PESO. “No pasta” non basta. Effetti duraturi solo con i cereali integrali
La raffinazione, che nei tempi antichi era un lusso, rende il pane più soffice e le farine più conservabili – un problema serio per gli uomini antichi e i moderni Paesi poveri – ma lascia quasi il solo amido, che dà calorie, troppe calorie, senza proteggere da nulla se non dalla magrezza. E invece fa perdere quasi tutto quello che nei cereali integrali protegge e previene, come fibre, saponine, inibitori delle proteasi, fitati, lectine, acidi grassi essenziali, polifenoli, vitamine B, sali minerali rari.
E infatti la scienza ha confermato la Tradizione antica, rilanciata dai medici naturisti già negli anni Trenta del Novecento, per arrivare poi alle riscoperte etno-epidemiologiche in Gran Bretagna e in Africa di Burkitt e colleghi inglesi.
Eppure, negli anni ’70 e ’80 alcuni dietologi tromboni che allora andavano per la maggiore perfino sui giornali d’una "intellighentzia" poco intelligente sostenevano che i cereali integrali erano puro "faddism", fisime, fissazione inutile, "leggenda". Senti chi parla.
Certo, sono più numerose le leggende degli ignoranti che pontificano sicuri di sé o dei fanatici che vogliono fare proseliti (specie su internet), come si è visto nell’articolo precedente. Ma può essere addirittura peggiore lo scetticismo conservatore degli esperti che non si aggiornano, rifiutano le novità, fanno resistenza, si "affezionano" alle cose studiate all’Università quand’erano giovani, e magari si scopre che monetizzano questo strano "conservatorismo della modernità di ieri", cioè la raffinazione che piace all’industria e al commercio, come consulenti di grandi multinazionali alimentari. E così tutto si capisce. Come si capisce anche che non credono più alla scienza. Insomma, una sorta di analfabetismo di ritorno.
Al contrario, la moderna scienza sperimentale dà ormai per assodata l’importanza preventiva dei cereali integrali e dei loro derivati (grano tenero in chicchi integrali, anche crudo germogliato, farina di grano tenero integrale, fiocchi di avena, semola di grano duro integrale, pane integrale, pizzoccheri di saraceno, pasta da cuocere integrale, riso integrale, orzo integrale, ecc.).
Ora perfino i fautori del business della "dieta mediterranea" e del finto e commerciale "made in Italy" hanno capito che bisogna mangiare meno pasta, meno pane, meno cereali, perché non sono affatto protettivi quando sono "bianchi", cioè raffinati, anzi sono un grave problema, essendo la prima causa degli aumentati rischi di stitichezza, sovrappeso, obesità, resistenza insulinica, sindrome metabolica, diabete, colesterolemia e tumori. Basta vedere l’abuso di cereali raffinati (pasta, pane, cus-cus, riso) che si fa oggi in Grecia, Italia del Sud, Africa e Paesi arabi, e in minor misura nell’estremo Oriente.
Tutti problemi che non ci sarebbero, o che sarebbero diminuiti, se la gente fosse educata fin da piccola a consumare solo cereali integrali. E tra tutti gli usi dei cereali raffinati, quello del riso bianco è certo il più assurdo e scandaloso, perché alla raffinazione si aggiunge la capacità del particolare amido del riso di favorire l’immediata secrezione di grande quantità di insulina e la costipazione.
Perciò, pur di riaccendere la razionalità dei lettori e di qualche nutrizionista critico (ce ne saranno rimasti?), riportiamo un articolo che commenta uno studio sull’efficacia di una dieta con meno carboidrati nella riduzione del peso in soggetti affetti da resistenza insulinica, sindrome oggi sempre più diffusa. Interessante il commento integrativo di grande buonsenso del diabetologo Riccardi sulla superiorità metabolica dei cereali integrali (E. Meli, Corriere della Sera):
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MENO CARBOIDRATI PER CALARE SUBITO, MA ALLA LUNGA IL PESO RITORNA
Tagliare i grassi fa meno "effetto" sul breve periodo, soprattutto in chi soffre di resistenza all'insulina, ma bisogna essere equilibrati per avere risultati duraturi..
Una dieta di tre mesi a basso contenuto di carboidrati fa dimagrire di più rispetto a un regime che fornisce lo stesso numero di calorie ma taglia i grassi. Secondo una ricerca presentata all'ultimo congresso della Endocrine Society statunitense questo è vero almeno nelle donne obese che soffrono di resistenza all'insulina, ovvero hanno già un piede nel diabete.
I ricercatori hanno coinvolto 45 donne obese fra i 18 e i 65 anni assegnando loro due diverse diete da seguire per tre mesi: nella prima il 60 per cento delle calorie proveniva dai carboidrati, il 20 per cento dai grassi e il resto dalle proteine; nell'altra i carboidrati erano ridotti al 45 per cento e i grassi, per lo più insaturi da fonti vegetali come noci e nocciole, arrivavano al 35 per cento; in entrambi i casi erano previste ogni giorno tre porzioni di verdura e due di frutta.
Passati i tre mesi le donne che avevano ridotto i carboidrati avevano perso circa 9 chili, un chilo e mezzo in più rispetto alle altre. "Di solito a chi vuol dimagrire si consiglia sempre di ridurre i grassi: questi dati dimostrano che non tutti rispondono alla stessa dieta allo stesso modo, dice Raymond Plodkowski, l'endocrinologo dell'Università del Nevada che ha coordinato lo studio. Chi soffre di resistenza all'insulina metabolizza i carboidrati in modo anomalo e questo può influenzare la perdita di peso: per loro ridurre i carboidrati sembra particolarmente necessario e garantisce migliori effetti, almeno nel breve periodo".
Già, perché tre mesi sono un po' pochini per essere certi che i chili persi non torneranno. Troppo pochi secondo Gabriele Riccardi, presidente della Società Italiana di Diabetologia, che commenta: "È ormai arcinoto che ridurre i carboidrati è il mezzo migliore per dimagrire nel breve termine, ovvero nel giro di sei mesi, anche a prescindere dalla presenza della resistenza all'insulina: un regime alimentare standard prevede il 60 per cento delle calorie dai carboidrati, per cui ridurli è mirare al bersaglio grosso, difficile non calare di peso. Il problema è che poi i chili persi tornano, al massimo nel giro di due anni: succede perché una dieta con pochi carboidrati viene sentita come "innaturale", è troppo lontana dalla nostra alimentazione standard. Così è più probabile abbandonarla". I primi mesi tutto è relativamente più facile, perché a sostenerci è la motivazione degli inizi: quando però in famiglia tutti mangiano la pasta, gli amici ci invitano fuori per una pizza o nella pausa pranzo l'unica alternativa disponibile è un panino, la volontà non può che vacillare.
"Qualche tempo fa uno studio ha dimostrato che il mezzo migliore per dimagrire nel lungo termine è sostituire i carboidrati raffinati con quelli integrali, aumentando il consumo di frutta e verdura – riprende Riccardi –. La perdita di peso è meno clamorosa, ma si mantiene costante anche dopo due anni. Ed è proprio quello che serve per ottenere un risultato reale: non bisogna rincorrere l'effetto eclatante ma effimero, bensì lavorare pian piano modificando l'alimentazione poco per volta e in maniera compatibile con le nostre abitudini, per ottenere una perdita di peso buona e soprattutto duratura", conclude l'esperto".
Ecco lo studio originale di cui riportiamo le conclusioni in abstract per utilità dei lettori:
EFFECT OF DIET COMPOSITION ON WEIGHT LOSS IN INSULIN RESISTANT PEOPLE
RA Plodkowski, ST St Jeor, QT Nguyen, GCJ Fernandez, VB Dahir. Univ of Nevada Sch of Med, Reno, NV; VA Sierra Nevada Hlth Care Syst, Reno, NV; Univ of Nevada, Reno, NV.
Background: There has been controversy regarding the best macronutrient composition for calorie restricted diets for weight loss. Many professionals and health advocacy groups recommend a low fat diet but low carbohydrate diets have also been popular. However, one diet may not give optimal weight loss for all individuals. This study was conducted to determine if diet composition would impact the amount of weight loss in insulin resistant (IR) participants.
Methods: Females (n=45) between 18 and 65 years of age and a BMI 30-40 kg/m2 were recruited from the general population. After informed consent was performed, fasting insulin levels were used to identify IR subjects (>15 uIU/mL). The IR subjects were randomly assigned to either a low fat diet (LF: 60% carbohydrate, 20% fat and 20% protein) or a low carbohydrate diet (LC: 45% carbohydrate, 35% fat and 20% protein) administered utilizing calorie controlled foods. The primary outcome, change in body weight (kg), was recorded for each subject at 4, 8 and 12 weeks. A repeated measures mixed model ANOVA was used to test the mean differences in the change in body weight from baseline between the LF and LC treatment groups at 4, 8 and 12 weeks. Based on the minimum information criterion, the first-order autoregressive (AR(1)) covariance structure gave the best fit and was used to model the correlation between the three repeated measurements.
Results: No statistically significant baseline differences were observed between the LF and LC groups for mean age (51.1 versus 49.4 years, p=0.58) or baseline body weight (95.2 kg versus 101.5 kg, p=0.0883), respectively. As a group, all IR subjects (LF and LC) significantly lost weight at 4, 8 and 12 weeks (p <0.0001). p="0.10);" p="0.12);" p="0.04),">15 uIU/mL) a low carbohydrate diet yielded significantly more weight loss compared with a low fat diet at 12 weeks. These data have potential widespread applications for clinical practice when counseling people with insulin resistance regarding lowering carbohydrate intakes to help improve weight loss as part of a calorie restricted diet.
IMMAGINI. 1. Pasta corta integrale nel piatto, giustamente valorizzata da ortaggi (in questo caso poca cipolla rossa), olio, erbe aromatiche e cubetti di formaggio. Sarebbe un peccato appiattirla con l'onnipresente salsa di pomodoro, che coprirebbe ogni sapore. 2. Una fetta di pane integrale.
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