OLIO DI PALMA? Meno rischioso di burro e oli di semi: protettivo se grezzo.
Fatto sta che da quando per primo misi in guardia nel mio manuale Alimentazione Naturale dalle etichette che sotto la generica definizione di “grassi vegetali” nascondevano l’olio di palma, ritenuto a rischio cardiovascolare solo perché ricco di acidi grassi saturi, i tempi sono cambiati. Allora medici e ricercatori credevano che i grassi ricchi di a.g. saturi fossero di per sé veleni per il cuore, oggi non più, grazie a studi più precisi e approfonditi. Purché, ovviamente, assunti senza eccessi e in diete equilibrate. Nelle Linee guida nutrizionali i grassi totali dovrebbero aggirarsi intorno al 30 per cento delle calorie giornaliere, mentre gli acidi grassi saturi non devono superare il 10 per cento delle calorie.
Oggi, in colpevole ritardo sui nuovi studi scientifici, si sta esagerando in senso contrario: contro l’olio di palma è in atto una vera e propria campagna di disinformazione basata su falsità grossolane (“fa male”, “è cancerogeno”, “fa venire il diabete”), come se fossimo rimasti agli anni ‘60, senza tener conto dei dati chimici-nutrizionali che lo rendono non solo di gran lunga migliore della margarina, che per fortuna oggi i produttori di alimenti da forno usano sempre meno perché i suoi acidi trans-saturi sono indiscutibilmente dannosi, ma, dal punto di vista puramente nutrizionale, anche del burro e degli oli di semi, specialmente nelle fritture e cotture. Non innalza il colesterolo LDL, non abbassa le HDL, non aumenta il rischio di ateromi. E allo stato vergine (solido e di colore rosso: "red palm oil") è addirittura protettivo, perché oltre all’azione dei suoi carotenoidi, tocoferoli e tocotrienoli vitaminizzanti (vit. A ed E) e dei suoi anti-ossidanti polifenolici, nella struttura della molecola del trigliceride il suo acido palmitico, che isolato e dato ai topi di laboratorio sarebbe rischioso, è poco attivo ed è bilanciato dall’abbondante monoinsaturo protettivo a.g. oleico, quello che caratterizza l'olio di oliva (ben il 38%, anzi addirittura il 42% nella composizione di un olio di palma grezzo "red palm oil" in commercio riportata da Kritchevsky 2000, v. seconda tabella). Acido oleico, spiega un ricercatore chimico, che nell'olio di palma viene assimilato prima e totalmente, e quindi può esplicare appieno la sua azione protettiva (proprio grazie alla sua particolare posizione nella molecola). Mentre il suo acido palmitico, dannoso da solo, è messo - per così dire - dietro le quinte e posto in condizione di non nuocere.
Ma del tutto ignara di seri studi scientifici nutrizionali, clinici, epidemiologici e perfino storici-agronomici, la campagna di disinformazione boicotta l’olio di palma anche col pretesto della tutela dell’ambiente (le “foreste sostituite dalle palme!”), come se questo non fosse tipico di tutta l’agricoltura storica, a partire dall’Italia. Pensiamo alle nostre bellissime foreste e macchie originarie distrutte per far posto a oliveti, vigneti, agrumeti, risiere, campi di mais, che oggi qualche stolto considera parte del nostro “paesaggio tipico”; ma pensiamo anche all’orso, alla lince e ad altri animali, un tempo molto comuni. E tace sul fatto che in Malesia e Indonesia eventuali piantagioni alternative di oleaginose come arachidi o girasole distruggerebbero il 500 o 700% in più di foresta, poiché danno rispettivamente 5 o 7 volte meno olio della palma. Insomma, dal punto di vista ecologico e di "consumo di territorio", l'olio di palma è proprio quello che ruba meno foresta, spreca meno energia, produce meno CO2, inquina di meno, come dimostrano studi scientifici e tabelle (v. articolo).
E allora? In realtà la disinformazione è orchestrata, e si inserisce nella lotta spietata di concorrenza economica (lobby dell’olio di soia e di oliva contro lobby dell’olio di palma) e mira a scalzare dal suo primo posto nel Mondo un grasso presente in molti alimenti industriali (biscotti e prodotti da forno, pasticceria, patatine fritte, glasse, creme di cioccolato e-o nocciola spalmabili, salse, margarine, dadi per brodo ecc.) perché, a differenza del burro e degli oli di girasole, arachide, sesamo, soia, cartamo, colza e oliva, si conserva bene (non irrancidisce), regge le alte temperature in cucina senza produrre ossidrili e radicali liberi, costa meno, e – ora è provato – non è assolutamente dannoso per la salute; anzi nel peggiore dei casi è neutro, nel migliore (red palm oil) è protettivo. Quattro vantaggi ineguagliabili per l’industria alimentare e i consumatori, se non si vuole ricorrere all’unica reale alternativa all’olio di palma: la dannosa margarina ricca di acidi grassi trans-saturi che aumentano il rischio di ateromi e non solo innalzano il colesterolo LDL come gli a.g. saturi a catena lunga, ma abbassano anche le preziose HDL (Fao, Fats and fatty acids in human nutrition. Report 91, 2008). Non sono un’alternativa possibile gli oli di semi (girasole, soia, arachide, sesamo, ecc.), instabili e facili ad ossidarsi producendo sostanze tossiche e radicali liberi nell’organismo.
PARLIAMO NOI CHE PER SECOLI ABBIAMO FRITTO CON LO STRUTTO? Ma i prodotti industriali sopra detti, ricchi di farine raffinate, zucchero e grassi, non sono dannosi perché contengono quel po’ di olio di palma, ma perché sono spesso junk food, cibo spazzatura, inutile e dannoso, e sarebbero dannosi in una dieta sbilanciata e in eccesso calorico anche se addizionati di olio extra-vergine di oliva! Quindi il boicottaggio dell’olio di palma è un atteggiamento, anche per un naturista, eccessivo sul piano nutrizionale, e illogico sul piano storico, visto che anche noi Italiani, nonostante la tanto strombazzata “civiltà dell’olivo”, abbiamo usato per molti secoli, dalle origini fino al 1960, come principali grassi di cottura soprattutto lardo e strutto.
UN GRASSO PER L’INDUSTRIA. L’olio di palma non è un grasso d’uso casalingo, almeno in Europa, ma solo un grasso industriale e commerciale (industria alimentare, ristoranti, friggitorie, mense). Non ha fatto mai parte della nostra cultura antropologica, tantomeno in questo articolo-monografia si esorta a consumarlo al posto dell’olio di oliva. Se qui se ne parla è solo per ristabilire la verità e chiarire le idee dal punto di vista scientifico (così che il “ripasso” sarà utile per capirne di più anche degli altri oli e grassi), perché la campagna di disinformazione in atto confonde le idee ai meno colti in fatto di alimenti – la stragrande maggioranza – e anche perché arrivano allarmate richieste di pareri da parte di lettori naturisti che se lo ritrovano sui banconi dei supermercati “bio” o botteghe del Naturale nelle etichette più insospettabili.
OLIO DI PALMA “INOSSIDABILE”, E LE CONTRADDIZIONI DEGLI ANTI-PALMA. Noi siamo contrari a un uso regolare dei prodotti alimentari industriali e anzi mettiamo in guardia dal loro consumo regolare; ma non per l’olio di palma. E se i contestatori dell’olio di palma, gli pseudo-salutisti, i vegetariani e bio-fans golosi, mangiassero meno biscotti, meno crackers, meno salatini, meno croissant, meno golosità industriali, meno Nutella e altre creme spalmabili al cioccolato, meno fritture in rosticceria, meno cibi pronti da bar o tavola calda, meno preparati per brodo, meno gelati ecc., non rischierebbero la salute, e oltretutto ci sarebbe nel Mondo una minore domanda di olio di palma. Se, invece, si ostinano a richiedere questi prodotti industriali, visto che sono incapaci di smettere dovrebbero almeno porsi il problema delle alternative industriali all’olio di palma. Cioè, quale grasso potrebbe resistere alle difficili condizioni ambientali della cottura industriale e della produzione a caldo, dell’ossidazione dovuta a immagazzinamento, calore prolungato (sole, luce battente), e a conservazione all’aria in scatole non a perfetta tenuta – come dadi per brodo, biscotti ecc. – per lunghi mesi a contatto con luce e temperatura ambiente? Scartata la margarina, ormai, resterebbe solo lo strutto o il lardo, oppure olio di oliva o burro, ma protetti (come accade oggi nei panettoni) da parecchi antiossidanti sintetici tipo BHT, butil-idrossitoluolo e BHA, butil-idrossianisolo). Li preferirebbero come alternativa? Se sono vegetariani o naturisti, no di certo. E gli oli di semi (girasole, mais, cartamo, vinacciolo, arachide, soia, sesamo, noce ecc.)? Ricchissimi di a.g. polinsaturi, sono instabili chimicamente e predisposti alla rapidissima ossidazione (irrancidimento) e alla produzione nel nostro organismo di pericolosi perossidi, cioè radicali liberi, e anche idrocarburi, aldeidi e acidi vari tossici e di sapore sgradevole. Infatti, se acquistate questi oli vegetali non trattati chimicamente, ma spremuti a freddo, dovete accertarvi che siano contenuti in bottiglie di vetro scuro o non trasparente, con tappo a vite, e che siano stati prodotti e mantenuti lungo l’intera catena produttiva-distributiva al fresco e non alla luce, cosa rarissima. E la cosa riguarda lo stesso olio extra-vergine di oliva, come si spiega in questo articolo. Insomma, tutti i grassi sono sensibilissimi al calore, alla luce, all’aria, ai trattamenti chimici e fisici dell’industria alimentare e dei magazzini, tranne olio di palma, lardo e strutto. Ecco perché, per ragioni puramente chimiche, è sbagliata la campagna anti-palma del "Fatto Alimentare" tesa a costringere i produttori di biscotti e altri prodotti a sostituire l'olio di palma con gli oli di semi abituali. Questi si irrancidiscono, e quindi la campagna non fa certo bene ai consumatori.
E allora? In questi casi (ripetiamo: produzione industriale, magazzini, trasporto e negozi non refrigerati) non resta che l’olio di palma, stabile alla frittura, ad ogni genere di cottura e alla perossidazione lipidica da ossigeno-luce-calore, e oltretutto il più economico. Ora anche provato assolutamente innocuo. Che si vuole di più? Così inossidabile che un orcio di terracotta con tracce di olio di palma è stato trovato da archeologi ad Abydos in una tomba egizia di 5000 anni fa, (FRIEDEL MC. Comptes rendus. On fatty materials found in Egyptian tomb in Abydos. vol. 24,648,1987).
CIFRE E COMPOSTI SORPRENDENTI. E sul piano puramente nutrizionale? L’olio di palma ha un rapporto saturi/insaturi inferiore a 1 (0.9). Contro il 47% di a.g.saturi totali ha ben il 51.5% di a.g. insaturi protettivi (vedi tabella sopra) cioè ben il 39% di monoinsaturi (acido oleico, tipico dell'olio di oliva, che ne ne ha il 70%) e il 12% di polinsaturi, soprattutto linoleico. Sono tanti, tantissimi, questi a.g. protettivi, che il burro si sogna (solo 26.5%): un dato che parla da sé a difesa dell’olio di palma e che smentisce tutte le campagne di boicottaggio. Ma c’è ben altro.
CI SONO GRASSI SATURI CATTIVI MA ANCHE “BUONI”! Innanzitutto, oggi non basta più dire “acidi grassi saturi” per dire grassi negativi: non siamo più negli ignoranti anni ‘50 e ‘60. Ci sono i saturi pessimi, quelli mediocri e quelli addirittura buoni, cioè protettivi. Insomma, non tutti gli acidi grassi saturi sono uguali. Vero è che l’acido palmitico (ben 43-47% nell’olio di palma, ma presente in tutti i grassi e le carni: ben 17% nell’olio di oliva e 19,5% nell’olio di arachide) è un acido saturo a catena lunga che se isolato e dato ai topi ha mostrato in studi sperimentali di laboratorio un più alto rischio aterogenico e ipercolesterolemico e perciò cardiovascolare. Il burro ha il 21.6% di palmitico, e ha gli acidi laurico e miristico, saturi sì ma a catena media, quindi neutri rispetto al rischio detto, più l’acido butirrico, saturo a catena corta, che è protettivo del colon e inibisce la sintesi di colesterolo e trigliceridi nel corpo umano (è il medesimo che si forma per fermentazione delle fibre nel colon). Ma il burro, non dimentichiamolo, ha pur sempre solo la metà dei protettivi a.g. monoinsaturi dell’olio di palma e una cattiva posizione nella molecola dell’acido palmitico che ne favorisce l’azione. E poi ci sono studi che dubitano perfino che l’acido palmitico alzi il colesterolo a tutti: secondo Khosla e Hayes (1994) dei due principali a.g. saturi dell’olio di palma, lo stearico non innalza il colesterolo, mentre il palmitico lo aumenta solo nei soggetti non normo-colesterolemici.
MA L’ACIDO PALMITICO ISOLATO NON E’ L’OLIO DI PALMA. L’olio di palma non va confuso con l’acido palmitico, il suo principale acido grasso, come fanno non i giornalisti, che si limitano a copiare le agenzie, ma alcuni ricercatori che alle agenzie fanno capire di aver sperimentato l’olio di palma, mentre hanno dato alle cavie solo acido palmitico, usato per comodità in quanto sempre uguale in tutto il Mondo. Errore grave in cui cade uno studio italiano che ha usato il palmitato da solo su cellule di topi e umane, traendone la conclusione che (il palmitato) provoca un aumento della proteina p66Shc, che è un induttore di stress ossidativo e favorisce l’apoptosi delle cellule beta del pancreas, oltre a innalzare il rischio di iperglicemia e di altri fattori coinvolti nell’infiammazione. E, grazie tante, e allora il beta-carotene isolato dato a topi e umani si è mostrato addirittura cancerogeno, mentre la carota è anti-cancro! Non solo, ma nel presentare lo studio, il capo-ricerca, il pugliese Giorgino, presidente della Società di Diabetologia, che certo non può ignorare che la Puglia abbonda di produttori di olio di oliva – non sempre buono, purtroppo – che vedono come il fumo negli occhi la concorrenza industriale dell’olio di palma, per amor di campanile non ha avuto il cuore di distinguere tra acido palmitico e olio di palma, come invece avrebbe dovuto per rigore di scienza, tanto è vero che poi agenzie e giornalisti e la lobby della disinformazione della “campagna anti-palma” si sono buttati a capofitto esibendo lo studio come ulteriore “prova” negativa. E invece, no.
E il presidente di una società scientifica – mi ha fatto notare un amico noto nutrizionista medico capo-ricercatore Cra (ex Inran), il dr. A. Ghiselli – dovrebbe sapere che il palmitato nella nostra dieta deriva più dall'olio d'oliva che da quello di palma. Come dovrebbe sapere anche che in Italia il palmitato viene prodotto tramite la de novo lipogenesis a partire da “quella forchettata di fettuccina in più”, cioè da carboidrati in eccesso, amidi e zuccheri (pasta, pane, biscotti, pizza, bruschetta, dolci, bevande zuccherate), che provocano nel fegato, specie dei sedentari, la sintesi ex novo dei trigliceridi. E il primo degli acidi grassi prodotti è proprio il palmitico. Altro che olio di palma!
Se dipendesse dal palmitato, dovremmo boicottare anche gli oli di oliva e di girasole, che ne hanno ben il 17% e 19,5%. L’acido palmitico o palmitato usato negli esperimenti dei laboratori è un estratto artificiale, una sostanza chimica pura non commestibile fornita dall’industria chimica; nessuno lo ha mai consumato in cucina o a tavola come tale. C’entra poco con l’olio di palma naturale: questo il pesante limite scientifico della ricerca. Ma la posizione in sn-2 del palmitato nel trigliceride dell’olio di palma (v. oltre) smentisce ancora di più che questo studio pugliese possa estendersi anche all’olio di palma (Natalicchio et al. 2015).
Ma quando invece diamo all’uomo, non ai topi, non l’acido palmitico isolato ma l’olio di palma intero, a dimostrazione che ogni alimento naturale e integrale è un complesso bilanciato, non si verifica alcunché di negativo. Innanzitutto, l'olio di palma, come tutti i grassi vegetali, è privo di colesterolo, a differenza di burro e lardo. E il più alto colesterolo nel sangue che l’acido palmitico dovrebbe favorire ? La ricerca biologica più accreditata ormai è orientata nel senso che l’olio di palma si comporta all’atto pratico in modo neutro o addirittura favorevole verso i parametri lipidici, cioè non aumenta, anzi, spesso riduce sia il colesterolo totale, sia le pericolose LDL; mentre non innalza i trigliceridi. Quindi un’azione nutrizionalmente non solo almeno neutra, ma addirittura protettiva, come spiegano nel loro studio di sintesi Ong e Goh:
«L’olio di palma alimentare nelle diete bilanciate riduce generalmente il colesterolo nel sangue, le lipoproteine a bassa densità (LDL) e i trigliceridi, aumentando nel contempo le lipoproteine ad alta densità (HDL). Diete di olio di palma hanno anche dimostrato di migliorare i livelli di lipoproteina (a) e apo-A1. Un importante beneficio deriva anche dalla riduzione dei trigliceridi nel sangue (o dei depositi di grasso) rispetto a diete a base di grassi polinsaturi. L’olio di palma rosso (vergine) è anche una ricca fonte di β-carotene e di α-tocoferolo e tocotrienoli, che hanno dimostrato di essere potenti antiossidanti e potenziali mediatori di funzioni cellulari. Questi composti possono essere antitrombotici, causano un aumento del rapporto prostaciclina/trombossano, riducono la ristenosi, e inibiscono la HMG-CoA reduttasi, così riducendo la biosintesi del colesterolo» (Ong e Goh 2002).
SOSTITUISCE GRASSI ANIMALI E MARGARINE. Ma già nei vecchi studi si erano avute avvisaglie degli effetti positivi dell’olio di palma, specialmente se in sostituzione di grassi a rischio. Nello studio di Sundram e Hornstra (in doppio cieco e crossover), in 38 volontari maschi la sostituzione del 70% dei grassi animali e oli idrogenati di una tipica “dieta olandese” con olio di palma, che è privo di colesterolo e di acidi trans-saturi [questi, invece, sempre sicuramente dannosi e sempre ad alto rischio cardiovascolare; anzi è spesso proprio per evitare nei prodotti alimentari margarine e scadenti oli vegetali ricchi di a.g. trans che viene impiegato l’olio di palma, NdR], non ha modificato il colesterolo totale nel sangue, ma ha positivamente aumentato dell’11% le HDL protettive, diminuito dell’8% le dannose LDL, aumentato del 4% le apolipoproteine A1 (legate alle HDL) e diminuito del 4% le apolipoproteine B (LDL). Tutti miglioramenti modesti ma significativi, che provano che quando l’olio di palma sostituisce la maggior parte dei grassi animali o trans-saturi in una dieta, non apporta nuovi rischi ma anzi può addirittura ridurre il rischio cardiovascolare (Sundram et al. 1992).
In un esperimento su volontari della Malesia con diete alternate a base di oli di cocco, palma e mais, mentre l’olio di cocco alzava il colesterolo totale del 10%, l’olio di palma riduceva tutti i valori: colesterolo totale -19% (mais -36%), LDL -20% (mais -42%), HDL -20 (mais -26%). Il rapporto LDL/HDL non era modificato dal cocco, ma era abbassato dalla palma (-8%) e ovviamente ancor più dal mais (-25%). I trigliceridi nel sangue non erano modificati dalla palma, ma ridotti dal mais. Quindi anche qui un comportamento da neutro a favorevole, e comunque non negativo (Ng et al. 1991).
NON TROPPO DISSIMILE DALL’OLIO DI OLIVA, grazie all’oleico in buona posizione e al palmitico in cattiva posizione. Il paradosso nutrizionale dell’olio di palma, che è anche il suo “segreto” chimico e metabolico, è che, nonostante la notevole quota di acido palmitico (acido grasso saturo a catena lunga collegato a rischi di ipercolesterolemia e ateromi) e le percentuali di a.g. analoghe a quelle del lardo, in realtà non aumenta i rischi cardiovascolari e anzi ha effetti protettivi simili all’olio di oliva e di arachide, come riportano i recenti studi riepilogativi (Ong e Goh 2002; May e Nesaretnam 2014), e ancora più chiaramente e in modo esteso un fondamentale articolo scientifico sugli aspetti nutrizionali e salutistici dell’olio di palma vergine o naturale (rosso e solido, noto in commercio come “red palm oil”), con numerose tabelle originali. (Kritchevsky 2000). Come mai?
Così, anche se l’olio di palma e il lardo, p.es., hanno proporzioni simili di a.g. grassi saturi, mono e polinsaturi, differiscono però nelle posizioni e quantità dei singoli a.g. nella molecola. L’olio di palma contiene solo il 2% (Kritchevsky) o il 7-11% (May) di acido palmitico nella cruciale posizione sn-2 del trigliceride (circa l’87% in quella posizione è occupato da a.g. insaturi oleico e linoleico), mentre il lardo ha il più alto ammontare di palmitico in sn-2, quindi totalmente assimilabile: il 70%. E lo stesso confronto favorevole è con il burro. Nell’olio di palma la maggior parte dell’acido palmitico è in sn-1 e sn-3 (poco assimilabili). L’acido oleico, protettivo, è invece situato per lo più (80%) in sn-2, dove è assorbito più velocemente nel corpo e induce benèfici effetti simili a quelli dell’olio di oliva. Insomma, la collocazione spaziale degli acidi grassi nei trigliceridi è forse più importante della stessa composizione assoluta in acidi grassi nel conferire a oli e grassi le proprietà di “saturi” o “insaturi”. La struttura della molecola dell’olio di palma, insomma, sembra favorire più l’acido oleico che quello palmitico. Questo spiega anche il motivo per cui anche se quasi al 50% è saturo, l'olio di palma si comporta come un grasso monoinsaturo, non troppo dissimile dall’olio di oliva (Kritchevsky 2000; Ong e Goh 2002; May e Nesaretnam 2014; Ng et al. 1992; Choudhury et al. 1995; Voon et al. 2011; Straarup et al. 2006; Fao 2008).
IDEALE PER LE FRITTURE: COME L’OLIO DI OLIVA, MEGLIO DI OLI DI SEMI E BURRO. Ma oltre alla struttura della molecola, anche l’uso pratico conferma questa somiglianza di comportamento con l’olio di oliva. Uno studio spagnolo ha dimostrato che friggere le patatine in oli ricchi di polinsaturi, come l’olio di girasole, provoca più tossica acroleina che in oli ricchi di monoinsaturi. E i risultati ottenuti hanno posto accanto all’olio di oliva l’olio di palma, entrambi con la quantità minore di acroleina (Andreu-Sevilla et al. 2009).
Altro che grasso del diavolo! Limitandoci all'aspetto chimico-nutrizionale cioè agli acidi grassi contenuti, tanto più se non raffinato (red palm oil), in quanto ai vantaggi della sua struttura naturale che privilegia l’oleico e penalizza il palmitico si aggiunge l’abbondanza di beta-carotenoidi e tocotrienoli (vitamine A ed E, antiossidanti), il bistrattato olio di palma rischia di diventare il grasso degli angeli! E perfino raffinato si comporta in modo neutro rispetto ai principali rischi. Sul piano puramente nutrizionale o protettivo, dunque, l’olio di palma naturale nelle fritture prolungate, artigianali o industriali, è preferibile agli oli di semi e al burro. Burro che – a parte il colesterolo (250 mg/100g), del tutto irrilevante però nei consumi minimi casalinghi – possiede a crudo buone qualità organolettiche, ed è per di più di antica tradizione nella nostra cultura che è di origine pastorale; ma che oggi è usato troppo e male in Europa e nel Nord Italia. Andrebbe consumato (e solo qualche ricciolo) a crudo, di tanto in tanto, meglio se su una fetta di vero pane integrale scuro e aromatico, perché in frittura e cottura si degrada molto diventando pericolosissimo produttore di radicali liberi. Ma avranno la coerenza i boicottatori dell’olio di palma di boicottare anche e a maggior ragione il burro cotto, cioè mezza gastronomia del Nord Italia e del Nord del Mondo (quella migliore, casalinga, perché quella ordinaria delle pasticcerie e supermercati usa margarina), a partire dalle nostre tradizionali torte dolci “della nonna” e dal panettone?
E POI, QUANTO INCIDE SULLA DIETA GIORNALIERA? Uno studio review dell'Istituto Superiore di Sanità (2016), che si raccomanda anche per tabelle, aspetti originali sul piano medico e riferimenti, dopo aver concluso che «non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l'olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/poliinsaturi, quali, ad esempio, il burro», paragona in una tabella i grassi saturi totali stimati assunti ogni giorno in media dalla popolazione attraverso cibi che non hanno olio di palma, come burro, formaggio, carni, salumi ecc. (22,44 g/die), a quelli assunti in media attraverso cibi contenenti olio di palma, come biscotti, crackers, dolci, gelati, merendine ecc. (4,77 g/die). Quindi, perfino in una dieta media convenzionale, non naturistica, che comprende anche prodotti industriali, i grassi saturi da altri cibi sarebbero quasi 5 volte superiori a quelli da cibi con olio di palma. Il vero problema, perciò, - conclude la review dell'ISS - è la somma totale degli acidi grassi saturi assunti ogni giorno, di ogni provenienza, non l'olio di palma in sé. Esattamente quello che il nostro articolo monografico sulla base di tanti studi dimostra.
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