche, diarree e gastriti ipe­racide. Le solfato-calciche sono raccomandate nelle coliti spastiche, nella stitichezza, nelle infiammazioni croniche biliari, nell'insufficien­za epatica. Controindicate, quando il calcio è in percentuale elevata, nella diluizione del latte per i lattanti. Le solfuree sono indicate nelle gastriti ipo-acide, nella stitichezza, nelle coliti, nella piccola insufficienza epatica, nell'eccesso di scorie puriniche, nei disturbi dovuti alla flora batterica. Controindicate nell'ulcera e nel grave deperimento or­ganico. Le arsenico-ferruginose sono raccomandate ai linfatici e debo­li di costituzione, ai carenti di ferro. Vanno evitate nelle gastroduode­niti. Le fluorurate sono indicate nelle carenze di fluoro, nella profilas­si della carie e nell'accrescimento osseo. Non si deve, però, superare la dose giornaliera di fluoro (1 g), per evitare rischi di intossicazione, fragilità dei denti e delle ossa»

LE ACQUE RADIOATTIVE. La radioattività delle acque minerali, per tracce di sali di attinio, uranio, radio, radon, torio, stronzio ecc., è espressa in nano-Curie per litro (1 nC = 37 becquerel o Bq). Il più importante a fini terapeutici è il gas radon sciolto nell’acqua. Ma se è pericoloso quando resta a lungo nelle nostre case non arieggiate di frequente, ha un'emivita e un tempo di dimezzamento della sua radioattività di appena 3,8 giorni, ed è facilmente metabolizzato dal corpo. Perciò, almeno per il radon, dalle acque minerali deriva scarso rischio per il corpo umano di accumulare radioattività, e anzi sorge la necessità di utilizzare queste acque rapidamente prima che perdano gli effetti terapeutici. Diverso il rischio per gli altri minerali radioattivi. Lo stronzio, p.es., ha un’emivita di ben 28 anni ed è cancerogeno per le ossa (ha affinità col calcio). Fino a qualche anno fa, ricordiamo, era presente in non poche etichette di acque minerali, poi col diffondersi dell’abitudine popolare di leggere le etichette è sparito, grazie al fatto che non c’è l’obbligo di citarlo. Rare sono le acque molto radioattive imbottigliate (la più nota è la Zilia in Corsica), spesso vendute in farmacia e comunque bevute per scopi terapeutici: reumatismi articolari, nevralgie, nevriti, gotta, asma bronchiale e malattie allergiche. Tra le acque minerali fortemente radioattive usate come bevanda, quella di Lurisia (fonte Garbarino) è la più radioattività al mondo (1.135 nC per litro). Invece sono tante le acque minerali leggermente radioattive imbottigliate e presenti nei supermercati.  «Tra le acque più radioattive (oltre 5550 becquerel): Ischia, Lacco Ameno di Ischia, Laurisia di Roccaforte (Cuneo). Dai 1850 ai 5550 bq: Tettuccio (Montecatini), Merano (Bolzano), Bagni di Bormio (Sondrio). Dai 370 ai 1850 bq: Merano (altre sorgenti), Bagni di Ed­gardo (Percines), Bognanco (Novara), Nepi (Viterbo), Portole, Spez­zano Albanese (Cosenza). Altre acque radioattive, con livello inferio­re a 370 bq: Abano, Castellamare di Stabia, Fiuggi, Salice Terme, San Pellegrino, Sirmione, Uliveto, Vicarello» (L’Alim. Nat. cit).

IL CASO DELL’ARSENICO. La presenza di arsenico nelle acque di acquedotto e in quelle minerali è dovuta al contatto delle acque naturali di sorgente con rocce vulcaniche di profondità, dove spesso si trova insieme col ferro. Fino a metà del Novecento l’arsenico, oltreché in grandi quantità nei veleni per topi e per umani (“Arsenico e vecchi merletti” è un famoso film di Frank Capra, 1944), era impiegato in minime quantità nei “ricostituenti” per bambini e debilitati. Infatti, nelle acque minerali l’arsenico era ed è tuttora considerato utile in terapia, entro certi limiti (l’acqua è spesso diluita) e in particolari terapie. “Acque arsenicali-ferruginose” sono infatti le acque minerali che l’idrologia medica (v. più avanti) prescriveva e tuttora indica agli anemici, perché nelle minime concentrazioni delle acque minerali approvate stimola la produzione di sangue dal midollo osseo e agisce sulla funzionalità della tiroide, eccitandola o inibendola a seconda delle concentrazioni. Oggi, però, guardando alle statistiche della epidemiologia, è considerato soprattutto una sostanza cancerogena (Gruppo 1, IARC 1987) collegata a maggior rischio, se in eccesso o assunta per lungo tempo, soprattutto di tumori (dai polmoni alla pelle), ma anche di malattie respiratorie e cardiovascolari. Perciò, per legge europea è ammesso solo entro 10 μg/L sia per l’acqua di acquedotto, sia per l’acqua in bottiglia. Ma in seguito a consumi elevati e protratti (è noto che a scopo preventivo bisogna bere ogni giorno molta acqua e consumare molti vegetali, che se sono stati innaffiati con acqua locale a loro volta contengono molto arsenico), questo metalloide tende ad accumularsi, anche per la cottura dei cibi, e perciò bisognerebbe per prudenza mantenersi al di sotto del limite legale. I Comuni del Viterbese, fondati su rocce vulcaniche, sono famosi per avere quasi tutti acque al di sopra di tale soglia, e spesso di molto (Ronciglione: 80,4, Capranica 31,7, Nepi 30,8, Carbognano 30,0 μg/L), pochi Comuni sono appena al di sotto, ma comunque a rischio epidemiologico nei consumi elevati, e solo tre Comuni hanno valori relativamente “bassi”, pari o inferiori a quelli di alcune acque minerali (v. tabella sotto): Orte 5,7, Graffignano 5,2, Bassano in Teverina 5,4 μg/L. Ma, come tutti gli eventi naturali, c'è variabilità nel tempo, che genera sconcerto e confusione. Anche qualche Comune dei Castelli Romani ha questo problema, però in misura minore. Ma sono casi eccezionali ben individuati, per i quali si procede sia alla “dearsenificazione” con impianti speciali a ozono che ossidano e fanno precipitare parte dell’arsenico, sia alla miscela con altre acque, se disponibili, che riducono il tasso di arsenico entro i limiti, ma non lo eliminano del tutto. L’interessantissimo studio epidemiologico, che rivela gli inquietanti collegamenti tra l’arsenico e varie gravi malattie, è stato condotto a cura del Dip. di Epidemiologia del Serv. San. della Regione Lazio (aprile 2012). Tra gli acquedotti più grandi e le città capoluogo, solo Viterbo superava, e di molto, il limite legale di 10 μg/L per l’arsenico (ben 27,200 μg), e ora si sta attrezzando con impianti speciali e reperimento di nuove acque. Ma su questo metalloide devono fare attenzione (rischio di accumulo per uso abbondante e continuato) anche i cittadini che usano le acque “legali” degli acquedotti di Grosseto (7,320 μg), Catanzaro (7,310 μg), Villa Poma in prov. di Mantova (7,290 μg), Mantova (5,510 μg), Cremona (5,180 μg), Lecco (4,460 μg), Albano Laziale (4,430 μg), Sondrio (4,380 μg), Como (3,950 μg), Trento (2,760 μg), Rionero in Vulture (2,730 μg), Napoli (2,650 μg), Cardano in prov. di Bolzano (2,530 μg), Fubine in prov. di Alessandria (2,240 μg) e Biella (2,170 μg). Che almeno, dopo aver bevuto per anni tali acque di acquedotto, non ci “bevano sù” anche delle acque minerali ricche di arsenico (v. tabella in basso). Tuttavia anche le acque minerali possono essere trattate con aria arricchita di ozono (Direttiva UE, recepita con legge 29 dicembre 2003), che è una innocua ma molto più ossidante forma allotropica (O3) dell’ossigeno (O2), per abbattere indesiderati sali di ferro, zolfo e arsenico. In tal caso il trattamento è riportato in etichetta.

ANCHE GLI ACQUEDOTTI CONTRO LA "DUREZZA". Ora, poi, per imitazione, anche i responsabili dei migliori acquedotti cadono nel vizio consumistico di propagandare la loro acqua come "del tutto analoga alla minerale", se non migliore, vantandone la "leggerezza", cioè la scarsità di sali, dal sodio al calcio. Ecco un effetto perverso della concorrenza con la più trendy minerale. E infatti, fateci caso, tutte le specificazioni sui sali dell’acqua appaiono semanticamente "negative" fin nella scelta linguistica: "residuo" fisso, cioè qualcosa di non essenziale, che può, anzi deve essere eliminato come un qualsiasi rifiuto, e poi il grado di "durezza" (dovuto alla presenza di calcio e magnesio) che ci ricorda – ne sanno qualcosa gli idraulici di Roma, che di questa "durezza" vivono – le incrostazioni dure come la pietra (carbonati di calcio e magnesio) che intasano tubi e serpentine di caldaie a gas e scaldabagni. E ci vuol poco alla casalinga immaginare che altrettali "incrostazioni" si possano verificare, ahimé, nel nostro corpo! Il che non è vero, anzi, semmai – come vedremo – avviene il contrario.

CALCIO SULL'ETICHETTA: DA 300 IN SU. Attenzione quindi all'etichetta, ma per opposti motivi: un buon quantitativo di calcio è 300 mg/litro o più. L’ideale sarebbe da 300 a 1500mg/L. Il fabbisogno quotidiano è circa 800mg, ma l’acqua non può certo sostituirsi all’intera dieta, semmai tappare qualche carenza o situazione sul limite.

SI SAPEVA GIA' TUTTO IERI, MA TUTTI TACEVANO. E non è una scoperta di oggi che l’acqua migliore è quella ricca di sali, insomma "dura", quindi con un alto "residuo fisso" (TDS, il solido dissolto totale, nel gergo tecnico-scientifico). Lo prova l’epidemiologia. In una ricerca in 92 città, dove si beveva acqua con più alto TDS si riscontravano meno morti per infarto, cancro e malattie croniche degenerative (Sauer HA, Relationship of water to risk of dying. In: Manner DX, Water quality research Council, 1974, pp.76-79). Una revisione dello studio confermò il collegamento (Comstock GW, Water hardness and cardiovascular diseases. Am J Epidemiol 1979;110:375-400). Il British Regional Hearth Study (UK) su 253 città scoprì nel 1969-73 che c’era il 15% in più di decessi per cardiopatie dove l’acqua aveva minore durezza. Si suggerì come grado di durezza ideale (calcio più magnesio) 170mg/L (Shaper AG et al, Cardiovascular risk factors etc. BMJ 1981;283:179-186). Negli Stati Uniti su 4200 adulti di 35 diverse aree si riscontrò minore mortalità con maggiore durezza dell’acqua (Greathouse DG, Osborne RH, Preliminary Report on Nationwide Study of drinking water and cardiovascular diseases, J Environ Pathol Toxicol 1980;3:65-76). Una controprova schiacciante si ebbe in UK nelle città di Scunthrop e Grimsby. In entrambe c’era lo stesso tasso di mortalità per patologie cardiache. Ma quando l’acquedotto di Scunthrop abbassò il livello di direzza dell’acqua, nel giro di qualche anno aumentò drasticamente il numero di decessi. Mentre a Grimsby la percentuale rimaneva costante (Shaper AG et al, cit). lo stesso accadeva nelle città italiane di Crevalcore e Montegiorgio (Lee G.) e in Abruzzo (Leoni V et al, Water hardness and cardiovascular mortality rate in Abruzzo, Italy. Arch Environ Health 1985; 40:274-278). L’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti, dopo numerosi studi, concluse che la durezza ottimale delle acque da bere può ridurre il tasso di mortalità per malattie cardiache di almeno il 15% (Nat Res. Council, Drinking water and Health. Vol.I:477. Washington DC, 1977).

STUDI RECENTI: CALCIO E MAGNESIO PROTETTIVI. Naturalmente ci sono centinaia di studi recentissimi che confermano con molti dettagli più attuali questi collegamenti. Ma a noi qui interessava dimostrare che l’ignoranza di certi "esperti" da tv o da pubblicità, oltreché del pubblico, è di lunga data. Quindi molto più grave. Pubblichiamo, però, anche due studi recenti. Il primo mostra come l’acqua ricca di calcio e magnesio sia un’ottima soluzione pratica in diete spesso carenti di minerali, come quelle degli anziani (e, aggiungiamo, anche dei vegans e vegetariani trasandati). 
      Nello studio che segue, un’altra conferma recente sul calcio dell’acqua fortemente protettivo verso la mortalità cardiovascolare. Il magnesio probabilmente è collegato con una curva a U agli incidenti al cervello:

CARDIOVASCULAR MORTALITY AND CALCIUM AND MAGNESIUM IN DRINKING WATER: AN ECOLOGICAL STUDY IN ELDERLY PEOPLE. Journal European Journal of Epidemiology 18, 4, April 2003, 305-309. Sébastien Marque, Hélène Jacqmin-Gadda, Jean-Francois Dartigues and Daniel Commenges (Universite de Bordeaux II, 146 rue Saignat, 33076 Bordeaux, France).
Background: Previous studies found relations between cardiovascular mortality and minerals in drinking water, but the major works considered water hardness or neglected the differences between adults and elderly. Drinking water is an important source of calcium in the elderly particularly because of increased needs and decreased consumption of dairy products.
Methods: We collected informations about all deaths (14,311) occurring in 69 parishes of the South–West of France during 7 years (1990–1996). We obtained the causes of deaths from a special service of INSERM for each death, with age at death and sex. The exposure value was supplied by administrative source (DDASS) and by measurement surveys. We use an extra-Poisson variation model to take into account the heterogeneity of the population of these parishes.
Results: A significant relationship was observed between calcium and cardiovascular mortality with a RR: 0.90 for non-cerebrovascular causes and RR: 0.86 for cerebrovascular (when calcium is higher than the second tercile: 94 mg/l). We found a protective effect of magnesium concentrations between 4 and 11 mg/l with a RR: 0.92 for non-cerebrovascular and RR: 0.77 for cerebrovascular mortality, as compared to concentrations lower than 4 mg/l.
Conclusions: These findings strongly suggest a potential protective dose-effect relation between calcium in drinking water and cardiovascular causes. For magnesium, a U-shape effect is possible, especially for cerebrovascular mortality.


Ed ora uno studio canadese del 2007 sulle acque di acquedotto e in bottiglia in America e in Europa. Mostra che con 1-2 litri al giorno, specie se le acque sono europee, si ottiene un’alta percentuale di calcio e magnesio alimentare rispetto ai livelli raccomandati:

COMPARISON OF THE MINERAL CONTENT OF TAP WATER AND BOTTLED WATERS. Arik Azoulay, Philippe Garzon and Mark J. Eisenberg. Journal Journal of General Internal Medicine 16, 3, March, 2001, 168-175
Objectives: Because of growing concern that constituents of drinking water may have adverse health effects, consumption of tap water in North America has decreased and consumption of bottled water has increased. Our objectives were to 1) determine whether North American tap water contains clinically important levels of calcium (Ca2+), magnesium (Mg2+), and sodium (Na+) and 2) determine whether differences in mineral content of tap water and commercially available bottled waters are clinically important.
Design: We obtained mineral analysis reports from municipal water authorities of 21 major North American cities. Mineral content of tap water was compared with published data regarding commercially available bottled waters and with dietary reference intakes (dris).
Measurements And Main Results: Mineral levels varied among tap water sources in North America and among bottled waters. European bottled waters generally contained higher mineral levels than North American tap water sources and North American bottled waters. For half of the tap water sources we examined, adults may fulfill between 8% and 16% of their Ca2+ DRI and between 6% and 31% of their Mg2+ DRI by drinking 2 liters per day. One liter of most moderate mineralization European bottled waters contained between 20% and 58% of the Ca2+ DRI and between 16% and 41% of the Mg2+ DRI in adults. High mineralization bottled waters often contained up to half of the maximum recommended daily intake of Na+.
Conclusion: Drinking water sources available to North Americans may contain high levels of Ca2+, Mg2+, and Na+ and may provide clinically important portions of the recommended dietary intake of these minerals. Physicians should encourage patients to check the mineral content of their drinking water, whether tap or bottled, and choose water most appropriate for their needs.


L’acqua ricca di calcio serve, eccome, al mantenimento della massa ossea nelle donne dopo la menopausa. Lo studio è italiano:

IMPORTANCE OF BIOAVAILABLE CALCIUM DRINKING WATER FOR THE MAINTENANCE OF BONE MASS IN POST-MENOPAUSAL WOMEN. Costi, D et al, J. Endocrinol Invest. 1999 Dec; 22(11): 852-6
The aim of this research was to establish the importance of calcium intake through mineral water on vertebral bone density in women. To this purpose, we examined 255 women divided into two groups: those regularly drinking a high calcium content mineral water (group A; no.=175) and those using different type of water with a lower calcium content (group B; no.=80). Their dietary daily calcium intake was determined by means of a validated questionnaire (N.I.H. Consensus statement) and vertebral bone density was measured by Dual-Energy X-ray absorptiometry (Unigamma-plus ACN densitometer). Women in group A ingested a significantly higher quantity of calcium in water than women in group B (mean difference 258 mg; 95% confidence limits: 147-370 mg). The average bone density values were slightly but significantly higher in group A as compared to group B (mean+/-SD: 1.044+0,15 vs 1.002+0,14; p=0.03). In addition to age, BMI and menopausal status, calcium intake was a significant predictor of spinal BMD. These 4 variables explained about 35% of the spinal BMD variance. When the analysis was repeated separately for pre- and post-menopausal subjects, calcium remained a significant predictor in post-menopausal women (t=2.28; p=0.02), but not in premenopausal women. These results underline the importance of a lifelong daily calcium intake, resulting by the regular drinking of high bioavailable calcium water, in order to maintain bone mass after the menopause, in comparison to the use of a lower content calcium water.


In Francia e in altre zone dove l’acqua potabile è povera di calcio, uno studio prova che un’acqua decisamente calcica può dare un buon contributo nutrizionale. Suggerimento adatto anche a chi non consuma latte e formaggi, o perché è a dieta o perché vegan:

CONTRIBUTION OF MINERAL WATERS TO DIETARY CALCIUM AND MAGNESIUM INTAKE IN A FRENCH ADULT POPULATION. P. Galan et al., J Am Diet Assoc, 102, 11, pp 1658-1662 (November 2002)
Objective To assess the contribution of mineral water containing different amounts of calcium and magnesium to the total dietary intakes of these minerals
Design Matched case control study using data issued from the Supplémentation en Vitamines et Minéraux Antioxydants (SU.VI.MAX) cohort.
Subjects Subjects were water consumers—240 men and 424 women—divided into the following 4 groups (n=166 per group): regular drinkers of a calcium-rich and magnesium-rich mineral water (calcium, 486mg/L; magnesium, 84mg/ L), drinkers of a water classified as a moderately mineralized content (calcium, 202mg/L; magnesium, 36mg/L), drinkers of 2 low-mineralized waters (calcium, 9.9 to 67.6mg/L and magnesium, 1.6 to 2mg/L, respectively), and drinkers of tap waters.
Statistical analyses Quantitative data were compared using student's t test. Mean comparisons were performed in multivariate analysis by analysis of variance.
Results. Dietary calcium intake provided by the various food groups did not differ between the 4 consumer groups, except for calcium provided by mineral water. According to its calcium concentration, mineral water may contribute to one fourth of the total daily calcium intake. Subjects who regularly drink mineral-rich water have a calcium intake that is significantly higher than those drinking either low-mineral-content water or tap water. Dietary magnesium intake provided by the various food groups did not differ between the 4 consumer groups, except for magnesium provided by mineral water. Depending on the magnesium concentration of the mineral water, it contributed 6% to 17% of total daily magnesium intake. Drinkers of magnesium-rich mineral water and water with a moderate mineral content had magnesium intakes significantly higher than those of drinkers on low-mineralized or tap water.
Applications Mineral-rich water may provide an important supplementary contribution to total calcium and magnesium intake. For dietetics professionals, it may provide - in place of the usual recommendations concerning the consumption of dairy products - a good way to improve calcium and magnesium intakes, particularly in subjects who don’t like dairy products.


Il calcio dell’acqua, di rubinetto o in bottiglia, si assorbe quasi come quello del latte, come mostrano vari studi, tra cui questo italiano (su un’acqua in bottiglia, ma lo stesso vale per tutte le acque ricche di calcio, comprese quelle di rubinetto):

CALCIUM BIOAVAILABILITY FROM A CALCIUM-RICH MINERAL WATER, WITH SOME OBSERVATIONS ON METHOD. Bacciottini L. et al, J Clin Gastroenterol. 2004; 38(9):761-6
Goals: The study was designed to determine whether high-calcium mineral water is an efficient additional source of dietary calcium, optimizing a method for calcium determination never used for mineral waters.
Background: It is generally agreed that an adequate calcium intake is necessary for the acquisition of an ideal peak bone mass and for the maintenance of the bone mineral density in adults, in postmenopausal women, and in the elderly. Mineral waters are calorie free, and some, with high calcium levels, might be significant sources of calcium.
Study: The availability of the calcium contained in a high-calcium mineral water was measured in 27 healthy subjects. In 8 subjects the calcium availability of the water was compared with the calcium availability ingested with milk at the same calcium load. Milk and water were labeled extrinsically with 30 mg Ca. Fractional absorption from the oral dose was determined from plasma samples using ICP-MS technique.
Results: At an ingested calcium load of 3.18 mmol, percentage of absorption for water averaged 22.53 +/- 2.53 (mean +/- SD) for men, 22.57 +/- 2.10 (mean +/- SD) for premenopausal women and 21.62 +/- 3.12 (mean +/- SD) for postmenopausal women. Percentage absorption from milk was 23.15 +/- 4.06 (mean +/- SD).
Discussion: The calcium from the mineral water is thus highly bioavailable, at least as bioavailable as milk calcium, and ICP-MS appears to represent a reliable and reproducible method for calcium absorption from alimentary sources.


Il calcio dell’acqua, di rubinetto o in bottiglia (in questo caso una acqua minerale italiana, ma lo stesso vale per altre acque ugualmente ricche di calcio), si assorbe più di quello del latte, come dimostra questo studio americano:

ABSORBABILITY OF THE CALCIUM IN A HIGH-CALCIUM MINERAL WATER. R. P. Heaney and M. S. Dowell, Journal Osteoporosis International 4, 6, November 1994
The availability of the calcium contained in a high-calcium mineral water popular in Italy, was compared in 18 healthy women with the availability of milk calcium ingested at the same calcium load, using 45Ca as the tracer in a randomized cross-over design. At an ingested calcium load of 2.5 mmol, absorption fraction averaged 0.433 for milk and 0.475 for Sangemini water. The mean quotient of the two (water/milk) was 1.129 (±0.056). The calcium of mineral water is thus highly bioavailable, and at least as bioavailable as milk calcium.


Molto efficaci nei problemi di digestione e nelle dispepsie sono le acque bicarbonato-calciche, a cui uno studio dell’Università di Firenze e anche altri studi attribuiscono la capacità, se assunte in discrete quantità, di accelerare il transito lungo tutto il canale digestivo. Inoltre la ricchezza in queste acque minerali, di ioni calcio sembra avere sia un effetto diretto sulla muscolatura liscia, sia sul sistema neuroendocrino intestinale, tramite l'attivazione di chemorecettori tali da favorire l'aumento della contrazioni della muscolatura gastrointestinale.
Numerosi gli studi che confermano questa ipotesi, tra cui:


BERTONI M. et al Effects of a bicarbonate-alkaline mineral water on gastric functions and functional dyspepsia: a preclinical and clinical study. Pharmacol Res. 2002; 46:525-531.
BORTOLOTTI M. et al. Modifications induced by mineral water on gastrointestinal motility of patients with idiopathic dyspepsia. Minerva Medica 1999;90:187-194.
ANTI M. et al. Water supplementation enhances the effect of high-fiber diet on stool frequency and laxative consumption in adult patients with functional constipation. Hepatogastroenterology 1998;45:727-732
CUOMO R. et al. Effects of carbonated water on functional dispepsia and constipation. Eur J Gastroenterol Hepatol 2002;14:991-999. 
DESSINER JM. Et al. Psychophysical and neurobiological evidence that the oral sensation elicited by carbonated water is of chemogenic origin. Chemical Senses 2000;25:227-284.

“ADDOLCIMENTO” DELL’ACQUA DI RUBINETTO? NO. Se quello finora dimostrato è vero, ne consegue che anche le acque "addolcite" con sistemi filtranti speciali anti-calcio (spesso a base di cloruro di sodio) risultano doppiamente dannose. Sia per la notevole aggiunta di sodio attraverso il sistema filtrante, sia per la carenza di calcio e magnesio, notoriamente sali minerali protettivi. Tanto che le autorità sanitarie consigliano ai tecnici di regolare gli apparecchi addolcitori in modo da non avere mai meno di 60 mg/L di calcio.

FILTRI O “CARAFFE” FILTRANTI? SONO A RISCHIO. Andranno bene per togliere il cloro, quando c’è, ma per il resto i filtri (impianti fissi o caraffe) non sono consigliabili. Il rischio è plurimo: la flora batterica può moltiplicarsi nell’adattissimo ambiente sempre umido dei filtri di carbone o di resine; questi due materiali possono ritrovarsi in tracce nell’acqua; può sbilanciarsi la composizione minerale intaccando non si sa quanto calcio, magnesio e altri sali utili, senza dare la certezza di eliminare arsenico e altri metalli tossici. Un’inchiesta scientifico-giudiziaria condotta dall’Università di Roma ha dimostrato che l’acqua filtrata peggiora a mano a mano che si usa il filtro (che si satura presto), col rischio di diventare “non potabile”. E il consumatore non può mai sapere il grado eventuale di contaminazione da batteri o altri agenti microbici. Dopo l’inchiesta del procuratore Guariniello (Torino), l’Istituto Superiore di Sanità ha messo in guardia produttori e consumatori: le caraffe filtranti hanno bisogno di manutenzione costante per non essere dannose. E in più sono spesso inutili e sempre molto costose.

CALCIO MINERALE COME QUELLO "BIOLOGIZZATO". Come si è visto negli esempi di studi scientifici sopra riportati, la condanna delle acque oligominerali in bottiglia e delle acque di rubinetto troppo scarse di sali è completata dalla scoperta che è scientificamente falsa la diceria, sopravvissuta più a lungo in ambiente naturista, che "una cosa è il calcio di latte e verdure, biologizzato attraverso gli organismi vegetali e animali, e altra cosa quello minerale dell’acqua, inutile perché inassorbibile". Si è dimostrato poco o nulla vero. Probabilmente le vecchie ricerche non erano condotte in modo razionale, fatto sta che i nuovi studi dimostrano tutti, al contrario, che i sali minerali delle acque, primo tra tutti il calcio, si assorbono benissimo nel corpo umano, tanto che vanno a rinforzare il turnover delle ossa.

MA NON C’E’ RISCHIO DI CALCOLI RENALI? NO, ANZI, IL CALCIO DI ACQUA E CIBO E' PROTETTIVO. E non solo calcio e magnesio delle acque sono ben assorbiti (quasi come il latte in alcuni studi, come e più del latte in altri, v. i tre abstract sopra riportati), ma è smentita l’ingenua credenza popolare e dei medici di base che troppi minerali dell’acqua favorirebbero i calcoli renali (Inran, Linee Guida cit.). Anzi, è dimostrato esattamente il contrario: favoriscono l’eliminazione dei sali minerali non essenziali (sodio e cloruri, p.es), come J. Sorenson provò tra i primi già nel 1983. Uno studio prospettico su New England Journal of Medicine, una delle più importanti riviste biologiche al Mondo, ha provato che gli uomini del gruppo che assumeva più calcio nella dieta, rispetto a quello che ne assumeva di meno, avevano un RR, rischio relativo medio, di calcoli renali di 0,56, cioè molto più basso [il rischio immutato è 1]. Come anche l’assunzione di più potassio: rischio relativo medio 0,49. Anche l’assunzione di più liquidi abbassava il rischio relativo: 0,71. Insomma, un’alta assunzione di calcio che può venire da un’acqua ricca di calcio e altri minerali, non aumenta, ma diminuisce il rischio di calcoli renali [Curhan et al., 1993; 328:833-838]..«Si crede che le acque con alto residuo fisso secco siano "dannose" perché favoriscono la formazione di calcoli renali e vescicali! La calcolosi renale e vescicale si forma, invece, quando l’urina ha un valore di densità superiore a 1025 e un pH acido (valore inferiore o uguale a 5). A chi ha un pH acido dell’urina consiglio di eseguire calciuria (ricerca di calcio eliminato), che è una causa di osteopenia e osteoporosi! A chi soffre di queste patologie ossee, consiglio di assumere acqua con alto residuo fisso secco, contenente buone dosi di calcio e magnesio. Questi minerali sono prontamente assorbiti a livello intestinale contribuendo a migliorare il metabolismo del calcio nelle ossa» (P.L. Rossi, nutrizionista clinico).
      Un importante studio condotto per 8 anni su oltre 96.000 donne giovani, tra 27 e 44 anni di età, che non avevano avuto in precedenza calcoli renali, ha mostrato che l’assunzione di grandi quantità di calcio, potassio e liquidi attraverso la dieta (acqua da bere compresa) riduceva il rischio della formazione di calcoli renali, perfino quelli di calcio; mentre gli integratori di calcio, il sodio e le proteine animali possono essere pericolosi. Anche i fitati, abbondanti nel rivestimento di cereali (integrali) e legumi, sono protettivi dai calcoli renali di ossalato di calcio (Curhan et al. 2004).

METALLI PESANTI? MA CE NE SONO PIU' NEL TONNO. Certo, nel totale dei sali sciolti nelle acque da bere (TDS o residuo fisso che dir si voglia), accanto a calcio, magnesio e potassio potrebbero essere presenti anche tracce di nitrati (inquinamento organico) o metalli pesanti come il cromo o il piombo (scarichi industriali abusivi). Ma la legge è severa su questo punto, e sia le acque di acquedotto, sia le minerali in bottiglia, per essere commercializzate o distribuite ai consumatori non possono superare minimi limiti di legge (che, anzi, andrebbero ristretti ancora), come abbiamo visto sopra per le acque di acquedotto delle zone vulcaniche troppo ricche di arsenico (≥10µg/L), oggi per legge europea e direttive dell’Istituto Superiore di Sanità offerte ai cittadini in fontanelle filtrate con appositi macchinari. Ma le tracce di metalli tossici sono casi rari e controllati. Lo stesso non si può dire, invece, per alcuni alimenti come i pesci, specialmente quelli più grandi e carnivori (tonno, pesce spada, palombo, ma anche sgombro), che pure sono di largo consumo, ben dotati di metalli pesanti come mercurio, cromo ecc.

LE MIGLIORI ACQUE MINERALI IN ITALIA. Se questa è la ricerca scientifica, ne consegue che, dal punto di vista nutrizionale (per le quantità di minerali tossici, invece, si veda al link alla tabella della ricerca di Le Scienze), in Italia le migliori acque minerali, adatte a tutti tranne che ai malati di insufficienza renale (i quali devono seguire le indicazioni dei nefrologi), non sono certo le oligominerali, ma quelle mediamente minerali, ovvero, in pratica, considerando le più note e meglio distribuite sul territorio nazionale, Santagata e Lete (che hanno il vantaggio ulteriore di costare poco), Ferrarelle e Sangemini (quest’ultima molto costosa), Uliveto e S. Pellegrino. Cioè quelle raffigurate in alto nella tabella Calcio, magnesio e residuo fisso (3). Ma, se ci abituiamo a leggere attentamente i valori di calcio e magnesio sulle etichette, possiamo scoprire almeno un’altra decina di acque in bottiglia che apportano un buon livello di sali minerali protettivi. Tra le sei sopra segnalate, è prudente non affidarsi per un largo e regolare consumo a quella molto ricca di arsenico: Ferrarelle.

ETICHETTE: VALORI CHE CAMBIANO NEL TEMPO, O VENGONO NASCOSTI. E’ poco noto che il contenuto in sali minerali di un’acqua, minerale o di acquedotto (e stiamo parlando di ogni singola fonte), varia nel tempo. Perciò anche le acque minerali in bottiglia hanno, di anno in anno, valori minerali leggermente diversi, come accertano le analisi chimiche obbligatorie, riportate purtroppo solo parzialmente sull’etichetta. Un paragone tra diverse acque, quindi, andrebbe effettuato nel medesimo anno. Può anche accadere che l’acqua di una fonte, avendo valori limite, da un anno all’altro passi di categoria, e da oligo diventi medio-minerale o viceversa. Per esempio, prendendo come base la tabella 1, l’acqua Santagata, che nel 2010 aveva 298 mg di calcio, nel 2011 ne segnala 300 mg, mentre l’Uliveto che nel 2010 aveva 190,1, nel 2011 ne ha solo 171 mg. Quindi, bisogna far riferimento soltanto all’etichetta sulla bottiglia, anziché al sito web o ai dépliant, che potrebbero non essere aggiornati. 
      Un tempo, quando il largo pubblico era ignorante e non leggeva le etichette sulle bottiglie, queste riportavano decine e decine di minerali, mentre oggi che il pubblico ha imparato a leggerle, e quindi ne potrebbe essere impressionato (così temono i produttori), le etichette riportano pochissimi minerali. E’ un male, e i consumatori dovrebbero protestare, visto che si pretende da loro di bere anche 2 litri di acqua al giorno, e perciò con 2 litri anche i minerali minori acquistano peso. Fatto sta che alcuni minerali secondari, ritenuti pericolosi, come lo stronzio (radioattivo) e altri dati sulla radioattività, sono spesso eliminati dalle etichette. Ricordo che, tra le altre, le acque Uliveto e Nepi, che sorgono in aree geologicamente radioattive, anni fa riportavano i valori dello stronzio. Oggi non più. Altri valori negativi sono l'arsenico, i nitrati (o peggio i nitriti) e l’ammoniaca, che segnalano inquinamento biologico o da concimazioni agricole. I nitrati ci sono sempre nelle etichette, l’ammoniaca quasi mai. Invece, c’è sempre il sodio, un dato assolutamente inutile, perché sempre bassissimo, anzi infinitesimale rispetto al sodio che si ingerisce a tavola: così i produttori possono vantare, tra tanti difetti della loro acqua, che almeno “è povera di sodio”. Grazie tante: non è certo acqua di mare!

LISCIA O GASSATA? LA SECONDA. A MENO CHE…. Infine il luogo comune che l’acqua davvero "naturale" sarebbe quella senza anidride carbonica, cioè non gassata, che poi è l’acqua che piace di più agli Italiani, in questo primi nel Mondo. L’acqua sorgiva minerale, specialmente se proviene da rocce vulcaniche, in origine esce in molti casi dotata di CO2 e di ossigeno disciolto. La raccolta nelle vasche di sedimentazione e l’imbottigliamento riducono e spesso annullano questa presenza gassosa. Non è, dunque, un artificio eccessivo il ristabilimento o l’aggiunta ex novo di CO2. E’ un artificio di gran lunga minore di quello di tenere l’acqua, che è cosa mobile e ossigenata, chiusa in una bottiglia, ferma per giorni o mesi o anni, peggio se sotto il sole o alla viva luce, peggio ancora se in bottiglie non di vetro ma di plastica. Insomma, conservare l’acqua in bottiglia è poco “naturale”, e anzi l’aggiungervi anidride carbonica non aggrava, ma riduce i piccoli rischi di questa innaturalità. 
      L’acqua effervescente, grazie al gas CO2 anidride carbonica, non è affatto dannosa per persone normali e in buona salute. Però può essere controindicata nel reflusso gastro-esofageo o altri disturbi di stomaco. E’ provato che la leggera “acidità” (o la “minore alcalinità”, perché il pH si abbassa sempre un poco) dovuta all’acido carbonico che si forma per la soluzione in acqua dell’anidride CO2 naturale o aggiunta, favorisce la digestione, migliora il gusto, aiuta a dissetarsi. Si discute se l’acido carbonico riduca l’assorbimento dello ione calcio nelle ossa o no. Comunque, un’acqua in bottiglia naturalmente o artificialmente acidulata con CO2 è più igienica, cioè si conserva meglio di un’acqua "liscia", in quanto alcuni studi dimostrano una netta azione protettiva antibatterica. Le bottiglie di acqua, infatti, sono sempre immagazzinate e trasportate senza alcun riparo da luce e calore, e perciò è importante qualsiasi elemento che ne preservi la purezza batteriologica, o almeno riduca la percentuale di batteri. Lo prova l’illuminante studio (Loy et al 2005) sulla superiorità igienica dell'acqua gassata (v. oltre).

GRADO DI ALCALINITA’ E PH. C’è una differenza nel pH tra acque di rubinetto e minerali. Nelle acque minerali c’è una certa variabilità, da 5 a oltre 8. In riferimento all’acqua distillata senza anidride carbonica disciolta (pH=7, cioè neutro), la maggior parte delle acque minerali ha pH alcalino (superiore a 7), mentre tutte le acque di acquedotto, si è visto, hanno un pH alcalino. Infatti, come si vede nella tabella (link in rosso, sopra), alcune acque, anche molto note e diffuse, sono a pH acido, come Lete e Santagata (6,1), San Pellegrino (5,2), Uliveto (5,9), Nepi e Claudia (5,7). Il che non vuol dire – attenzione, molti fanno confusione su questo – che un’acqua con composizione e azione basico-alcalina ma a pH acido smetta di essere alcalina nell’organismo umano. Ricordiamoci per analogia dell’arancia o del limone, che hanno un pH acido, come molti frutti, ma che nel nostro corpo hanno un comportamento alcalino dando luogo a sali di valenza basica (tanto che il citrato si usa come anti-acido gastrico). 
       La più “acida” delle acque italiane è la Meraner (4,1) che probabilmente ha un impiego terapeutico, non da tavola. Al contrario, le acque a pH alcalino sono la maggioranza, ma alcune hanno un pH addirittura sopra 8, come S.Croce, Fonte Lieta, Maniva, Alta Grigna, Bracca, Crodo Lisiel, Fonte Lieta, Monte Cimone, Balda, Nerea ecc. Il massimo lo tocca Val Mora (8,4). Conseguenze? Nessuna. Come si è visto sopra, anche per le acque minerali come per quelle di rubinetto, il presunto problema del pH e dell’alcalinità da ricercare a tutti i costi come problema primario perché farebbe “bene” al nostro corpo, è l’ennesima fisima. Anzi, come si è visto, in certi casi una certa acidità previene i rischi igienici, fa digerire e disseta di più. In altri casi è tipica di acque di montagna o più pure. Del resto, il sangue umano tende all’equilibrio cioè alla neutralità, con oscillazioni periodiche, e specialmente se si considera la nostra dieta complessiva, le piccole differenze di pH tra le acque incidono poco o nulla sull’equilibrio del pH dei liquidi organici del corpo.

MA POI FA BENE BERE TANTISSIMA ACQUA? NO. Ogni eccesso, ogni azione forzata, non è naturale. E’ sempre sembrata eccessiva e pubblicitaria la nuova raccomandazione (recente, non per caso, come se istinto e memoria collettiva in questo campo non avessero valore) di bere tantissimo, “almeno 2 litri al giorno”, intendendo soprattutto acqua minerale. Tutti noi abbiamo esperienza di persone sanissime che bevono poco o comunque non arrivano ai 2 litri quotidiani giorno. Quello che conta, infatti, è il contenuto d’acqua non dei bicchieri ma della dieta quotidiana: chi consuma in abbondanza insalate, frutta, brodi, latte, yogurt, tè, vino e consuma i cereali in forma idratata (minestre, pastasciutta ecc), e usa pochissimo sale, non può avere le medesime esigenze, a parità di perdite di liquidi (sudore, esercizio), di chi mangia secco, troppo salato o dolce (p.es., biscotti, crackers, grissini, panini, salatini, salumi, dolci ecc). Lo conferma la nutrizionista canadese Susan Barr docente al British Columbia American College of Nutrition. E anche secondo l’American College of Nutrition, la maggior parte dell’acqua di cui abbiamo bisogno è già contenuta in verdura e frutta fresca, perciò chi è sano e segue una corretta dieta naturista non deve sentirsi in colpa se beve meno dei 2 litri: anzi, “deve” berne di meno. 
      Così può accadere paradossalmente che quanto più la persona sia sana, cioè mangi solo cibi sani, ovvero molto idratati, tanto meno senta il bisogno di bere acqua. I vecchi medici naturisti ripetevano “bevi il tuo cibo, mastica la tua acqua”. Senza contare che l’eccesso di acqua può essere dannoso. Specialmente in alcuni malati di reni, fegato e cuore, o in chi – caso limite – assume certe droghe. Due ragazze, Leah Betts e Anna V. Wood, morirono nel 1995 per edema cerebrale per aver bevuto molti litri di acqua in pochi minuti, in preda a ecstasy (“intossicazione acuta da acqua secondaria ad assunzione di MDMA”). Ma per le persone sane il sistema fisiologico automatico di equilibrio idro-salino nel corpo umano è ben regolato dalla sete. Che non è affatto vero che “interviene in ritardo” come si dice su istigazione dei pubblicitari. Senza contare poi il pericolo della iponatriemia, cioè la caduta del tasso di ione sodio da eccessiva diluizione del sangue, manifestatosi in parecchi sportivi, come mostra uno studio (Almond 2005). Insomma, la storiella ormai diventata popolare dei “2 litri al giorno”, e per giunta di acqua minerale, per la quale non c’è ragazza o segretaria che non si porti appresso tutta la giornata una bottiglietta d’acqua (status symbol), non ha assolutamente prove scientifiche come si vede in uno studio (Valtin 2002).



APPENDICE 

DIVERSITY OF BACTERIA GROWING IN NATURAL MINERAL WATER AFTER BOTTLING Alexander Loy, Wolfgang Beisker, and Harald Meier. Applied and Environmental Microbiology, July 2005, p. 3624-3632, Vol. 71, No. 7
Bacterial growth occurs in noncarbonated natural mineral waters a few days after filling and storage at room temperature, a phenomenon known for more than 40 years. […] In contrast to the current perception that Gammaproteobacteria are the most important bacterial components of natural mineral water in bottles, Betaproteobacteria dominated the growing bacterial community and accounted for 80 to 98% of all bacteria detected in the late-exponential and stationary-growth phases. Using previously published and newly designed genus-specific probes, members of the betaproteobacterial genera Hydrogenophaga, Aquabacterium, and Polaromonas were found to constitute a significant proportion of the bacterial flora (21 to 86% of all bacteria).

ACQUE DI ACQUEDOTTO: LE ANALISI.
Tabelle con i risultati completi delle analisi di campioni di acqua di acquedotto di 157 località italiane, di 105 Province su 111. I risultati hanno mostrato che la qualità delle nostre acque di rubinetto è abbastanza buona, ad eccezione di alcune anomalie. Lo studio (Progetto Atlante Europeo, EuroGeoSurveys Geochem. Exp. Group: De Vivo, Lima, Albanese, Birke et al.) è stato pubblicato su "Le Scienze", dicembre 2010 ("Acqua di casa nostra"). Va ricordato, però, che fluttuazioni naturali nelle percentuali dei minerali possono far variare nel tempo la composizione di ogni acqua di acquedotto. Quindi tenere sempre presente la data dell'analisi.

ACQUE MINERALI: LE ANALISI. Tabelle con i risultati completi delle analisi di ciascuna acqua minerale in commercio in Italia. Lo studio (Progetto Atlante Europeo, EuroGeoSurveys Geochem. Exp. Group: De Vivo, Lima, Albanese, Birke et al.) è stato pubblicato su "Le Scienze", maggio 2010 ("Che acqua beviamo?"). Va ricordato, però, che fluttuazioni naturali nelle percentuali dei minerali possono far variare nel tempo la composizione di ogni acqua minerale. Quindi tenere sempre presente la data dell'analisi.

ACQUE DA BERE: VALORI MASSIMI AMMESSI. Tabella con le concentrazioni massime ammesse per la legge italiana ed europea e i valori delle linee guida dell'Environment Protection Agency USA (EPA) e dell'Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) per le acque minerali naturali e le acque potabili.

ACQUE CON RESIDUO FISSO BASSISSIMO (3) (meno di 50 mg/L). In pratica, come neve o acqua distillata! Non consumare senza insufficienze renali serie, e solo su indicazione del medico specialista (nefrologo): 
■ Lauretana: 14 mg/L (l’acqua con il minor residuo fisso d’Europa) ■ Monterosa: 14.7 mg/L (negozi bio) ■ Fonte delle Alpi (sorgente Seccarezze): 16.9 mg/L (CRAI) ■ Sant’Anna (sorgente Rebruant): 22.3 mg/L ■ Billa (sorgente Martina): 23.7 mg/L (Billa) ■ Amorosa Humana: 25 mg/L (farmacie) ■ Fonte Vallechiara: 28.5 mg/L ■ S. Bernardo (sorgente Rocciaviva): 35.5 mg/L ■ Valverde (Spumador): 37.5 mg/L ■ Pian della Mussa (fonte Sauzé): 37.8 mg/L (Piemonte) ■ Alte Vette (fonti Vinadio): 44.5 mg/L (Iper) ■ Eva (sorgente Fontanone): 47 mg/L ■ Alpi Bianche (fonti Vinadio): 48.9 mg/L

ACQUE CON RESIDUO FISSO BASSO (3). Oligominerali ma con residuo fisso superiore a 50 mg/L. Un po’ meno dannose delle precedenti per i sani, ma sempre sconsigliate per l’uso di ogni giorno, specie per i bambini. Da consumare solo in emergenza (se siete in viaggio e non trovate Ferrarelle, Sangemini, Lete, Santagata, Uliveto, San Pellegrino e le altre acque minerali ricche di calcio e magnesio, e dal residuo fisso alto): 
■ Levissima: 78.2 mg/L ■ Fiuggi: 123 mg/L ■ Maniva: 125 mg/L ■ Panna: 142 mg/L ■ Rocchetta: 177.07 mg/L ■ San Benedetto: 271 mg/L ■ Evian: 309 mg/L ■ Vitasnella: 382 mg/L.

VALTIN H. Drink at least eight glasses of water a day.” Really? Is there scientific evidence for “8 × 8”? AJP Regu Physiol, 2002 November 1, 283, 5: R993-R1004
ALMOND CSD et al. Hyponatremia among Runners in the Boston Marathon. N Engl J Med 2005; 52:1550-1556, April 14, 2005.
CURHAN GC, WILLETT WC, KNIGHT EL , STAMPFER MJ. Dietary factors and the risk of incident kidney stones in younger women: nurses. Health Study II. Arch Intern Med. 2004;164:885-891.


L'indirizzo web del presente articolo originale di Nico Valerio é:
http://alimentazione-naturale.blogspot.it/2010/07/acqua-che-non-sia-oligominerale-ma.html

NOTE
1. Sesto Giulio Frontino, vissuto nel I sec., curator aquarum, cioè sovrintendente alle acque e agli acquedotti, descrive 9 degli 11 acquedotti di Roma (v. il testo in latino rimasto). Altri 2 saranno costruiti dopo di lui. Pur nel suo pessimo latino di tecnico, esprime un bellissimo concetto laico "Tot aquarum tam multis necessariis molibus pyramidas videlicet otiosas compares aut cetera inertia sed fama celebrata opera Graecorum" (Frontinus, De Aquis Urbis Romae I, 16), che malamente cerchiamo di tradurre: Una tale quantità di opere che trasportano così tanta acqua, comparala se vuoi con le oziose Piramidi o con le altre inutili se pur rinomate opere dei Greci”. 

2. Studio pubblicato su Le Scienze (maggio 2010), condotto nell'ambito del progetto “Atlante Europeo” dell'EuroGeoSurveys Geochemistry Expert Group. Autori: Benedetto De Vivo, Annamaria Lima, Stefano Albanese e Lucia Giaccio del Dipartimento di scienze della Terra dell'Università «Federico II» di Napoli. Manfred Birke del Bundesanstalt für Geowissenschaften und Rohstoffe di Berlino. Domenico Cicchella del Dipartimento di studi geologici e ambientali dell'Università del Sannio, a Benevento. Enrico Dinelli del Dipartimento di scienze della Terra e geologico-ambientali, dell'Università di Bologna. Paolo Valera del Dipartimento di geoingegneria e tecnologie ambientali dell'Università di Cagliari.

3. Questi dati riportati dalle varie etichette, variabili naturalmente di anno in anno, sono riferiti dai lettori di un sito internet, quindi potrebbero non essere esattissimi né corrispondere con quelli dell’anno in cui si legge questo articolo. Ma sono certo indicativi delle “differenze relative” tra le varie acque. Se i lettori hanno altri dati, anche su altre acque, possono inviarli. Data la loro mutevolezza, nelle acque servirebbe in teoria un aggiornamento continuo.

4. "Chiunque avrà scientemente e con manovre fraudolente forato o rotto, o avrà istigato a forare o rompere i canali, gli spechi, i fornici, le tubazioni, le derivazioni, i bottini, le vasche delle acque pubbliche condotte a Roma, o avrà fatto cose peggiori in modo da impedire che quelle acque o una parte di esse zampilli, sia distribuita, divisa o immessa nei castelli terminali e nelle vasche della città di Roma e in quei luoghi ed edifici che sono o saranno adiacenti alla città di Roma, sarà punito con l'ammenda di centomila sesterzi". (Legge del console Quinto Crispino votata nel Foro romano il 30 giugno 97 d.C. Da Frontino, De aquis..., CXXIX)

AGGIORNATO IL 19 MAGGIO 2020

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