domenica 8 maggio 2011

CICERCHIE. Squisite e irregolari, ma da usare di rado. E non perché rare e costose

DALLE PIANTE LA SELEZIONE UMANA. La Natura si diverte a spese dell’Uomo. Almeno così ci sembra guardando quello che nasconde nel “nostro” cibo. Nostro? Se il romantico Leopardi si fosse interessato di alimentazione, nel suo pessimismo senza speranza avrebbe dimostrato facilmente che anche a tavola la Natura non ci è madre, ma “matrigna”. Perché a tradimento nasconde insidie perfino tra i vegetali di cui ci nutriamo ancor oggi, in tempi di selezione accurata delle piante.
      Inquietante, tanto più se si tratta di alimenti usati da millenni, cibi familiari considerati in tempi di riscoperta della Tradizione parte della “alimentazione naturale”, proprio perché elettivi, cioè scelti dall’Uomo dopo esperimenti durati migliaia di anni (“per prove ed errori” dicono gli scienziati), in cui chissà quanti uomini e donne nella ricerca spasmodica e quotidiana d’un nutrimento qualsiasi, per non morire di fame, hanno patito indigestioni, dolori, allucinazioni o paralisi, insomma si sono avvelenati o sono morti. Pensiamo solo alle vecce e alle leguminose velenose come Ervum ervilia e specie simili, consumate fin dal Neolitico e in tempi storici mescolate al grano nella farrago (farragine, cioè semina mista di cereali e legumi) e quindi presenti anche nel pane, che davano ai nostri progenitori una misteriosa temulentia (ebbrezza, allucinazioni), dai sacerdoti attribuita ovviamente a qualche Dio.

UN LEGUME SIMBOLO. Viene di pensare a tutto questo, per associazione di idee, quando si acquistano delle cicerchie, dopo un anno dall’ultima volta. E una ragione c’è. La cicerchia (Latyrus sativus), è un legume “istruttivo”, perché è un simbolo botanico e antropologico sopravvissuto fino ad oggi, insieme con la cassava, i fagioli bianchi di Spagna e molti altri alimenti, anzi quasi tutti, dell’antichissima selezione naturale operata dalle piante verso la specie umana. Selezione che è stata molto più subdola e diffusa di quella delle rare “bestie feroci”. L’uomo arcaico credeva di selezionare i cibi (“cibo elettivo”) eliminando questo o quell’alimento che dava problemi, ma in realtà ne veniva selezionato, anche perché dei più subdoli dei cibi velenosi non poteva accorgersi: c’è voluta la recentissima scienza sperimentale per scoprire la vera tossicologia degli alimenti.
      La cicerchia è uno dei legumi più antichi (reperti in siti archeologici della Mesopotamia, 8000 a.C., domesticata nella penisola balcanica verso il 6000 a.C.), più consumati dai nostri progenitori, e anche più squisiti. Già solo per questi tre motivi andrebbe riscoperta e consumata, almeno di tanto in tanto.

SPECIE RUSTICA. Di sapore delicato, unico, secondo alcuni tra i ceci e i fagioli, è unica anche per la sua forma, vagamente quadrangolare e molto irregolare, tanto che quasi non si trovano due semi uguali. Oggi rara e costosa (anche 5-7 euro al chilo), coltivata solo in piccole aree più tradizionali lungo l’Appennino (Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo ecc.), per un ristretto mercato di intenditori o nostalgici del cibo contadino, è stata molto usata in passato in tutta l’Europa del centro-sud come cibo povero, e tuttora nelle aree geografiche più aride e arretrate di Africa, Asia e America del Sud, perché è una pianta rustica che non abbisogna di concimi speciali o antiparassitari, e sopravvive bene alla siccità. E’ stata, insomma, ed è tuttora il cibo di tutti i giorni – sempre meno, però – dei popoli che combattono con la carestia, la mancanza d’acqua e il sole. Anzi, secondo agronomi e chimici, proprio nello stress ambientale il legume dà il meglio (sapore, polifenoli e altre sostanze anti-nutrizionali utili), ma anche il peggio di sé (difficoltà di cottura, sostanze tossicologiche).

NON OLTRE IL 30 PER CENTO DELLA DIETA. Le squisite cicerchie, infatti, sono uno dei simboli di quell’estraneità della Natura agli interessi dell’Uomo di cui si parlava all’inizio: sono il legume tradizionale più tossico – e d’una tossicità che in circostanze estreme, che non sono normalmente le nostre oggi in Europa, ha esiti drammatici – tra quelli coltivati e venduti ancor oggi. In passato, specialmente durante le ricorrenti carestie, e tuttora in aree sempre più limitate del Sud del Mondo, una dieta a base di cicerchie ha fatto registrare tra i soggetti più poveri molti casi di latirismo, un avvelenamento grave provocato da aminoacidi neurotossici tipici della pianta. Studi sperimentali provano che il neurolatirismo si verifica negli animali e nell’uomo quando le cicerchie sono superiori al 30% della dieta (Grela 2000).

AMINOACIDI NEUROTOSSICI. Le cicerchie, infatti, anche nelle varietà ingentilite di oggi, contengono pur sempre gli aminoacidi tossici sul sistema nervoso Daba (acido L-2,4-diamminobutirrico) e soprattutto Odap (acido ß-N-oxalil-L-a,ß-diaminopropanoico), che se assunti in eccesso (cosa impossibile, però, se l'alimentazione è normale e variata) potrebbero dare latirismo, caratterizzato da debolezza e progressiva rigidità muscolare, fino alla spasticità, cioè alla paralisi irreversibile delle gambe.
      La cicerchia contiene anche omoarginina che ha un ruolo sia negativo che positivo, come precursore del radicale monossido d’azoto (NO), e in quanto può essere convertita in utile lisina dai mammiferi.
Poiché esiste una grande variabilità tra le cicerchie, a seconda del terreno, delle condizioni ambientali e della varietà, in pratica non si può sapere qual è il contenuto in Odap delle cicerchie che stiamo mangiando: il minimo e il massimo possono variare di 14 volte. Recenti esperimenti agronomici del CNR in Italia hanno confermato la grande variabilità secondo cultivar, terreno e clima nel contenuto di Odap (0,018-0,260 mg/g) e di omoarginina (6,3-14,8 mg/g), a quanto riferisce una recente relazione (Piergiovanni 2009). Ma secondo U. Bonciarelli (Univ. Perugia) l’aminoacido Odap è presente in percentuali maggiori: 0,3-1 mg/g. Ecco perché è bene essere prudenti, e consumare le cicerchie di rado e non in modo continuativo.

CHE COSA LE DETOSSIFICA E QUANTO. Ma l’uso sporadico non pone rischi pratici nell’uomo, segno che l’Odap è in parte detossificato dal fegato. Tanto è vero che a differenza degli animali nell’uomo l’escrezione di Odap con le urine è bassa (Barceloux 2008). Il latirismo, insomma, era tipico delle diete povere a base di cicerchie, in cui le cicerchie avevano un ruolo importante nella dieta, essendo consumate ogni giorno in buona quantità, per almeno 3 mesi (Yan 2006), oppure in popolazioni debilitate da carestia e carenze alimentari, come oggi in India ed Etiopia. E per di più in quei climi e terreni aridi lo stress nutritivo e termico subìto dalla pianta aumenta il tenore di Odap.
      La forma beta dell’aminoacido Odap è molto tossica, e la cottura riesce a ridurre la tossicità solo in parte trasformando la molecola nell’isomero alfa, molto meno tossico, ma non oltre il 40%. Cosicché si ricava che circa il 60% della neurotossina rimane anche dopo la cottura nella tossica forma beta (Padmajaprasad 1997).

MA POI, A CONTI FATTI, LA TOSSICITA’ NELL’UOMO E’ BASSA. COME MAI? In realtà, superando il ben noto allarmismo dei tossicologi, la tossicità sembra più alta sugli animali e negli esperimenti in vitro, che nell’Uomo. L’incidenza reale del neurolatirismo sull’Uomo, anche in popolazioni che assumono spesso cicerchie, non di rado in condizioni di povertà e carestia, è stranamente molto bassa. Come mai? Si ritiene che ciò sia dovuto al metabolismo umano che in molti individui detossifica la molecola Odap in un metabolita non tossico. Un recente studio indiano (in India si consumano molte cicerchie) ha trovato che una dieta a base di cicerchie su 54 soggetti abituali consumatori e in 3 volontari portava a nessuna escrezione con le urine di Odap per 25 soggetti, e ad un’escrezione inferiore allo 0,7% nei restanti 29 soggetti. L’escrezione nei 3 volontari era inferiore all’1%, con un picco dopo 4 ore. In un volontario la concentrazione di Odap nel sangue dopo 4 ore era di 177 μM (micromole). In compenso l’ossalato urinario nei volontari era circa 3 volte più alto dei soggetti di controllo. Insomma, la bassa escrezione di Odap negli uomini, a differenza di quella alta degli animali, e l’aumento di ossalati nelle urine, indica un meccanismo di detossificazione tipico degli umani, e spiega la bassa incidenza del neurolatirismo da cicerchie (Pratap Rudra 2004). Tutto questo ci tranquillizza. Per la coltivazione più razionale, la selezione di varietà meno ricche di neurotossina, le minori quantità e frequenza nel consumo in una dieta ricca e varia com’è quella europea e italiana in particolare, il pericolo di latirismo da cicerchie nelle nostre città è davvero remoto.

COMPOSIZIONE. Secondo il Manuale agronomico edito dalla Regione Umbria, la composizione nutrizionale delle cicerchie varia entro i seguenti valori percentuali: Proteine 26-30, Carboidrati 48-55, Grassi 0,5-2,5, Fibre 4-7. Per una minore presenza di tannini antinutrizionali sono consigliabili le varietà a semi chiari (Bonciarelli).

IN OGNI STAGIONE, DI TANTO IN TANTO. Gustiamo pure, perciò, le saporite cicerchie. In ogni stagione. La leggenda che i legumi sarebbero un cibo “caloroso”, “invernale”, non ha il minimo fondamento scientifico, storico e biologico. Dal punto di vista puramente energetico, il banale pane bianco dà più calorie (kcal). Estate o inverno, sempre dobbiamo incamerare quantità di proteine e carboidrati, la differenza essendo semmai nelle minori calorie totali giornaliere necessarie in periodi di caldo. E in quanto alla durata della digestione, non c’è differenza pratica tra legumi – purché molto ben cotti – e pane o pastasciutta.
      Dunque, via libera, dal punto di vista nutrizionale e dietologico, alle cicerchie, come tutti i legumi ricche di fibre solubili, polifenoli, proteine, sali minerali e vitamine del gruppo B. Resta purtuttavia il consiglio tossicologico prudenziale di consumarle di tanto in tanto, in porzioni normali, non per molti giorni di seguito, sempre accompagnate nel pasto da abbondanti cereali e verdure.

COME PREPARARLE? AMMOLLO E COTTURA. Come vanno preparate e cucinate le cicerchie per ridurre al minimo la loro tossicità? È fondamentale una lunga macerazione (24 ore o più) in acqua, meglio se salata e calda, rinnovata 2-3 volte, che comunque al momento di cuocerle va gettata via (di solito contiene anche una caratteristica schiuma) e sostituita con acqua pulita non salata. Le cicerchie, insomma, dopo l'ammollo vanno sciacquate molto bene e a lungo in acqua fredda, come i ceci del resto. Il bicarbonato, popolare abitudine chimica del Novecento, lo sconsiglio: non si sa come interferisce coi tanti nutrienti, probabilmente in modo negativo. Infine è indispensabile una lunga cottura con pentola a pressione, paragonabile a quella dei ceci meno teneri (p.es. 40-60 min), in modo da rendere i semi tenerissimi. E se non sono tenerissimi, si rimettano sul fuoco con poca acqua bollente, se è terminata.
      E i nostalgici fondamentalisti che vogliono usare a tutti i costi le pentole di coccio? Non per cicerchie e ceci. La lunghissima cottura a fiamma bassa otterrebbe il suplice risultato negativo di distruggere totalmente le residue vitamine B e di non neutralizzare i principi tossici. Anche una cottura di oltre 2 ore in terracotta – è stato dimostrato in uno studio – non raggiunge le alte temperature necessarie a neutralizzare i principi tossici. E questo è uno dei pochi punti su cui gli Antichi, spesso vittime di avvelenamenti, non possono darci lezioni.
      Ma attenzione, le cicerchie sono il legume meno standardizzato geneticamente: può capitare una varietà tenera che cuoce subito e una dura che non cuoce mai, una insipida e una saporita. Informarsi prima, meglio se nei caratteristici luoghi di produzione, da chi le ha effettivamente provate. Le cicerchie offerte dal contadino dello sperduto paesello dell’Appennino potrebbero essere più saporite, ma anche più dure o più tossiche.
      Se queste regole non vengono rispettate le cicerchie risultano più indigeste e più tossiche, con fenomeni di meteorismo anche importanti. E, una volta tanto, i gas intestinali non andrebbero attribuiti al solito colon irritabile.

IL TRUCCO PER MANGIARLE PIU’ SPESSO. Per chi le consuma di rado appare eccessiva la drastica misura di coloro che, come per i funghi velenosi, suggeriscono dopo l’ammollo di sciacquarle, metterle in pentola con acqua tiepida che le copra, facendole bollire adagio per 20 minuti; dopodiché gettata l’acqua, si aggiunge altra acqua, questa volta bollente, e si lasciano bollire le cicerchie per due ore abbondanti (o 50 min circa in pentola a pressione). Questa potrebbe essere in teoria la tecnica di cottura prudentissima di chi ha intenzione di gustarle più spesso. Ma è un far violenza al cibo, anzi quasi un non riconoscerlo, non accettarlo: allora, tanto vale non usarle spesso, ma molto di rado.

GASTRONOMIA SI’, MA INTELLIGENTE. Una volta cotte, le cicerchie andrebbero per coerenza condite nel modo più semplice, antico e tradizionale possibile. E invece tutti, signore e signorine che scrivono fantasiosi libri di ricette o si limitano a copiare le ricette esistenti senza il minimo senso critico, o curano eleganti blog gastronomici, fino ai ristoratori e ai sedicenti gourmet maschi, aggiungono qualche pomodorino o peggio ancora la salsa di pomodoro. No, per favore, basta con la moda (tutta italiana e modernissima) del pomodoro ovunque: è vero che biologicamente è protettivo, ma è talmente comune nella nostra dieta che non mancano certo occasioni. Fatto sta che col suo forte sapore acidulo persistente copre ogni sapore del cibo e appiattisce il gusto, impedendo di gustare le diversità e le sfumature, e anzi penalizza proprio i tanti sapori delicati e sottili di cui è fatta l’alimentazione naturale. Oltretutto, quando le cicerchie da noi erano diffuse come cibo popolare i pomodori non esistevano. Le cicerchie, perciò, vanno gustate col loro sapore delicato e complesso, condite come buonsenso vuole.

AL NATURALE: OLIO ED ERBE. Vogliono solo buon olio extravergine (crudo, versato direttamente sul piatto, guai a cuocerlo), sale, erbe aromatiche sbriciolate all’istante (timo, serpillo, santoreggia, rosmarino ecc.). Al limite, per chi le conosce già da tempo, se proprio si deve ricorrere a un condimento forte, la variante di un’ombra d’aglio (uno spicchio crudo per 4-6 porzioni) spremuto nell’olio con l’apposito schiaccia-aglio. Vanno accompagnate con pane integrale fatto in casa, o anche un qualsiasi pane locale grezzo e scuro, purché molto rustico. Provare.
      Per i naturisti non vegetariani, infine, le cicerchie, insieme con le fave fresche, sono l’occasione rarissima per usare con la scusa del cibo antico ed etnologico del buon lardo o ventresca a tocchetti. Prepararlo a parte in un tegame con olio ed erbe, sciogliendo un poco ma senza soffriggere come dicono tutte le ricette.
Va da sé che con le cicerchie si possono fare minestre, miste con cereali (grano tenero o duro, o farro in chicchi interi, sembra l’ideale), zuppe, minestroni, purea (non passandole al setaccio che toglierebbe la preziosa buccia, ma tritandole al mixer, così utilizziamo anche polifenoli e altre sostanze protettive), contorni ecc. Dalle cicerchie essiccate e macinate si ottiene (ma è rara) una farina chiamata “patacò” che può essere usata per preparare polente, crespelle, focacce fritte o al forno.
      Ma poi perché nasconderle, oggi è meglio farle vedere chiaramente queste benedette cicerchie, anche nel piatto, con tutta la fatica e il coraggio che ci sono costate nel trovarle, acquistarle a caro prezzo, ammollarle e cucinarle a lungo. Così potremo anche vantarci con gli amici a cena straparlando di rischi tossicologici più teorici che reali, e attirare l’interesse delle signore dichiarando di sfidare eroicamente la sorte di Mitridate!

UN SEME SIMILE, MA PIU' PICCOLO E RUSTICO: IL MOCO. Una cicerchia minore o "selvatica" o "cicerchiella" o "moco" (Lathyrus cicera), era consumata dai promordi della Civiltà fino agli inizi del XX sec., specialmente nelle zone più aride e su terreni poveri. In Valbormida (Liguria) è rimasta notizia di questa cicerchia più piccola, simile a un cece irregolare, che i ragazzi mangiavano perfino crudo, purché ancora verde e quindi probabilmente molto meno tossico. I mochi sono ora riscoperti e recuperati all'agricoltura locale ligure.

IMMAGINE. I semi delle cicerchie sono uno diverso dall’altro anche per forma.


AGGIORNATO IL 14 SETTEMBRE 2015

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