martedì 26 maggio 2009

PIRAMIDE, ma non Torre di Babele. Ecco quella dell'Alimentazione Naturale.

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Una "Piramide alimentare" non è la "tavola di Mosè", ma è solo un grafico mnemonico indicativo, un quadro sinottico, un sintetico manifesto di educazione didattica popolare, insomma, un modo visivo semplice, elementare e approssimativo che serve a dare solo un'idea, un colpo d'occhio - facile da capire e memorizzare per i non esperti, ma utile anche agli esperti - della gerarchia degli alimenti quotidiani più importanti, e anche, più o meno, di quante porzioni di ogni gruppo alimentare un adulto tipo deve consumare ogni giorno.
      In media approssimata, ovviamente (a seconda del sesso, delle età, del peso ecc), e sempre usando il buonsenso. Per esempio, 1-2 pz di legumi, pesce e uova significa che consumeremo ogni giorno 1 pz di legumi (meglio a pranzo) più eventualmente 1 di uova (cena o colazione), oppure 1 pz di legumi e 1 pz di pesce. E così via. Come si vede più avanti ("Che cosa s'intende per porzione"), il pane di contorno vale 1 pz, ma è molto meno di 1 pz di cereali da primo piatto. Ecco come si arriva alle 4-5 porzioni.
Si noterà che il numero delle porzioni, e perciò l’importanza degli alimenti, cresce a mano a mano che dal vertice si scende alla base della piramide, e infatti le aree raffigurate sono sempre più grandi. Gli alimenti al vertice, che coprono un'area minima, perciò è bene consumarli raramente. Ma se ne potrebbe anche fare a meno.
      Il posto principale spetta alle verdure e alla frutta (7 porzioni consigliate, di cui 4 di prtaggi e verdure, e 3 di frutta), che infatti coprono l'area più grande. Come mai? Perché sia in peso a crudo, sia in numero di porzioni giornaliere, sia soprattutto per evidenza degli studi sull'efficacia preventiva e terapeutica, questi due gruppi di alimenti battono tutti gli altri.
      Di piramidi ce ne sono molte, in vari aggiornamenti periodici, divise per nazioni, aree geografiche o continenti, da quella famosa del Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti a quelle più scientifiche create da istituti d’Università o gruppi di studiosi indipendenti, a quelle pensate per categorie particolari. Insomma, il rischio delle troppe piramidi alimentari è la confusione, una torre di Babele. Oggi un divulgatore che in una conferenza volesse mostrare l’abc, cioè le porzioni degli alimenti da consumare ogni giorno non saprebbe a quale grafico semplice ricorrere: tutti sono pieni di errori, imprecisioni, vecchie idee smentite dalla scienza e dal buonsenso.
      Eppure non ho trovato una sola piramide che simboleggi in modo semplice e graficamente efficace, e senza errori gravi (questi "errori", chiamiamoli così, sono in realtà concessioni alla propria ideologia, agli interessi di qualche industria, o alla politica agricola di un Governo), la graduatoria dei gruppi di alimenti per un vero naturista salutista, che segua cioè una vera alimentazione naturale mettendo d’accordo la Tradizione con la Scienza sperimentale moderna. Perciò sono stato costretto a crearla appositamente (v. illustrazione).
      E’ una prima bozza di Piramide Giornaliera dell'Alimentazione Naturale e sana che tiene conto finalmente delle acquisizioni scientifiche e potrà avere successivi miglioramenti, ma che fin d’ora può costituire una base comune per i naturisti (e, scegliendo all’interno di ogni gruppo di alimenti, anche per i naturisti vegetariani e vegan), che cercano le conferme della tradizione scientifica del Naturismo ippocratico nelle ultime acquisizioni della ricerca (Health Food, Natural Food, nei Paesi anglosassoni), per i salutisti in genere che vogliono l’aggiornamento alle direttive nutrizionali. Così, i vegetariani e i vegan si limiteranno ad eliminare l’alimento che non li interessa: i vegetariani elimineranno il pesce, oltre alla carne; i vegan toglieranno anche uova e latticini.
      Si noterà la mancanza della carne, che non è del tutto vietata in teoria nell’Alimentazione Naturale, ma è considerata rara ed eventuale (come dimostra la Tradizione storica popolare). Anche perché non cura né previene alcunché, ma anzi è ad alto rischio. L'avrei dovuta mettere all'apice, tra i cibi che si devono consumare "il meno possibile": tanto valeva toglierla. E poiché questo sfavore è confermato dalla Scienza recente, che dopo aver fatto l’improbabile distinzione tra "carni bianche" e "carni rosse", poi alle "carni di terra" preferisce le "carni di mare", cioè il pesce, come protettivo per i suoi speciali acidi grassi, ho creduto opportuno indicare solo questo, ovviamente per i naturisti non vegetariani.
      I cereali sono soltanto integrali. Lo pretendono tutti gli studi scientifici, in questo d’accordo con la Tradizione. Eppure i nutrizionisti italiani (e per la verità anche stranieri) fanno orecchie da mercante. Perché? Guai a scombussolare i piani di produzione agricola e di trasformazione, e il mercato dei cereali. Le grandi industrie multinazionali temono un calo degli acquisti.
      D’altra parte, i cereali raffinati (pane, pasta, riso, polenta, biscotti, crackers, croissant, tramezzini, grissini ecc., consumati in Italia e in tutto il mondo) sono previsti come cibo eventuale o raro nelle altre Piramidi "della salute", come quella di Willett.
      Non potevo, perciò, essere più accomodante, visto che l’antica e fondamentale norma naturista dei cereali completi è oggi approvata e fatta propria dalla ricerca sperimentale, e come tendenza è accettata a denti stretti anche dai nutrizionisti. Tutte le piramidi – ma ipocritamente solo nei testi di spiegazioni a margine – ne fanno cenno.
      L’unica piramide, però, che fa la scelta decisa e coraggiosa di inserire i cereali integrali nella prima fascia è, appunto, quella di Willett (Università di Harvard), che per coerenza confina i cereali raffinati (pasta bianca, prodotti di farina bianca, pane bianco, riso raffinato: il 99,9% dei cereali consumati dagli Italiani) nell’ultima fascia, cioè tra i cibi da consumare di rado o il meno possibile, come le carni rosse! Peccato che poi la piramide di Willett cada nell’errore di inserire verdure e frutta in seconda posizione, dietro ai cereali, e spinga la rivalutazione degli oli fino all’assurdo di metterli in primo piano, nonostante che si consumino a decine di grammi.
      Le squisite ma troppo diffuse patate, le più utili patate dolci o americane e le castagne non hanno trovato posto nella Piramide per motivi di spazio. Ma hanno meno fibre e sono meno protettive degli stessi cereali raffinati. L'amido delle patate ha un indice glicemico molto alto (anche 110), addirittura più della pasta raffinata o del pane bianco, perché per la forma delle sue particelle ha la proprietà di trasformarsi immediatamente e totalmente in glucosio. Alta risposta insulinica e nessuna protezione epidemiologica da malattie cardio-vascolari e tumori al colon-retto.
      Castagne e patate costituiranno una piacevole variazione di tanto in tanto, specialmente se cotte e condite in modo sano. Per esempio, basta con le fritture: proviamo le patate al forno, tagliate a tocchetti grossi, con tutta la buccia (che ha interessanti antiossidanti) e cosparse di rosmarino, sale e olio crudo: deliziose.
      I legumi, invece, sono messi in evidenza come uno dei gruppi di alimenti più preventivi e protettivi esistenti, e perciò consigliati anche 1 volta al giorno, al posto o accanto ad altri cibi proteici. Anche dietologicamente sono utili, perché possono sostituire i cereali, troppo abbondanri in Italia, contribuendo a far dimagrire per le note proprietà antinutritive, anti-colesterolo e anti-diabete.
      Gli oli vegetali, secondo le attuali tendenze, non devono essere risparmiati a favore dei cereali, ma aumentati perché molto protettivi. Devono essere presenti in ogni pasto per condire verdure, cereali e legumi, sostituiti o affiancati dai semi oleosi (noci, mandorle, nocciole, pinoli, sesamo ecc).
      Verdure e frutta sono appena più abbondanti della piramidi non naturiste, secondo gli studi che hanno provato vantaggi maggiori sopra le 6 porzioni. La cosa non è difficile usando la tecnica del raddoppio delle quantità nel piatto: è chiaro che una insalata mista abbondante (200-250 g) vale per 2 porzioni. E poi c'è l'enorme varietà di minestre, minestroni e zuppe, ma anche sotto forma di torte rustiche ripiene di verdure e come contorni. Insomma, non è impossibile arrivare - senza fare stranezze - alle 10 porzioni al giorno, tra verdure e frutta.
      Latte e latticini (latte, yogurt, ricotta, formaggi molli e duri) sono consigliati dalla Piramide Alimentare Italiana (quella ufficiale) in poco più di 2 pz (cioè 2-3). Esattamente 2 pz al giorno tra latte e yogurt, più 4 pz a settimana di formaggi, tra molli e duri. Qui, invece, nella Piramide dell'Alimentazione Naturale ho preferito ridurli un poco (1-2 pz al giorno), perché altrimenti molti - specialmente i nei-vegetariani - si sentirebbero autorizzati a consumare grandi quantità di formaggi, cibo molto ricco di grassi saturi, il cui eccesso sembra collegato statisticamente a malattie cardio-vascolari e tumorali. Si consigliano quindi soprattutto latte e yogurt (1-2 pz al giorno). ma di queste una porzione può essere sostituita da formaggio 3-4 volte la settimana. Chi invece sceglierà di consumare solo 1 pz al giorno di latticini, potrà farlo anche usando sempre formaggi (100g i molli e la ricotta, 50g i duri).
      Vino e dolci naturali, per Tradizione cibi complementari ed eccezionali, sono stati giustamente messi tra parentesi perché dotati di antiossidanti ma dannosi in eccesso: volendo se ne può benissimo fare a meno.

      Bere molta acqua, infine, anche se non necessariamente 2 litri esatti. E' insensato, infatti, mettere sullo stesso piano chi mangia solo panini al bar e tutto il giorno sgranocchia biscotti o patatine, e chi invece ha un'intera dieta molto idratata, a base cioè di insalate, verdure, ortaggi, zuppe, latte, yogurt, uova e frutta fresca (a cui aggiunge anche dei tè), tutti cibi ad altissimo contenuto di acqua, e consuma cereali ben idratati (cereali bolliti, fiocchi ammollati in acqua, brodo o latte, pastasciutta ecc). Dicevano i vecchi naturisti che seguivano Ippocrate, padre della tradizione della medicina scientifica: "Bere il cibo, masticare l'acqua". Fa male sia poca acqua, sia troppa.
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CHE COSA S'INTENDE PER "PORZIONE". Esistono differenze tra i vari autori, e oggi, vista la riluttanza generale a consumare verdure e frutta, molti nutrizionisti hanno calato le brache. La "scienza" della nutrizione è come la politica: non vuole essere impopolare. Così, ho dovuto leggere, addirittura, sulla grande stampa (Favaro sul Corriere della Sera) che una porzione di insalata cruda sarebbe di soli 50 g. Certo, meglio di niente. Ma con questa logica non si va lontano. Seguiamo, invece, le quantità utili a prevenire, secondo i veri esperti: gli oncologi. In questo senso la lista più accreditata (Sculati e altri nutrizionisti collegati ai progetti di prevenzione oncologica) potrebbe essere la seguente, in grammi o millilitri calcolati prima dell'eventuale cottura:
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      Cereali integrali, fiocchi, polente, bulgur, semole, cus-cus, pasta e riso integrali, 80 g, Pane integrale 50 g, Pizza o torta rustica integrale 120-150 g, Patate, patate dolci e castagne (con la precisazione di cui sopra) 200 g, Ortaggi da cuocere 250 g, Insalata cruda 100 g, Frutta fresca 150 g, Legumi secchi 30 g, Legumi freschi 100 g, Uova 1, Pesce 150 g, Latte 125ml, Yogurt 125 ml, Formaggio fresco 100 g, Ricotta 100 g, Formaggio stagionato 50 g, Olio 10 ml, Frutta succosa essiccata 10 g, Noci e semi oleosi 15 g, Miele 10 g, Zucchero scuro 5 g, Vino 100 ml, Birra 330 ml..

ATTIVITA' FISICA, PRIMO CIBO NATURALE. L'alimentazione, da sola, anche la più naturista possibile, non basta alla buona salute. Serve il movimento. La macchina Uomo è stata selezionata nei milioni di anni per muoversi, camminare, correre, nuotare, spostare rami, sollevare pietre, insomma lavorare. Oggi che il lavoro fisico non fa più parte (quasi) del lavoro professionale, dobbiamo inventarci dei lavori sostitutivi per vivere. Intanto cerchiamo di star seduti solo in casi di assoluta necessità, e mai quando non abbiamo niente da fare o per convenienze sociali. Ma per sedentarismo oggi si intende qualcosa di più: il non far movimento.
      Il sedentarismo è una malattia, anche quando non provoca obesità. E tra i suoi mali minori c'è anche quello di falsare la dieta, perché siamo costretti a mangiare pochissimo per non ingrassare, con rischi di squilibri nutritivi e carenze. Perciò, non solo per star bene e abbassare tutti i rischi, ma perfino per poter mangiare di più e meglio dobbiamo ogni giorno fare esercizio fisico o sport. E' dall'Antichità che i Naturisti ne hanno fatto un cardine della vita sana. Solo ora la scienza ci dà ragione. Ma tutti la ignorano, specialmente i pigri Italiani, tanto più nel Centro-sud.
      Eliminate le ironie iniziali, i famosi 10 mila passi al giorno (solo all'inizio, per curiosità, contati col contapassi, ma poi le distanze si imparano) servono almeno a passare dal girone infernale dei sedentari al paradiso degli eletti non sedentari. E' incredibile quanti passi e passetti si facciano senza accorgersene quando non si sta seduti e si fa vita attiva: anche 2000 o 3000 al giorno.
      Ma sono i restanti 7000-8000 passi che fanno la differenza, e questi devono essere fatti appositamente, applicando la volontà, cambiando abitudini, camminando di buon passo anziché usare l'auto o il bus: basta un'ora al giorno. Così si pratica un'attività fisica vera e propria, molto benefica, che può anche diventare uno sport aerobico leggero o medio. In città, l'ideale è la camminata spedita (parchi, lungomare, lungofiume, strade poco frequentate), ogni giorno da 45 a 60 minuti. Le alternative possono essere la bicicletta o la cyclette (30 minuti o più), il jogging lento o il nuoto. In più, nella natura selvaggia e specialmente tra boschi e montagne o lungo coste marine rocciose, l'ideale è l'escursionismo sportivo (1 giorno a settimana, minimo 3 ore) praticato con la giusta andatura e senza che ne derivi un'eccessiva fatica, produttrice di radicali liberi.


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AGGIORNATO IL 12 OTTOBRE 2016

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martedì 19 maggio 2009

SELENIO. Un antiossidante vitale. E se non ce ne fosse abbastanza nella dieta?

Dove trovare il selenio? Non è facile: la quantità negli alimenti vegetali soffre di grande variabilità, perché dipende anche dalle caratteristiche del terreno. Intere regioni sulla Terra sono carenti di selenio, mentre altre ne sono ricche, troppo ricche; tanto da porre qualche problema, visto che il selenio, potente antiossidante, è anche tossico in eccesso. E visto che il suo fabbisogno è minimo, si fa presto a cadere nell'eccesso. I naturisti e salutisti non vegetariani, perciò, possono alternare fonti di selenio vegetali e animali.
      Il tonno è una fonte abbondante di selenio, come mostrano le tabelle, ma se ne sconsiglia il consumo regolare a causa dell'altissimo tasso di inquinamento da mercurio, metallo neurotossico ineliminabile dall'organismo. Inutili o rischiose le "patate al selenio" della pubblicità. Meglio, allora, ricorrere alle più sane noci del Brasile. Ma, sia chiaro, una normale, variata e completa dieta naturale in Italia e in Europa non dà carenze di selenio.

      La pietra della luna (Selene) non interessa più solo i ricercatori di laboratorio, ma anche i "fanatici degli integratori" da bar di palestra, gli "sperimentatori" paranoici di diete strampalate, e anche chi giustamente si preoccupa che il proprio regime alimentare naturale sia completo e protettivo, e perciò dotato anche di selenio.
      La tentazione della compressa è grande, ma mai così rischiosa o inutile come in questo caso. Abituati a dipendere dai farmaci, a mantenersi in vita artificialmente come insegna la civiltà pubblicitaria e sanitarizzata di massa, i fissati delle pillole della felicità, dopo anni di vitamina C e betacarotene, si sono concentrati ora sul selenio. Tanto che la furba industria farmaceutica ("alternativa"? no, è sempre la stessa industria) propone in farmacia ed erboristeria decine di formule di integratori-miracolo a base di zinco, vit. E, selenio & C.
Come nelle favole delle Mille e una Notte, prendi una pasticca e puoi illuderti d’essere più giovane, sano e bello di prima, continuando a mangiare male come sempre. Siamo così affezionati alle cattive abitudini (Oscar Wilde, Ennio Flaiano) che ci teniamo che tutto resti "come prima" (Gattopardo).
      Perfino le frequentatrici più assidue dei negozi di alimentazione sana e "bio" non si rendono conto che gli integratori "naturali", oltreché dieteticamente diseducativi, non sono la quintessenza alchemica del mangiar "naturale", ma la sua negazione. Una sostanza "naturale", se isolata dalle centinaia di altre con le quali era sinergicamente legata e bilanciata nella pianta, non è più naturale. E perciò può essere inefficace o tossica.
Ora in Italia sono apparse perfino le patate ricavate da piante irrorate di selenio. Perché le patate? Perché sono un alimento di consumo popolare e povero di selenio, almeno in Italia (v. Tabella). L’Università è sempre senza fondi, quindi i produttori hanno facilmente trovato studiosi interessati all’esperimento. Ma servirà? Saranno utili e soprattutto sicure queste "patate antiossidanti", ovviamente più costose? Molti se lo sono chiesto.
      I nutrizionisti rispondono di no ad entrambi gli interrogativi. I terreni agricoli italiani ed europei, sono sufficientemente dotati di selenio. Una dieta normale bilanciata, e specialmente una naturale fondata su molte verdure, cereali integrali, legumi, noci, anche a non voler aggiungere il pesce, sarà più che sufficiente di selenio.
      Quanto selenio serve? Di questo "utile veleno" ne serve pochissimo, appena 55 milionesimi di grammo, cioè microgrammi (μg) al giorno. In tutto, ovvero sommando tutti gli alimenti di una giornata. Fino a circa 200 μg si può arrivare di tanto in tanto, ma già a 400 μg si è in fase tossica. E, ripetiamo, neanche si arriva al mezzo milligrammo (1 mg=1000 μg).
      Come si fa con queste misure minime ad aggiungere il selenio ad un ortaggio di massa e consumato in quantità come le patate? Senza neanche poter calcolare esattamente quanto selenio viene assunto? In Germania, dove hanno un debole per il kartoffel, sarebbe da irresponsabili. Nell’Italia cerealicola (farro, grano, polente, pane, pizze) la patata non è troppo popolare, e quindi i rischi sono limitati. Anche perché la patata al selenio costa di più, ed è quindi presumibile che l’industria italiana delle patatine, i ristoranti, i bar e le friggitorie non la utilizzino.
      Si obietterà: ma allora, che pensare delle noci del Brasile, che l’USDA, il Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti, nelle sue famose tabelle nutrizionali, accredita di oltre 543 μg di selenio ogni 6-8 noci? (vedi la Tabella del selenio per i vegetariani)? E il baccalà, e il tonno nostrano, che ne sono ricchi? Si noti che un trancio di tonno fresco da 300 g ne ha almeno 330 μg (per i non vegetariani masochisti che amano anche fare il pieno di neurotossico mercurio, ineliminabile dall’organismo).
      Come si risponde? Che il selenio alimentare non è isolato come negli integratori. E che perciò le sinergie e i bilanciamenti tra le centinaia di sostanze naturali presenti nel cibo attenuano i rischi. Anche per il selenio, alle quantità presenti negli alimenti provenienti dall’Italia e dall’Europa, una dieta naturale basata su verdure, frutta, cereali integrali, legumi, noci, e in minor misura su cibi animali, non pone problemi tossicologici. Che invece pongono gli integratori, o anche una pianta irrorata di selenio.
      Ma ricordiamo come è utilizzato il selenio nell'organismo. Il selenio è un importante oligoelemento parte di vari enzimi antiossidanti (come il potente glutatione) che agiscono nel corpo a difesa delle cellule dallo stress ossidativo. E’ coinvolto in innumerevoli processi vitali, comprese l’utilizzazione dello iodio da parte della tiroide e la sinergia con l’antiossidante vitamina E.
      Nella pratica dell’alimentazione naturale si ricava soprattutto da cereali integrali e vegetali d’ogni tipo, per il semplice fatto che si consumano ogni giorno in grande abbondanza. Infatti, le sue fonti teoriche maggiori, cioè i pesci e alcune carni, non possono essere consumate né in eccesso né di frequente. Basti considerare i rischi cancerogeni delle carni cotte, e l’inquinamento grave da mercurio del tonno.
      Il naturista non vegetariano, perciò, potrà integrare la dieta di preferenza con pesci piccoli e frutti di mare. Il vegetariano, perfino il vegan, non ha problemi col selenio, se la sua dieta abituale è varia e completa, fondata sui cereali integrali, legumi, verdure e semi oleosi (v. articolo e Tabella sul blog Love Vegetarian).
      Gli alimenti ricchi di selenio sono ricercati perché numerosi studi hanno provato l’azione antiossidante - anche insieme con la vitamina E - e anticancerogena del selenio, oltre all’azione favorevole sulla crescita e lo sviluppo regolare. Per l’Italia la dose raccomandata giornaliera è di 55 μg. Ma la normale alimentazione già supera in vari casi questo limite: anche 100 μg. Non si consiglia di superare i 200 μg. La quota massima tollerabile è 400 μg. Quantità superiori assunte a lungo (p.es. oltre 1 mg/giorno) hanno provocato la sindrome della selenite, con nausea, vomito, affaticamento, irritabilità, depressione, alito cattivo, perdita di capelli, caduta delle unghie. La vitamina E e lo iodio sono in sinergia col selenio. Può avere carenze chi ha una dieta molto privativa (dieta dimagrante, casi di anoressia, diete di anziani ecc.). Sono a rischio anche le persone che vivono in zone in cui il terreno è carente di selenio, come alcune regioni in Cina (malattia di Kashin-Beck), USA e Nuova Zelanda. Chi segue una dieta naturale, o anche una dieta corretta ed equilibrata non ha bisogno di integrare con "patate al selenio", né di abbuffarsi con noci del Brasile o tonno.

TERAPIA E STUDI. Tutti mettono in evidenza che il selenio a piccolissime dosi è collegato ad una minore incidenza di tumori e malattie cardiovascolari. Ma alti livelli di selenio nel sangue sono associati statisticamente ad un aumento di mortalità totale e di diabete. In uno studio sulla popolazione degli Stati Uniti pubblicato da Archives of Internal Medicine le concentrazioni di selenio nel sangue sono state misurate per 12 anni in 14.000 soggetti, e messe a raffronto con la mortalità totale, per tumori e cardiovascolare. Ebbene, nei soggetti del gruppo con più selenio c’è stata una diminuzione del rischio di mortalità per tutte le cause del 17%, e di mortalità per tumori del 31%, rispetto al gruppo con valori più bassi di selenio. Livelli molto alti di selenio nel sangue (oltre 150 ng/mL) sono risultati associati ad un significativo aumento del rischio di mortalità totale. Perciò, lo studio non ha messo in luce nessuna protezione da eventi cardiovascolari (come l’aterosclerosi, correlata ad un eccessivo stress ossidativo). Come si vede, si cade dalla padella alla brace.
      In margine, va detto che l’assunzione quotidiana di selenio negli Stati Uniti è superiore a quella raccomandata, e infatti la popolazione di adulti esaminata aveva livelli medi di selenio molto alti, superiori a quelli europei: oltre 95 ng/mL, maggiori quindi dei 70-90 ng/mL ideali per un’efficiente attività enzimatica di difesa dallo stress ossidativo. Probabile, quindi, l’uso di massa di integratori, perché il terreno negli Usa in alcune zone è più povero di selenio che in Europa.
      In sintesi, i risultati di questa ricerca confermano l’effetto protettivo del selenio su mortalità e cancro, fino a valori di 130 ng/mL nel sangue, ma provano anche che concentrazioni superiori non solo non danno benefici, ma possono essere dannose:

SERUM SELENIUM LEVELS AND ALL-CAUSE, CANCER, AND CARDIOVASCULAR MORTALITY AMONG US ADULTS. Joachim Bleys, Ana Navas-Acien, Eliseo Guallar. Arch Intern Med. 2008;168(4):404-410.
Background - Selenium, an essential trace element involved in defense against oxidative stress, may prevent cancer and cardiovascular disease. We evaluated the association between selenium levels and all-cause and cause-specific mortality in a representative sample of US adults.
Methods - Serum selenium levels were measured in 13 887 adult participants in the Third National Health and Nutrition Examination Survey. Study participants were recruited from 1988 to 1994 and followed up for mortality for up to 12 years.
Results - The mean serum selenium level was 125.6 ng/mL. The multivariate adjusted hazard ratios comparing the highest with the lowest. There was no association between serum selenium levels and cardiovascular mortality.
Conclusions - In a representative sample of the US population, we found a nonlinear association between serum selenium levels and all-cause and cancer mortality. Increasing serum selenium levels were associated with decreased mortality up to 130 ng/mL. Our study, however, raises the concern that higher serum selenium levels may be associated with increased mortality.

AGGIORNATO IL 9 GIUGNO 2016

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giovedì 7 maggio 2009

SALSA DI POMODORO. Ora protegge anche il cuore, meglio se è concentrata

E’ probabile che il “pomo d’oro” in origine non fosse rosso carico come oggi, ma d’un bell’arancione tendente appena al rossastro, insomma color giallo-oro, come appunto ricorda il nome. E infatti sono giallo-dorati certi pomodorini piccoli e sferici d’una varietà rustica molto vicina alla specie originaria importata dal Centro-America nel Cinquecento, ma ormai sempre più rara, che un tempo si appendevano per l’inverno in caratteristici grappoli fuori delle case di campagna. E infatti sono ancora giallastri prima della maturazione completa i pomodori di molte varietà non recenti. Anzi, fino agli anni Settanta, la maggior parte del pomodori maturi aveva solo la buccia davvero rossa, mentre l’interno poteva essere anche verde o rosso-verdastro. Segno che i pomodori antichi dovevano avere poco licopene, ma probabilmente più acidi organici (citrico e malico), più glucosidi (tra cui la famosa solanina di tutte le solanacee, ma solo allo stato immaturo, e la tomatina) e più vitamina C. Da quando è stato scoperto e isolato il licopene, un carotenoide antiossidante ma non vitaminico, le nuove varietà di pomodoro presenti diffusamente sui mercati (quattro gruppi: piccoli e tondi, medi e tondi, allungati, costoluti) sono ormai sempre più d’un bel rosso intenso, non solo fuori (la buccia ha un’altissima concentrazione di licopene: peccato che essendo di per sé poco digeribile molto di quel licopene va perduto), ma per la prima volta nella storia del pomodoro anche dentro, cioè nella polpa.

Il pomodoro come alimento è stato inventato dagli Italiani. Fosse stato per i sud-americani, il pomodoro (tomatl) sarebbe rimasto una pianta ornamentale da giardino, e anche poco bella. Prima timidamente con esperimenti isolati gli Spagnoli, che lo fecero conoscere in Europa, poi soprattutto coltivatori e cuochi italiani, scoprirono che il frutto si poteva impunemente mangiare nonostante la sua acidità e la forte tossicità delle parti verdi della pianta. Ma ci sono voluti secoli di tentativi e dimostrazioni pubbliche: la gente non ne voleva sapere! Solo dalla metà dell’Ottocento, timidamente, ha cominciato a essere inserito nei ricettari popolari italiani, con grande anticipo sul resto del Mondo. La sua seconda patria, l’Italia, gli ha dato il terreno fertile ideale, che non aveva nel sud America dove era nato, ma non il clima perfetto. Oggi tutti credono che faccia parte, anzi, sia il simbolo stesso di quella che alcuni ricercatori americani, come Keys, hanno definito "alimentazione mediterranea". Ma non era vero prima e non è vero neanche oggi: avete mai provato a chiedere in un ristorante greco, spagnolo o algerino "spaghetti con salsa di pomodoro"? Non li troverete: ve li serviranno con un orribile condimento bruno-rossastro a base di carne tritata o polpettine che chiamano, offendendoci, “alla bolognese”.

E invece, il pomodoro fresco e crudo può essere la base non solo per il condimento più sano e rapido da versare sulla pastasciutta integrale (sulla quale è consigliabile il pomodoro fresco e intero tagliato a pezzetti, ma anche per preparazioni rapidissime e potentemente antiossidanti, come una nostra crema rapida antiossidante, tutta preparata in un minuto col frullatore.

E oltre alle tante curiosità della sua storia, il pomodoro è uno dei pochi ortaggi il cui principio attivo più considerato, il licopene, resista bene alla normale cottura a temperatura non troppo alta. Ha la fortuna, insomma, di essere molto dotato di carotenoidi, alcuni dei quali incredibilmente termostabili, resistenti al calore, anche prolungato. Se no, come avrebbero fatto le bisnonne delle regioni del Sud Italia a creare quei famigerati ragù da "otto ore di cottura" di cui si vantavano, pesantissimi a causa dell’olio e dei pezzetti di carne stracotti? E come potrebbero trovare oggi gli analisti biochimici nel doppio e triplo concentrato del supermercato 10 volte più licopene che nel pomodoro maturo fresco e crudo? Solo la vitamina C viene distrutta, tra gli antiossidanti del rosso frutto. Ma il pomodoro non ne è certo la fonte privilegiata.
Interesserà, quindi, soprattutto noi Italiani, che di pomodoro siamo i più forti consumatori pro capite al Mondo, apprendere che al recente Mediterranean cardiology meeting tenutosi a Taormina i cardiologi si sono detti sicuri della capacità protettiva di questo ortaggio anche sul sistema cardiovascolare, nella terapia anti-infarto e anti-ictus. Ne ha riferito pochi giorni fa Ruggiero Corcella sul Corriere della Sera.
Il progetto Lycocard sul ruolo del licopene nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, iniziato nel 2006 col finanziamento dell’Unione Europea (5,2 milioni di euro), coinvolge sei Paesi tra cui l'Italia.
Nel mio Manuale di Terapie con gli Alimenti divulgai per primo in Italia nome e proprietà del licopene, molecola che allora nessuno, tranne pochi specialisti, conosceva. Ebbi la fortuna di leggere tra i primi in Europa un fondamentale testo scientifico sugli antiossidanti degli alimenti ancora fresco di stampa (degli americani Ho e altri), che mi permise di aggiornare in profondità tutto il manuale che stavo scrivendo. Di lì risalii allo studio sul licopene dell’italiano Di Mascio, il quale dimostrò che il suo potere antiossidante era superiore a quello del beta-carotene, in quegli anni in gran voga.
Il licopene, il colorante rosso del pomodoro, era poi diventato noto come efficace preventivo contro il tumore della prostata.
Ora Michele Gulizia, presidente dell' Associazione italiana di aritmologia e cardiostimolazione, intervistato da Corcella spiega: "Studi condotti dal ' 94 al 2006 hanno dimostrato che il licopene è associato a una riduzione statisticamente significativa del numero degli infarti e degli ictus, in persone che ne assumono grandi quantità". "Grandi quantità"?: questo è un grosso limite. Ne parliamo in fine articolo.
Dagli studi il licopene riduce l' ossidazione dei lipidi e dunque la formazione della placca aterosclerotica. In uno studio pubblicato il 23 aprile sulla rivista Cardiovascular Drugs Therapy, ricercatori dell'Università israeliana del Negev hanno registrato una diminuzione della pressione, da un minimo di 4 a un massimo di 13 millimetri di mercurio, in pazienti ipertesi trattati per sei settimane con estratto di licopene.
"E’ vero, il licopene è il carotenoide più potente contenuto nel pomodoro – dice il biochimico Yoav Sharoni, della stessa università – ma non è il solo composto attivo. Altri carotenoidi come il fitoene e il fitofluene contribuiscono a produrre un effetto migliore del licopene puro". Ecco come a poco a poco si fanno strada anche nei laboratori sperimentali i "complessi attivi" dotati di sinergismo (l’espressione è nostra), come si ripete più oltre in fine articolo.
In generale, perché il licopene produca il suo effetto protettivo sul cuore il pomodoro andrebbe cotto. La cottura aumenta l’assimilazione (biodisponibilità dei carotenoidi). E anche un ambiente grasso, come un’alimentazione in cui sono presenti degli oli vegetali. Per essere efficace da solo, dovremmo assumerne la quantità contenuta in un chilogrammo di pomodori o, in alternativa, in 100 grammi di concentrato.
Ma questo non è un limite delle terapie con gli alimenti naturali, come alcuni nutrizionisti dicono. E’ il limite attuale della Scienza.
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NEGLI ESPERIMENTI NE SERVONO "GRANDI QUANTITA", PERCHE’ LA SOSTANZA E’ ISOLATA
Come mai di alimenti noti per essere protettivi a livello statistico epidemiologico nelle normali porzioni, si dice in sede di studi clinici che "purtroppo, per essere efficaci ne dovremmo mangiare chili ogni giorno"?
E' un poco noto limite della ricerca scientifica sugli alimenti.
Si spiega col fatto che negli esperimenti i ricercatori, inseguendo precisione e standardizzazione delle dosi efficaci, devono evitare la confusione tra le varie sostanze presenti in un cibo (p.es. nel pomodoro). Sperimentano perciò una sostanza isolata per volta. E ovviamente ogni presunto "principio attivo" da solo sarà poco potente, talvolta inefficace del tutto o addirittura dannoso (è il caso in alcuni studi sui tumori del beta-carotene isolato).
In tal modo gli studi non si gioveranno quasi mai dei molteplici sinergismi tra le decine o centinaia di sostanze naturali presenti in un alimento e nell'intera dieta, capaci di rendere possibili o amplificare gli effetti protettivi e terapeutici dell'alimentazione naturale.
Le conseguenze? Che negli studi ogni sostanza isolata sarà inefficace o meno efficace, tanto più considerato il breve tempo dell'esperimento, o richiederà "grandi quantità" per dare qualche risultato visibile. Quando lo darà. Ecco, quindi, la tentazione fallace delle dosi sempre più alte.
Nulla di tutto ciò accade nell’alimentazione reale di ognuno di noi, dove tutte le sostanze biochimiche presenti negli alimenti agiscono insieme, e per tanto tempo. E come dimostrano le indagini epidemiologiche e gli studi fondati sui test autocompilati, l’efficacia dei molteplici principi attivi in sinergia è ben superiore a quella dei singoli componenti. Insomma, nella nostra vita reale, per avere una difesa efficace, si richiedono quantità di alimenti, cioè di principi attivi, assai minori rispetto agli esperimenti scientifici. Circostanza che quasi mai terapeuti e nutrizionisti, anche quelli dell'Inran, considerano. Peccato che questa efficacia sinergica sia difficilmente valutabile negli esperimenti.
A ben vedere, il concetto stesso di "principio attivo" unico e isolato, desunto dalla farmacologia, è poco realistico e andrebbe rivisto. Non rappresenta la natura del cibo. Dovremmo parlare semmai di "complessi attivi sinergici". Difficilissimi, però, da standardizzare e quindi studiare. Immaginiamo solo a quanti milioni di varianti si troverebbe a dover sperimentare e documentare ogni ricercatore. Che nessun altro ricercatore riuscirebbe a riprodurre esattamente. Insomma, torneremmo all’incomunicabilità tra studiosi, alla mancanza di ripetibilità degli esperimenti, cardine della Scienza moderna? Chissà, forse no, oggi abbiamo computer e metodi avanzati. Però sarebbe molto più difficile condurre un esperimento sugli alimenti.
Gli esperimenti con i cosiddetti "principi attivi" degli alimenti, sono perciò solo una approssimazione.
Fanta-farmacologia ipotizzare un modo diverso di fare ricerca sull'alimentazione preventiva? Per ora, forse sì. Però è indiscutibile che la Natura non agisce per singoli principi attivi, come sono costretti a sperimentare gli studiosi, ma per complicati e difficilmente riproducibili sinergismi. Ed è altrettanto certo che a tutt’oggi gli studi non riescono a cogliere negli esperimenti questo fondamentale elemento moltiplicatore dell'alimentazione naturale rispetto ai pochi principi attivi selezionati.
Ma il paradosso è che c'è sempre l'esperto che rivoltando la frittata usa questo punto debole della ricerca di oggi come argomento contro il Naturale. Nega il potere preventivo e terapeutico degli alimenti con questa singolare motivazione: "Certo, questo alimento è preventivo, ma bisognerebbe mangiarne l’equivalente di 1 kg al giorno". Quindi non serve, pare voglia dire. E invece rispondiamogli: proprio questo argomento è segno che il vostro metodo è sbagliato. Come mai in epidemiologia bastano le normali porzioni quotidiane di cibi naturali per provarne l’efficacia complessiva delle diete protettive, come la "mediterranea" o la vegetariana?

AGGIORNATO IL 23 GIUGNO 2014

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